In una stagione dominata dall’incertezza e schiacciata su un effimero e illusorio momento presente – il qui ed ora che per Hegel rappresenta il livello più basso della conoscenza – spicca lo straordinario lavoro intellettuale di Guido Bodrato, un maestro per generazioni di cattolici democratici, dopo esser stato uno dei migliori e più lungimiranti esponenti di punta della Democrazia cristiana, raccolto nel volume Le stagioni dell’intransigenza sugli anni del PPI di Sturzo, nazionale e piemontese, fra fascismo e bolscevismo. Accanto al valore storico e scientifico della pubblicazione, edita dalla Fondazione Carlo Donat-Cattin, vi è un’analisi politica di grandissima attualità.
La linea interpretativa degli eventi seguita da Bodrato conduce a individuare dei fili che sembrano riallacciarsi a distanza di un secolo, pur nelle mutate condizioni storiche fra il periodo della breve vita del Partito popolare di Sturzo, dell’ascesa del fascismo, e il nostro tempo. Una tesi certamente capace di suscitare dibattito. Anche perché mentre il libro andava in stampa ci sono state le elezioni che hanno riportato alla guida del governo, come per uno scherzo della Storia, proprio nel mese in cui si celebrava il centenario della Marcia su Roma, una forza in qualche modo erede, pur nella dichiarata presa di distanza dal fascismo, della tradizione storica della destra sociale.
Inoltre, allora come adesso, si assiste a dei vorticosi cambiamenti di ogni tipo, con effetti non meno dolorosi per i ceti popolari di quelli causati dalla Grande Guerra. Allora come oggi, volendomi azzardare nel continuare a cercare dei parallelismi fra i due periodi storici, quello in cui ha operato il PPI e il nostro, pur tendendo conto della grande diversità dei contesti, si ha una sinistra che, pur essendo prevalentemente non più espressione dei ceti popolari bensì della borghesia medio-alta, continua ad apparire incline al richiamo delle sirene del massimalismo, non più rappresentato dal bolscevismo ma dall’ideologia dei miliardari, che strumentalizza e deforma con il monopolio sulla narrazione cause a volte in sé anche giuste per il loro interesse alla ricerca del potere globale. In mezzo ci stanno ora come allora, le istanze popolari alle quali né la destra autoritaria, né quella liberale, né la sinistra sanno offrire risposte adeguate. E la voce spesso disattesa dell’Insegnamento Sociale della Chiesa.
Eppure dobbiamo riflettere sul fatto che negli anni venti del secolo scorso, pur a fronte del fatto che il fascismo prese il potere con la violenza, non gli mancò affatto il consenso popolare. Mi pare questa la questione centrale che pone Bodrato e che si ripercuote sull’attualità. Perché la proposta di una destra presidenzialista che mira a perseguire un disegno di governo forte come principale risposta al convulso declino della classe media gode oggi di un così grande consenso? E cosa si può fare per evitare che le divisioni, l’ignavia o la latitanza delle culture politiche democratiche e popolari possano permettere alle risposte “forti”, autocratiche di prendere il sopravvento?
Se da un lato appare confortante il fatto che la destra non è maggioritaria nel Paese (ha vinto solo per effetto della legge elettorale, si fosse votato col proporzionale con ogni probabilità avremmo ora un governo Draghi bis), deve invece preoccupare il fatto che lo scorso 25 settembre l’astensionismo è aumentato di 4,5 milioni di elettori in un colpo solo. Se si vuole puntare a ricondurre alla partecipazione questa massa di elettori, che è decisiva, e ad evitare che si (ri)congiunga al blocco di centrodestra, occorre mettere in campo una politica che né la destra al governo né questa sinistra snob all’inverosimile sembrano in grado di esprimere. Qui a mio avviso, sta lo spazio politico per una nuova iniziativa dei Popolari, in accordo con altre forze affini. Se invece si punta a fare, in un caso, solo operazioni di lifting al Partito Democratico, o in un altro caso, a mettere in piedi un centro senza politica, già degnamente rappresentato dai partiti-persona di Renzi e Calenda, allora le preoccupazioni espresse da Bodrato sulla fase attuale, alla luce di quanto successe al partito dei Liberi e Forti di Sturzo, rischiano di potersi manifestare in tutta la loro pericolosità.
