Nel dibattito sul ruolo dei Popolari nella politica di oggi, si inserisce il contributo di Carlo Baviera, tra i protagonisti della feconda stagione dei cattolici democratici a Casale Monferrato.
Eravamo davanti a lui, che ci parlava con tranquillità ma anche con decisione. Avevamo appena, il mio giovane amico Francesco ed io, terminato di esprimere il nostro sostegno convinto a Pierluigi, ultimo segretario del PPI, per la nascita del Partito Democratico che aveva visto la luce da pochi giorni.
Eravamo a Pisa per la Settimana Sociale. E lui, Savino sindacalista, invece ci diceva con argomentazioni che saremmo stati “democratici” ma non più popolari. La cosa ci parve esagerata. Poi l’amalgama come sappiamo non è riuscito come lo si era pensato. Poco alla volta si avverava anche quella profezia: sarete democratici, non popolari. C’era, e c’è, il rischio che il sale del popolarismo perda il sapore.
Poi anche noi, per vicende che ora non meritano di essere ricordate, abbiamo abbandonato il PD e siamo rimasti apolidi, ma sempre con l’animo popolare e la speranza di qualche novità. Novità che poteva manifestarsi nel centenario del PPI sturziano e che per la verità vi è stata. Lascio perdere le tante sigle nate negli anni nel segno del popolarismo e/o della democrazia cristiana. Né mi riferisco a Demos (Democrazia Solidale promosso da persone vicine alla comunità di S. Egidio), di cui andrebbe capito il perché di risultati poco significativi. Parlo invece dell’iniziativa promossa da Stefano Zamagni ed altri (molto attivi alcuni dell’Associazione Popolari piemontesi) che hanno fondato INSIEME un partito dichiaratamente ispirato alla Dottrina Sociale e al popolarismo, non ancora misuratosi in competizioni elettorali ma, se posso permettermi, con due “talloni d’Achille”: molti dei leader e dei dirigenti più in vista guardano, come collocazione europea, al PPE partito che si può ormai definire moderato e non più paragonabile a quello originario (vi aderisce anche Forza Italia per dire) e poi una folta militanza di ritorno dal centrodestra che hanno portato al sostegno nelle recenti elezioni a candidati centristi per contrastare quelli di centrosinistra e di fatto favorendo la vittoria delle destre. Detto più terra a terra: si può essere identitari e non succubi di altre culture restando autonomi a combattere le proprie battaglie, ma senza opporsi sempre e solo al centrosinistra e ai riformisti, pena far vincere le destre e scivolare nel clerico moderatismo: sono solo pregiudizi i miei? Un rischio da evitare nelle scelte future.
L’altro fatto nuovo è, finalmente, l’iniziativa assunta da Castagnetti preoccupato per la modifica alla Carta dei Valori del PD e per la tentazione di un ritorno al Partito della sinistra storica e non più di centrosinistra pluralista e con più culture politiche fondanti. Con la minaccia di una scissione (Castagnetti non ha usato queste espressioni, anzi. Però ha evidenziato che i popolari trarranno conseguenze se le cose andranno nel modo sbagliato).
C’è chi contesta il fatto che l’iniziativa resta comunque ristretta all’interno del dibattito del Partito Democratico, senza autocritica rispetto a scelte sbagliate compiute negli anni, e il trasformarsi prima in un partito che cavalcava acriticamente la globalizzazione, poi partito del capo, partito della Ditta anziché plurale, partito della ZTL, partito radicale di massa. Può dispiacere ammetterlo, ma la convivenza in uno stesso partito sembra improponibile in questa fase; anche se non può essere accantonato definitivamente il progetto di una casa comune delle culture riformiste radicate in valori che restano riferimenti essenziali per la democrazia. E oggi, nonostante tutto piaccia o meno, il PD è l’unica barriera contro il tracimare delle destre. Ciò non significa restare immobili e insignificanti.
Può darsi che i popolari decidano di raggrupparsi ancora nel PD, ma sembra difficile per questo partito (per tanti militanti ed elettori) affermare chiaramente che non è (solo) socialdemocratico e neppure è la prosecuzione della storia della sinistra social-comunista, così come non diventare riferimento per i radical-chic e libertario, ma partito delle libertà e dei diritti compreso quello alla vita (senza riaprire strumentalmente il dibattito sull’aborto, se non ricordare che esistono anche l’art.1 e 2 della Legge; né forzare su eutanasia o accanimento terapeutico).
Tutte le anime che lo compongono come si possono sentire a casa, come padroni e non ospiti o tollerati? Visti i profili dei candidati alla segreteria e la paura di avere una presenza alla propria sinistra, pare praticamente impossibile.
