Il Centro dopo il populismo



Aldo Novellini    12 Aprile 2023       0

La ventata demagogica del populismo non sarà del tutto finita ma certo non sembra più filare col vento in poppa come qualche tempo fa. Succede in Europa, dove persino gli inglesi cominciano a dubitare della bontà della Brexit, e accade a casa nostra dove il Movimento 5Stelle, principale epigone di quella stagione, conosce le prime difficoltà. E lo stesso può dirsi per la Lega di marca salviniana anch'essa spesso pervasa da pulsioni demagogiche ma ormai al rimorchio del concreto protagonismo di Fratelli d'Italia e di Giorgia Meloni che, ascesa a Palazzo Chigi, ha scelto un profilo ben diverso dai giorni in cui stava all'opposizione: impegnandosi sulle cose da fare e tralasciando gli slogan di piazza.

Magari è ancora presto per dirlo, ma c'è motivo di credere che stia tornando in auge la politica, dopo anni nei quali è stata l'antipolitica - non di rado applaudita dal potere economico - a farla da padrona. In nome dell' ”uno vale uno” e del palese disprezzo di qualsiasi competenza.

Questa è un po' la premessa da cui parte Giorgio Merlo, ex parlamentare Pd ed oggi sindaco di Pragelato, nel suo ultimo libro “Il Centro, dopo il populismo” (edizioni Marcianum press), ritenendo sia giunto il momento di avviare una ricostruzione del tessuto politico dopo anni di dilettantismo e di improvvisazione.

E in questa possibile nuova stagione può esserci un ruolo per il Centro. Non tanto inteso come luogo geometrico banalmente equidistante tra una destra e una sinistra, quanto come capacità di dar vita a programmi politici credibili accompagnati da alleanze stabili e coese in grado di governare in modo proficuo ed efficace. Un punto di sintesi per modernizzare il nostro Paese elevando finalmente la qualità della politica e superando l'esiziale alternativa tra populismo e sovranismo. Che in pratica significa cadere dalla padella nella brace. Ecco allora la necessità di ricomporre il quadro con un'aggregazione politica lontana da qualsiasi demagogica fuga in avanti e che voglia, e soprattutto sappia, proporre all'Italia un orizzonte riformista di più ampio respiro.

In questo processo - un cantiere in corso ed ancora tutto da costruire - c'è sicuramente spazio per il pensiero e per il patrimonio del cattolicesimo democratico. La visione politica, sociale ed economica dei cattolici laicamente impegnati nell'arena pubblica, la cultura istituzionale che da sempre è loro propria, possono trovare un'adeguata e naturale collocazione ponendosi al servizio del Paese come è accaduto in altri momenti storici. Come avvenne nel secondo dopoguerra con la Democrazia cristiana.

Se forse non è immaginabile riproporre quel modello di partito, poiché le condizioni sono di molto mutate, e l'unità politica dei cattolici pare esser frutto di un'irripetibile contingenza storica, non di meno può esservi la possibilità di fare del popolarismo uno dei cardini di un grande e rinnovato progetto politico. E' una questione di merito, pensando al solidarismo interclassista, di cui si sente la necessità per ricucire le tante disuguaglianze presenti nel Paese; ad un equilibrato regionalismo, che unifichi il Paese anziché spaccarlo; alla difesa del modello parlamentare, come insostituibile snodo della nostra democrazia.

Ma c'è anche - e la cosa giustamente a Merlo non pare affatto secondaria - una questione di metodo. Occorre cioè una classe politica che ritrovi il senso delle istituzioni, nei diversi ruoli che si ricoprono, nella piena legittimazione dell'avversario, nella capacità di analizzare i problemi senza rincorse puramente ideologiche o egoistiche chiusure corporative. Qualità che sono nel dna del cattolicesimo democratico. Resta da vedere se esso sia davvero pronto ad affrontare questa sfida, senza alcuna sudditanza verso le altre culture politiche, offrendo un proprio progetto per il Paese. Questa la domanda di fondo, cui solo il tempo saprà dare una risposta.


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