Siamo in attesa di una nuova legge delega fiscale dopo che un precedente analogo disegno di legge delega era decaduto a causa della chiusura anticipata delle precedente legislatura.
Si conosce ancora poco di questa nuova proposta, ma ̶ stante la filosofia imperante nella nuova maggioranza nel Parlamento ̶ è prevedibile che essa sarà improntata alla causa della “riduzione delle tasse” (meglio dire imposte), figlia di una visione che considera con scetticismo l’intervento pubblico in economia: meno imposte e meno spesa pubblica, specie in azioni in campo sociale. Si diceva un tempo: “perché ce lo chiede l’Europa”. Ma ora, dopo il Programma Next Generation EU, che ha cambiato, almeno temporaneamente, la prospettiva dell’ Austerità spinta dalla ventata di neoliberismo che impregna la maggioranza di Destra, ma condivisa anche da partiti che si definiscono di Centro.
È probabile che, con la nuova legge fiscale, risulti attenuata la cogenza dell’art. 53 della nostra Costituzione: «Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività», come del resto è già successo con la “imposta piatta”, introdotta, nella nostra legislazione nel 2021 e modificata per il 2023, con un’aliquota fissa al 15% (al 5% per le nuove attività) fino a euro 85.000 di fatturato (nel 2021) e fino a euro 85.000 di reddito (dal 2023), che si applica a liberi professionisti, imprese individuali, lavoratori autonomi con partita IVA e lavoratori dipendenti che percepiscono un premio di produzione. L’”imposta piatta” è, per le partite IVA, sostitutiva dell’IRPEF e delle sue addizionali regionali e comunali e dell’IRAP e permette, per i soggetti aderenti, l’esclusione dal regime IVA.
Ciò su cui voglio porre l’accento è che ̶ anche per la stringatezza del predetto art. 53 ̶ sono rimasti aperti ampi margini di discrezionalità per il legislatore, di ogni colore politico, che in varie occasioni hanno favorito ora l’esenzione da imposizione fiscale per alcuni redditi ora l’assoggettamento a imposizione separata e proporzionale (per i redditi da locazione immobiliare o i redditi da lavoro autonomo – come sopra indicato) ora la detassazione di mance e di fringe benefits a favore di lavoratori dipendenti, i quali ultimi sono normalmente occupazioni con retribuzioni elevate, per cui si ha un aumento delle sperequazioni retributive nette esistenti.
Nel complesso, il risultato è stato di avere determinato forti disparità nel prelevamento fiscale tra contribuenti con redditi di pari importo, ma di natura diversa. In particolare, pare presente, nell’azione politica della Lega, un’attenzione particolare favorevole nei confronti delle imprese e dei lavoratori autonomi. Forse perché si ritiene che siano, essi, la fonte della produzione di nuova ricchezza economica. E questi soggetti ̶ bacino non indifferente di voti elettorale leghisti ̶ sono molto attenti allo stato della normativa tributaria sui loro redditi.
Ma, in verità, la produzione di nuova ricchezza economica dipende dalla qualità e quantità dell’insieme dei fattori produttivi e dalla coesione sociale presente nella società. Qualità, quantità e coesione di tutti i fattori produttivi presenti e in via di formazione. Su quest’insieme gioca un effetto negativo la presenza di esenzioni fiscali scriteriate, di regimi cedolari preferenziali che danno luogo a trattamenti fiscali differenziati tra contribuenti con livelli reddituali prossimi o in condizioni economiche simili nonché la ricomposizione del prelievo fiscale nel complesso, con spostamento dell’imposizione fiscale dal lavoro dipendente ai profitti, interessi e rendite finanziarie.
Giocherebbe invece un impatto assai positivo l’introduzione di misure per contrastare il lavoro povero e promuovere il lavoro libero, creativo, partecipativo, solidale e dignitoso, cioè decente, con una remunerazione giusta, una buona copertura di tipo previdenziale, che produca cose buone (materiali, così come immateriali e relazionali, rispettando comunque l’ambiente naturale).
Quindi contratti collettivi con efficacia erga omnes, che fissino salari minimi legali, riduzione della presenza di forme contrattuali a tempo determinato, robuste e strategiche politiche produttive settoriali.
A fianco lo sviluppo di una politica di welfare illuminata, capace di creare coesione sociale, capitale sociale, sicurezza personale e sociale; essa sola, capace di dare ̶ assieme a un’accorta politica fiscale e sociale ̶ un impulso positivo al funzionamento della vita complessiva della comunità.