Allo stesso tempo non vi può essere un semplice ritorno al passato. Tra l’altro si era detto che si sarebbero bruciate le scialuppe, proprio per evitarlo. Ma sarà difficile riportare nel PD, anche risistemato e rimesso in marcia nel modo migliore, chi lo ha abbandonato; vale per i popolari e vale per molti ex diessini.
Se la soluzione (più comoda o naturale) pare la rinascita di un partito cattolico democratico e popolare vi è, come accennavo il rischio di scivolare nel clerico-moderatismo: vedendo nei progressisti e “laicisti” gli avversari e non comprendere che il vero avversario è la destra, è il nazionalismo, il sovranismo, la voglia di ordine autoritario. Come rischioso è il pensare di sommarsi confluendo nell’attuale Terzo Polo (che "popolare" e cattolico democratico lo è di striscio). Calenda può avere molte buone idee e con lui si può e si deve collaborare, ma è altro dal partito cattolico democratico.
Non ho la presunzione di fornire indicazioni, e non ho certezze sul che fare. Mi limito perciò a evidenziare gli aspetti che vorrei fossero tenuti presenti e quelli da evitare in ciò che si prospetta per i cattolici democratici. Nel caso di un nuovo contenitore popolare e cattolico democratico (non identitario) sempre che si riesca a raccogliere un consenso non marginale; perché il cosiddetto mondo cattolico è minoritario, e non è detto che senta il richiamo della presenza popolare o le sue priorità. Quindi, lasciando da parte gli aspetti valoriali di riferimento e di programma che si danno per scontati e condivisi, il discorso è più articolato. Mi limito alle problematicità che intravvedo.
Il primo è l’equidistanza da altri poli (la storia ha dimostrato che quando non c’è una barriera a destra prima o poi si scivola da quella parte). Anche De Gasperi, che con il centrismo ha svolto una politica contro il PCI, non ha mai cercato sponde a destra; si è opposto al Vaticano per l’operazione Sturzo pur di non imbarcare i missini ex fascisti; ha affermato che la DC marciava verso sinistra, cioè si impegnava per la socialità pur sviluppando con Einaudi e Pella una politica mercato. Io non immagino, ma spero di ricredermi, che molti dirigenti di questa eventuale nuova formazione si accontentino di restare anni in minoranza e possano sentire (molti sono di ritorno da esperienze di centrodestra) il richiamo di collaborazioni che personalmente ritengo inopportune.
Il secondo è, come già accennato, il sommarsi all’attuale Terzo Polo o alla tante sigle ex democristiane in attesa. Certamente una collocazione dignitosa (come lo è in Europa la presenza in Renew Europe di Macron) ma di carattere moderata o liberale. Questa posizione, stando alle cose fin qui viste e ascoltate, pare più di opposizione al centrosinistra che alle destre.
Ritorno perciò al titolo: il ruolo del cattolicesimo democratico dentro la politica deve essere fuoco e combustibile. Significa, qualsiasi sia la collocazione o il contenitore scelti per la presenza pubblica, essere “progressisti” (per il cambiamento incisivo, pur con l’equilibrio e la moderazione necessari). Attuare il cambiamento profondo della società lavorando per nuovi paradigmi riguardo all'ambiente, all'economia e alla finanza, al lavoro e ai suoi diritti, alla pace e nonviolenza. Ed essere per riforme istituzionali che allarghino la partecipazione, che preservino (riportino) il proporzionale e le preferenze, un Parlamento che abbia veri poteri per bilanciare e controllare il Governo (soprattutto se si andasse verso forme di elezione diretta del Presidente), e – anche se impopolare – il finanziamento pubblico dei partiti/della politica altrimenti chi ne sostiene le spese? Un partito in cui anche i corpi intermedi, le autonomie (locali, economiche e sociali), i diritti trascendenti della persona e il valore sociale della famiglia, il pluralismo, il lavoro come elemento di libertà e di affermazione della persona siano punti da cui non prescindere. Come detto il cattolicesimo, che non rivendica posti o potere, nelle vicende politiche è il fuoco, il combustibile di una politica progressista perché intende (riprendendo l’invito di papa Francesco) attivare processi. E i processi guardano al cambiamento radicale dei paradigmi sociali, andando oltre la semplice gestione del governo e delle amministrazioni.
In ogni caso serve trovare il modo di fare formazione. Anche questo è un discorso complesso perché faticano le stesse comunità ecclesiali a preparare e formare alla cittadinanza, all’impegno sociale, alla responsabilità pubblica e il cattolicesimo è minoritario nella società. Però la questione è fondamentale affinché si mantenga una cultura cattolico democratica.
Il magistero di papa Francesco, che arricchisce e amplia anche quello post conciliare, fornisce riferimenti essenziali e preziosi. Prima ancora dei contenitori è importante far conoscere e apprezzare i contenuti perché diventino cultura che fermenta le coscienze e i comportamenti. Fuoco e combustibile per dare futuro all’Italia e all’Europa.
