Europa, vaccini e conflitti di interesse



Beppe Mila    24 Novembre 2022       5

Se le persone oggi sono preoccupate e tristi, volti che esprimono una società senza guizzi di fantasia e senza fiducia nel futuro, non è solo colpa della guerra ucraina, della crisi energetica e dell’inflazione a doppia cifra. La sfiducia nel futuro nasce anche dal discredito delle istituzioni, e non sto pensando alle politica politicante della nostra italietta. Penso all’Europa, su un tema che tocca tutti: la tutela della salute di fronte alla pandemia.

Lunedì 10 ottobre al Parlamento Europeo (seduta della Commissione a Bruxelles) la signora Janine Small, capo di tutta l’area commerciale mercati esteri della Pfizer (in pratica il numero due della multinazionale farmaceutica) ha candidamente ammesso, su precisa domanda, che non sono mai stati fatti test sul vaccino Covid per verificare se fermasse o meno i contagi. In pratica la signora ha detto che il loro preparato avrebbe dovuto attenuare gli effetti del Covid per le persone infette ma che non impediva a chi era vaccinato, né di contagiarsi e nemmeno di contagiare gli altri. A precisa domanda la risposta testuale della Small è stata: “Mi chiede se sapevano se il vaccino interrompesse o no la trasmissione prima di immetterlo sul mercato? Ma no!”.

La signora Small era a Bruxelles al posto del CEO Pfizer Albert Bourla che ha declinato l’invito per diversi motivi, non ultimo quello per cui avrebbe dovuto dar spiegazioni sulle mail private intercorse sull’acquisto di milioni di dosi con la Presidente UE Ursula Gertrude Albrecht (coniugata von der Leyen).

Al rilievo fattole che nell’Unione Europea ci sono procedure da seguire, protocolli di acquisto etc., e che una trattativa personale privata era fuori luogo, la risposta della Small è stata ancora una volta sorprendente: “Certo che lo sapevamo, però c’era urgenza, quindi le procedure sono saltate” e sulle mail intercorse con la von der Leyen, sorridendo beffarda ha detto che erano state cancellate, quindi non si poteva risalire a nulla. Per la cronaca un ristretto numero di europarlamentari tra cui l’italiana Francesca Donato, ha chiesto una commissione d’inchiesta e l’apertura di un procedimento contro la von der Leyen, dubito però che ciò vada avanti.

Per rimanere sul tema, o meglio in famiglia, due giorni prima che il nuovo governo italiano di Giorgia Meloni ottenesse la fiducia alle camere, il signor Heiko von der Leyen (marito della signora Ursula) ha dato le dimissioni da membro del Consiglio di Sorveglianza della Fondazione creata dall’Università di Padova per lo sviluppo di terapie geniche e farmaci con tecnologia Rna. Il Consiglio di Sorveglianza è la struttura che controlla i danèè.

Questa fondazione si aggiudica fondi del PNRR pari a 320 milioni di euro (320.036.606), fondi che tutti sanno sono elargiti dalla UE, la cui presidente è la moglie di Heiko.

Parlare di conflitto di interessi è un eufemismo. Avrei due curiosità: la prima è come mai il signor von der Leyen sente la necessità di dimettersi al varo di un nuovo governo; la seconda, come mai il governo precedente, quello dei migliori, dei tecnici più bravi, di SuperMario, non si è accorto di questa grossa anomalia?

Credo che entrambi i fatti sopra riportati siano di una gravità inaudita e tutto un racconto (quello sul Covid) sia stato fortemente compromesso, sia per la parte medica ma soprattutto per quella economica e della trasparenza.

Sul Covid in Italia lo scorso anno il senso della misura si è un po’ perso, da tutte le parti in causa. Oggi il clima un po’ sta cambiando e la migliore sintesi è quella che ho sentito da Paolo Mieli ai microfoni di Radio 24 con Simone Spetia lunedì 31 ottobre alle 8.30: “Premesso che ho fatto tre dosi e farò la quarta e la quinta, devo dire che da vaccinato mi sono contagiato e ho contagiato altre persone. Ma l’errore è nostro perché abbiamo chiamato vaccino un farmaco che in teoria dovrebbe proteggere noi stessi soltanto, perché non è come il vaccino del tetano o del vaiolo che una volta fatti proteggono per sempre o almeno per un numero elevato di anni, quindi obiettivamente chi non si è vaccinato al massimo rischiava di suo ma non infettava gli altri”. Tutti possono riascoltarlo nel podcast di 24mattino di Radio24.

A fronte di un simile dramma vissuto da tutti, chi in maniera grave, chi con notevoli ricadute economiche, finanziarie e sul proprio tenore di vita, mi sarei aspettato perlomeno un clima da riconciliazione, favorito in primo luogo dalla classe politica. Così non è stato, anzi i pasdaran di entrambe le parti sono più agguerriti che mai. Questo non porta né al benessere né al superamento della crisi energetica ed economica, perché la crisi è dentro di noi, una crisi che toglie agli italiani la voglia di sorridere.