Si conosce ancora poco di questa nuova proposta, ma ̶ stante la filosofia imperante nella nuova maggioranza nel Parlamento ̶ è prevedibile che essa sarà improntata alla causa della “riduzione delle tasse” (meglio dire imposte), figlia di una visione che considera con scetticismo l’intervento pubblico in economia: meno imposte e meno spesa pubblica, specie in azioni in campo sociale. Si diceva un tempo: “perché ce lo chiede l’Europa”. Ma ora, dopo il Programma Next Generation EU, che ha cambiato, almeno temporaneamente, la prospettiva dell’ Austerità spinta dalla ventata di neoliberismo che impregna la maggioranza di Destra, ma condivisa anche da partiti che si definiscono di Centro.
È probabile che, con la nuova legge fiscale, risulti attenuata la cogenza dell’art. 53 della nostra Costituzione: «Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività», come del resto è già successo con la “imposta piatta”, introdotta, nella nostra legislazione nel 2021 e modificata per il 2023, con un’aliquota fissa al 15% (al 5% per le nuove attività) fino a euro 85.000 di fatturato (nel 2021) e fino a euro 85.000 di reddito (dal 2023), che si applica a liberi professionisti, imprese individuali, lavoratori autonomi con partita IVA e lavoratori dipendenti che percepiscono un premio di produzione. L’”imposta piatta” è, per le partite IVA, sostitutiva dell’IRPEF e delle sue addizionali regionali e comunali e dell’IRAP e permette, per i soggetti aderenti, l’esclusione dal regime IVA.
Ciò su cui voglio porre l’accento è che ̶ anche per la stringatezza del predetto art. 53 ̶ sono rimasti aperti ampi margini di discrezionalità per il legislatore, di ogni colore politico, che in varie occasioni hanno favorito ora l’esenzione da imposizione fiscale per alcuni redditi ora l’assoggettamento a imposizione separata e proporzionale (per i redditi da locazione immobiliare o i redditi da lavoro autonomo – come sopra indicato) ora la detassazione di mance e di fringe benefits a favore di lavoratori dipendenti, i quali ultimi sono normalmente occupazioni con retribuzioni elevate, per cui si ha un aumento delle sperequazioni retributive nette esistenti.
Nel complesso, il risultato è stato di avere determinato forti disparità nel prelevamento fiscale tra contribuenti con redditi di pari importo, ma di natura diversa. In particolare, pare presente, nell’azione politica della Lega, un’attenzione particolare favorevole nei confronti delle imprese e dei lavoratori autonomi. Forse perché si ritiene che siano, essi, la fonte della produzione di nuova ricchezza economica. E questi soggetti ̶ bacino non indifferente di voti elettorale leghisti ̶ sono molto attenti allo stato della normativa tributaria sui loro redditi.
Ma, in verità, la produzione di nuova ricchezza economica dipende dalla qualità e quantità dell’insieme dei fattori produttivi e dalla coesione sociale presente nella società. Qualità, quantità e coesione di tutti i fattori produttivi presenti e in via di formazione. Su quest’insieme gioca un effetto negativo la presenza di esenzioni fiscali scriteriate, di regimi cedolari preferenziali che danno luogo a trattamenti fiscali differenziati tra contribuenti con livelli reddituali prossimi o in condizioni economiche simili nonché la ricomposizione del prelievo fiscale nel complesso, con spostamento dell’imposizione fiscale dal lavoro dipendente ai profitti, interessi e rendite finanziarie.
Giocherebbe invece un impatto assai positivo l’introduzione di misure per contrastare il lavoro povero e promuovere il lavoro libero, creativo, partecipativo, solidale e dignitoso, cioè decente, con una remunerazione giusta, una buona copertura di tipo previdenziale, che produca cose buone (materiali, così come immateriali e relazionali, rispettando comunque l’ambiente naturale).
Quindi contratti collettivi con efficacia erga omnes, che fissino salari minimi legali, riduzione della presenza di forme contrattuali a tempo determinato, robuste e strategiche politiche produttive settoriali.
A fianco lo sviluppo di una politica di welfare illuminata, capace di creare coesione sociale, capitale sociale, sicurezza personale e sociale; essa sola, capace di dare ̶ assieme a un’accorta politica fiscale e sociale ̶ un impulso positivo al funzionamento della vita complessiva della comunità.
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