Eravamo davanti a lui, che ci parlava con tranquillità ma anche con decisione. Avevamo appena, il mio giovane amico Francesco ed io, terminato di esprimere il nostro sostegno convinto a Pierluigi, ultimo segretario del PPI, per la nascita del Partito Democratico che aveva visto la luce da pochi giorni.
Eravamo a Pisa per la Settimana Sociale. E lui, Savino sindacalista, invece ci diceva con argomentazioni che saremmo stati “democratici” ma non più popolari. La cosa ci parve esagerata. Poi l’amalgama come sappiamo non è riuscito come lo si era pensato. Poco alla volta si avverava anche quella profezia: sarete democratici, non popolari. C’era, e c’è, il rischio che il sale del popolarismo perda il sapore.
Poi anche noi, per vicende che ora non meritano di essere ricordate, abbiamo abbandonato il PD e siamo rimasti apolidi, ma sempre con l’animo popolare e la speranza di qualche novità. Novità che poteva manifestarsi nel centenario del PPI sturziano e che per la verità vi è stata. Lascio perdere le tante sigle nate negli anni nel segno del popolarismo e/o della democrazia cristiana. Né mi riferisco a Demos (Democrazia Solidale promosso da persone vicine alla comunità di S. Egidio), di cui andrebbe capito il perché di risultati poco significativi. Parlo invece dell’iniziativa promossa da Stefano Zamagni ed altri (molto attivi alcuni dell’Associazione Popolari piemontesi) che hanno fondato INSIEME un partito dichiaratamente ispirato alla Dottrina Sociale e al popolarismo, non ancora misuratosi in competizioni elettorali ma, se posso permettermi, con due “talloni d’Achille”: molti dei leader e dei dirigenti più in vista guardano, come collocazione europea, al PPE partito che si può ormai definire moderato e non più paragonabile a quello originario (vi aderisce anche Forza Italia per dire) e poi una folta militanza di ritorno dal centrodestra che hanno portato al sostegno nelle recenti elezioni a candidati centristi per contrastare quelli di centrosinistra e di fatto favorendo la vittoria delle destre. Detto più terra a terra: si può essere identitari e non succubi di altre culture restando autonomi a combattere le proprie battaglie, ma senza opporsi sempre e solo al centrosinistra e ai riformisti, pena far vincere le destre e scivolare nel clerico moderatismo: sono solo pregiudizi i miei? Un rischio da evitare nelle scelte future.
L’altro fatto nuovo è, finalmente, l’iniziativa assunta da Castagnetti preoccupato per la modifica alla Carta dei Valori del PD e per la tentazione di un ritorno al Partito della sinistra storica e non più di centrosinistra pluralista e con più culture politiche fondanti. Con la minaccia di una scissione (Castagnetti non ha usato queste espressioni, anzi. Però ha evidenziato che i popolari trarranno conseguenze se le cose andranno nel modo sbagliato).
C’è chi contesta il fatto che l’iniziativa resta comunque ristretta all’interno del dibattito del Partito Democratico, senza autocritica rispetto a scelte sbagliate compiute negli anni, e il trasformarsi prima in un partito che cavalcava acriticamente la globalizzazione, poi partito del capo, partito della Ditta anziché plurale, partito della ZTL, partito radicale di massa. Può dispiacere ammetterlo, ma la convivenza in uno stesso partito sembra improponibile in questa fase; anche se non può essere accantonato definitivamente il progetto di una casa comune delle culture riformiste radicate in valori che restano riferimenti essenziali per la democrazia. E oggi, nonostante tutto piaccia o meno, il PD è l’unica barriera contro il tracimare delle destre. Ciò non significa restare immobili e insignificanti.
Può darsi che i popolari decidano di raggrupparsi ancora nel PD, ma sembra difficile per questo partito (per tanti militanti ed elettori) affermare chiaramente che non è (solo) socialdemocratico e neppure è la prosecuzione della storia della sinistra social-comunista, così come non diventare riferimento per i radical-chic e libertario, ma partito delle libertà e dei diritti compreso quello alla vita (senza riaprire strumentalmente il dibattito sull’aborto, se non ricordare che esistono anche l’art.1 e 2 della Legge; né forzare su eutanasia o accanimento terapeutico).
Tutte le anime che lo compongono come si possono sentire a casa, come padroni e non ospiti o tollerati? Visti i profili dei candidati alla segreteria e la paura di avere una presenza alla propria sinistra, pare praticamente impossibile.
Allo stesso tempo non vi può essere un semplice ritorno al passato. Tra l’altro si era detto che si sarebbero bruciate le scialuppe, proprio per evitarlo. Ma sarà difficile riportare nel PD, anche risistemato e rimesso in marcia nel modo migliore, chi lo ha abbandonato; vale per i popolari e vale per molti ex diessini.