A fronte del reintegro in corsia dei sanitari non vaccinati si può essere in accordo o disaccordo, anche se ormai i fatti dimostrano che fu una scelta esclusivamente politica. Il ritorno al lavoro di migliaia di persone. a mio avviso, è qualcosa da salutare sempre con gioia, specie da parte di quelle forze politiche che si richiamano al lavoro e ai lavoratori. Mai mi sarei aspettato che un partito importante, il PD piemontese, presentasse istanza alla Regione Piemonte per disattendere la norma nazionale varata dal CdM e si attivasse per impedire che i sanitari non vaccinati tornino al lavoro.

Mi pare un altro segno eloquente della crisi di identità che il PD attraversa. Un partito che chiede di punire semplici cittadini su un tema così delicato lo trovo sbagliato, anche se a ben guardare si inquadra nel solco che il PD ha da tempo ha tracciato, in teoria paladino dei diritti individuali – spesso astratti – ma favorevole al controllo e alle limitazioni delle libertà in nome di un presunto “politicamente corretto”. È anche per questo senso di costrizione che i volti delle persone in strada non sono più sorridenti come una volta. E nel contempo da Bruxelles e dintorni arrivano i segnali di cui abbiamo parlato, che ci danno l’idea di un’Europa non madre premurosa ma matrigna.


5 Commenti

  1. L’ottimo articolo di Mila pone problemi enormi di cui si fa fatica persino a concepire la gravità.
    Ma un dato ci deve rendere ottimisti. Il progetto politico globale dell’era delle pandemie è stato fermato, perché la maggior parte degli stati americani lo ha respinto, insieme all’Africa e gran parte dell’Asia. E la Cina ha usato il pretesto dello zero Covid a modo suo per bonificare il sud-est del Paese da spie e agitatori occidentali, e per contenere l’inflazione. A differenza dell’Italia, che per molti aspetti è un Paese a sovranità limitata e che non poteva in alcun modo sottrarsi al piano pandemico ordito dai miliardari globalisti e portato avanti tramite il loro controllo della stampa e degli ordini professionali strategici.
    La gran parte dei nostri politici ha agito bene, per ridurre i danni di questo inaudito e vigliacco attacco alla democrazia e ai diritti fondamentali della persona che si è verificato dal 2020 al 2022, e per farlo bisognava mostrarsi o almeno fingersi, più covidisti, pandemisti e vaccinisti di Bill Gates, in attesa che l’inganno si sgonfiasse da solo.
    Il covid è stato una grande impostura, la gente ha capito, spesso sulla propria pelle, che hanno usato le influenze e i virus respiratori, che sempre sono esistiti, per fini inconfessabili.
    Da questi quasi tre anni di prove di dittatura digital-terapeutica dobbiamo imparare che anche i piani malvagi sostenuti da famiglie,gruppi e organizzazioni di inimmaginabile ricchezza e potenza, possono essere sconfitti, dal popolo e da quella parte di élite sana, che ha conservato il timor di Dio.
    Si può dire che la dura esperienza degli ultimi tre anni ci ha resi tutti vaccinati contro il rischio di un uso sovversivo delle malattie nell’eventualità che dovessero riprovarci.