Non è una cosa banale impegnarsi perché ciò non accada. In questo forse sta la riconoscenza maggiore verso questa opera del presidente emerito dei Popolari piemontesi: ci richiama tutti a sentire, e a far sentire, a svegliare le coscienze, alla responsabilità del momento storico.
La linea interpretativa degli eventi seguita da Bodrato conduce a individuare dei fili che sembrano riallacciarsi a distanza di un secolo, pur nelle mutate condizioni storiche fra il periodo della breve vita del Partito popolare di Sturzo, dell’ascesa del fascismo, e il nostro tempo. Una tesi certamente capace di suscitare dibattito. Anche perché mentre il libro andava in stampa ci sono state le elezioni che hanno riportato alla guida del governo, come per uno scherzo della Storia, proprio nel mese in cui si celebrava il centenario della Marcia su Roma, una forza in qualche modo erede, pur nella dichiarata presa di distanza dal fascismo, della tradizione storica della destra sociale.
Inoltre, allora come adesso, si assiste a dei vorticosi cambiamenti di ogni tipo, con effetti non meno dolorosi per i ceti popolari di quelli causati dalla Grande Guerra. Allora come oggi, volendomi azzardare nel continuare a cercare dei parallelismi fra i due periodi storici, quello in cui ha operato il PPI e il nostro, pur tendendo conto della grande diversità dei contesti, si ha una sinistra che, pur essendo prevalentemente non più espressione dei ceti popolari bensì della borghesia medio-alta, continua ad apparire incline al richiamo delle sirene del massimalismo, non più rappresentato dal bolscevismo ma dall’ideologia dei miliardari, che strumentalizza e deforma con il monopolio sulla narrazione cause a volte in sé anche giuste per il loro interesse alla ricerca del potere globale. In mezzo ci stanno ora come allora, le istanze popolari alle quali né la destra autoritaria, né quella liberale, né la sinistra sanno offrire risposte adeguate. E la voce spesso disattesa dell’Insegnamento Sociale della Chiesa.
Eppure dobbiamo riflettere sul fatto che negli anni venti del secolo scorso, pur a fronte del fatto che il fascismo prese il potere con la violenza, non gli mancò affatto il consenso popolare. Mi pare questa la questione centrale che pone Bodrato e che si ripercuote sull’attualità. Perché la proposta di una destra presidenzialista che mira a perseguire un disegno di governo forte come principale risposta al convulso declino della classe media gode oggi di un così grande consenso? E cosa si può fare per evitare che le divisioni, l’ignavia o la latitanza delle culture politiche democratiche e popolari possano permettere alle risposte “forti”, autocratiche di prendere il sopravvento?
Se da un lato appare confortante il fatto che la destra non è maggioritaria nel Paese (ha vinto solo per effetto della legge elettorale, si fosse votato col proporzionale con ogni probabilità avremmo ora un governo Draghi bis), deve invece preoccupare il fatto che lo scorso 25 settembre l’astensionismo è aumentato di 4,5 milioni di elettori in un colpo solo. Se si vuole puntare a ricondurre alla partecipazione questa massa di elettori, che è decisiva, e ad evitare che si (ri)congiunga al blocco di centrodestra, occorre mettere in campo una politica che né la destra al governo né questa sinistra snob all’inverosimile sembrano in grado di esprimere. Qui a mio avviso, sta lo spazio politico per una nuova iniziativa dei Popolari, in accordo con altre forze affini. Se invece si punta a fare, in un caso, solo operazioni di lifting al Partito Democratico, o in un altro caso, a mettere in piedi un centro senza politica, già degnamente rappresentato dai partiti-persona di Renzi e Calenda, allora le preoccupazioni espresse da Bodrato sulla fase attuale, alla luce di quanto successe al partito dei Liberi e Forti di Sturzo, rischiano di potersi manifestare in tutta la loro pericolosità.
Non è una cosa banale impegnarsi perché ciò non accada. In questo forse sta la riconoscenza maggiore verso questa opera del presidente emerito dei Popolari piemontesi: ci richiama tutti a sentire, e a far sentire, a svegliare le coscienze, alla responsabilità del momento storico.
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