Se la soluzione (più comoda o naturale) pare la rinascita di un partito cattolico democratico e popolare vi è, come accennavo il rischio di scivolare nel clerico-moderatismo: vedendo nei progressisti e “laicisti” gli avversari e non comprendere che il vero avversario è la destra, è il nazionalismo, il sovranismo, la voglia di ordine autoritario. Come rischioso è il pensare di sommarsi confluendo nell’attuale Terzo Polo (che "popolare" e cattolico democratico lo è di striscio). Calenda può avere molte buone idee e con lui si può e si deve collaborare, ma è altro dal partito cattolico democratico.
Non ho la presunzione di fornire indicazioni, e non ho certezze sul che fare. Mi limito perciò a evidenziare gli aspetti che vorrei fossero tenuti presenti e quelli da evitare in ciò che si prospetta per i cattolici democratici. Nel caso di un nuovo contenitore popolare e cattolico democratico (non identitario) sempre che si riesca a raccogliere un consenso non marginale; perché il cosiddetto mondo cattolico è minoritario, e non è detto che senta il richiamo della presenza popolare o le sue priorità. Quindi, lasciando da parte gli aspetti valoriali di riferimento e di programma che si danno per scontati e condivisi, il discorso è più articolato. Mi limito alle problematicità che intravvedo.
Il primo è l’equidistanza da altri poli (la storia ha dimostrato che quando non c’è una barriera a destra prima o poi si scivola da quella parte). Anche De Gasperi, che con il centrismo ha svolto una politica contro il PCI, non ha mai cercato sponde a destra; si è opposto al Vaticano per l’operazione Sturzo pur di non imbarcare i missini ex fascisti; ha affermato che la DC marciava verso sinistra, cioè si impegnava per la socialità pur sviluppando con Einaudi e Pella una politica mercato. Io non immagino, ma spero di ricredermi, che molti dirigenti di questa eventuale nuova formazione si accontentino di restare anni in minoranza e possano sentire (molti sono di ritorno da esperienze di centrodestra) il richiamo di collaborazioni che personalmente ritengo inopportune.
Il secondo è, come già accennato, il sommarsi all’attuale Terzo Polo o alla tante sigle ex democristiane in attesa. Certamente una collocazione dignitosa (come lo è in Europa la presenza in Renew Europe di Macron) ma di carattere moderata o liberale. Questa posizione, stando alle cose fin qui viste e ascoltate, pare più di opposizione al centrosinistra che alle destre.
Ritorno perciò al titolo: il ruolo del cattolicesimo democratico dentro la politica deve essere fuoco e combustibile. Significa, qualsiasi sia la collocazione o il contenitore scelti per la presenza pubblica, essere “progressisti” (per il cambiamento incisivo, pur con l’equilibrio e la moderazione necessari). Attuare il cambiamento profondo della società lavorando per nuovi paradigmi riguardo all'ambiente, all'economia e alla finanza, al lavoro e ai suoi diritti, alla pace e nonviolenza. Ed essere per riforme istituzionali che allarghino la partecipazione, che preservino (riportino) il proporzionale e le preferenze, un Parlamento che abbia veri poteri per bilanciare e controllare il Governo (soprattutto se si andasse verso forme di elezione diretta del Presidente), e – anche se impopolare – il finanziamento pubblico dei partiti/della politica altrimenti chi ne sostiene le spese? Un partito in cui anche i corpi intermedi, le autonomie (locali, economiche e sociali), i diritti trascendenti della persona e il valore sociale della famiglia, il pluralismo, il lavoro come elemento di libertà e di affermazione della persona siano punti da cui non prescindere. Come detto il cattolicesimo, che non rivendica posti o potere, nelle vicende politiche è il fuoco, il combustibile di una politica progressista perché intende (riprendendo l’invito di papa Francesco) attivare processi. E i processi guardano al cambiamento radicale dei paradigmi sociali, andando oltre la semplice gestione del governo e delle amministrazioni.
In ogni caso serve trovare il modo di fare formazione. Anche questo è un discorso complesso perché faticano le stesse comunità ecclesiali a preparare e formare alla cittadinanza, all’impegno sociale, alla responsabilità pubblica e il cattolicesimo è minoritario nella società. Però la questione è fondamentale affinché si mantenga una cultura cattolico democratica.
Il magistero di papa Francesco, che arricchisce e amplia anche quello post conciliare, fornisce riferimenti essenziali e preziosi. Prima ancora dei contenitori è importante far conoscere e apprezzare i contenuti perché diventino cultura che fermenta le coscienze e i comportamenti. Fuoco e combustibile per dare futuro all’Italia e all’Europa.
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