  2. Posso essere d’accordo con l’amico Beppe Mila quando afferma che la sfiducia nel futuro nasce anche dal discredito delle istituzioni, e che a determinarla abbia contribuito pure il comportamento di chi (a partire da Ursula Von der Leyen) ha avuto il compito di affrontare la pandemia da Covid: conflitti di interesse, non osservanza delle procedure, collusioni con le ditte produttrici di vaccini e farmaci, ecc. Ci può anche essere stato il tentativo dei governi di distrarre l’opinione pubblica dalle molte inadempienze spostando tutta l’attenzione sulla pandemia (come oggi capita con la guerra in Ucraina).
    Ma ciò è cosa assai diversa dal considerare la pandemia l’occasione (se non il pretesto) per dare corso ad una trasformazione autoritaria di taglio totalitario, messa in atto da una élite globalista, tipo quella di Davos, (come adombra il commento dell’amico Giuseppe Davicino), una élite che utilizzerebbe anche l’argomento del cambiamento climatico ed altre criticità per sottrarre libertà e diritti alla gente e affermare il proprio potere.
    Tuttavia, il Covid c’è, e non è un’impostura. Fa centinaia di migliaia di morti e deve essere affrontato con i mezzi a disposizione: i vaccini, le quarantene, i farmaci quando ce ne sono di efficaci. La vaccinazione può proteggere per tutta vita (come l’antivaiolosa), per una decina di anni (come per la febbre gialla o il tetano), per un anno o meno (come per l’influenza), e per un tempo più limitato quando il virus è molto soggetto a mutazioni (come nel Covid), ma resta sempre il primo strumento da usare. Assurde sono poi le denunce circa i pericoli che la vaccinazione anticovid comporterebbe: pericoli ci sono sempre con qualunque farmaco (basta leggere i bugiardini), ma nel caso della vaccinazione in questione sono inferiori a quelli derivanti dal prendere un’aspirina.
    Pertanto, contesto alla radice questa teoria che considera strumentali le criticità incombenti (pandemia, modificazioni climatiche, deterioramento ambientale, ecc.), fenomeni ritenuti inesistenti, o sopravvalutati, utilizzati da chi vuole imporre al mondo un potere totalitario.
    In effetti, un pericolo totalitario c’è, ma è di natura totalmente diversa da quella che immaginano i sostenitori della predetta teoria (così come quanti vedono pericoli fascisti ovunque). Costoro sono rimasti indietro di 50 anni, all’epoca in cui il totalitarismo era quello orwelliano, modellato sullo stalinismo (vedi “1984” il più esplicito libro di George Orwell in argomento) in cui il potere si impone con mezzi coercitivi, con i divieti, introducendo limitazioni ai desideri e ai modi di vita della gente.
    Oggi è il contrario. Come ho scritto in “Il rifiuto dei limiti e del passato”, la minaccia non viene da una sorta di Spectre, ma è il frutto di quella linea di pensiero da anni dominante nell’intero Occidente volta a certificare e sancire l’affermazione planetaria del turbocapitalismo grazie alla sua capacità di esercitare il controllo sulla vita delle persone plasmandole sulla propria necessità di crescita fine a se stessa, imponendo ad esse bisogni, aspettative, stili di vita. Per fare ciò, cancella la sovranità degli Stati, contrappone i diritti alle decisioni politiche, abbatte i confini, pone il mercato con i suoi automatismi al di sopra di ogni cosa.
    Se vogliamo guardare alle più note distopie, è quella di Aldous Huxley che coglie al meglio il cammino su cui siamo avviati. Ne ha fatto più volte cenno Benedetto XVI trovando convergenze tra molti dei fenomeni e delle situazioni attuali e quelli descritti nel “Mondo nuovo” di Huxley.
    Il punto comune è l’esaltazione di un individualismo estremo che non accetta più limiti in alcun ambito a partire dal rigetto della componente biologica dell’essere umano, così aprendo la strada alla sua manipolazione biotecnologica. Seguono: il rifiuto di ogni appartenenza (familiare, culturale, nazionale, di genere); lo schiacciamento su un presente assoluto, senza memoria e attese, dove conta solo la soddisfazione immediata (sesso, droghe, consumismo, ecc.); la considerazione che la vita non conta in quanto tale ma solo per la sua qualità: pertanto, quando questa difetta (per sofferenza, insoddisfazione, malattia, vecchiaia) è meglio non vivere, ed altrettanto vale per quanti sono considerati degli “scarti”.
    Per questa strada, viene meno tutto ciò che fa di un essere umano un soggetto degno di rispetto, consapevole, una persona che si realizza nella dimensione sociale. Resta una marea di individui-numero, nella sostanza (al di là della pretesa libertà individuale) dei cloni sui quali ogni potere si esercita indisturbato.

    • Il confronto, e possibilmente il dialogo, fra posizioni e prospettive diverse è il sale della democrazia ma è anche ciò di cui difetta il discorso pubblico attuale. Come sempre le considerazioni di Giuseppe Ladetto stimolano il dibattito, e alla fine nelle sue conclusioni intravvedo più di un punto di convergenza perché ci portano ad interrogarci sui rapporti di forza tra il popolo, la classe media da una parte e le élite occidentali nelle quali, per una singolare eterogenesi dei fini delle democrazie liberali, sembra concentrato un potere, non soggetto a controllo, a cui neanche le monarchie assolute ante rivoluzione francese erano mai giunte.
      La questione aperta nel nostro tempo mi pare essere quella di come non lasciar schiacciare i ceti intermedi da dei disegni di governo globale che, in un modo o nell’altro (e di questo si potrebbe discutere) non esprimono più una visione rispettosa della dignità dell’uomo, avendo perso il senso del limite e il senso del trascendente, sostituiti rispettivamente da un nuovo positivismo e da espressioni, antiche quanto il mondo, fra le più torbide dell’esoterismo.

  3. Giuseppe Davicino e Giuseppe Ladetto sono due persone le quali , oltre alla stima profonda , considero amicizie di valore, pur essendo distanti e non frequentandoci assiduamente.
    Davicino, forse con una prosa più garibaldina, ad una lettura superficiale potrebbe per i seguaci del mainstream, essere iscritto al partito dei complottisti (del resto io stesso quasi ogni giorno vengo accusato di appartenervi).
    Ladetto invece con una analisi articolata e con un percorso lineare, ben illustra quella che è la società odierna o meglio verso quale direzione va. Chi ha letto “Il rifiuto dei limiti e del passato” pubblicato qui da poco, non può non convenire sul fatto che scrive le stesse cose di Davicino, sfortunatamente per noi. Specie quando dice, ed io condivido totalmente, che non è di Orwell il mondo in cui viviamo, ma quello di Huxley. Questo è drammatico e sinceramente pur non essendo più giovane, è l’incubo ricorrente che ho quando vado a dormire. Quindi, a costo di ripetermi, la nostra Associazione ha al suo interno forze vive e con cognizione di causa sui temi più attuali del giorno… dovrebbe valere molto di più e noi dovremmo esser capaci di farci ascoltare di più , ma sinceramente credo che accadrà sempre di più il contrario, purtroppo.

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