Lo sterile pignisteo sull’irrilevanza dei cattolici



Giancarlo Infante    1 Novembre 2022       1

È proprio così: continua il piagnisteo dei cattolici che si lamentano della propria irrilevanza in politica. E se lo dicono tra di loro. Stanno ad aspettare la manna dal cielo. Tra l’altro, in un contesto in cui devi entrare a far parte dei “nominati” dai cinque sei capipartito che decidono la composizione delle liste elettorali. E questo ha un bel prezzo, come del resto dimostra l’esperienza trentennale, a destra come a sinistra, di quei parlamentari che si fregiano della dicitura “cattolico”.

In politica non ti regala niente nessuno. La rilevanza te la devi guadagnare.

Dall’irrilevanza i cattolici italiani non usciranno mai più se non torneranno a “ragionare politicamente” come dicevano Lazzati e Paolo VI. Se non lo faranno pienamente consapevoli di essere rappresentanti di questioni sociali e antropologiche che nessuno cura e mette insieme come andrebbe fatto. E non basta limitarsi agli appelli rivolti, per lo più, a chi non li accoglie. A questi incontri, che finiscono talvolta per diventare una sorta di seduta psicoanalitica, partecipa ogni tanto qualche commentatore esterno che, impietosamente, li sferza e allarga la piaga perché conferma le evidenti incapacità politiche di un mondo in gran parte rifluito nella propria intimità.

L’ultima occasione è venuta da un incontro bolognese cui hanno partecipato, con il ruolo di “sferzatore” assunto da Ernesto Galli della Loggia, il cardinale Matteo Zuppi, Presidente della CEI e pastore tra i più attenti all’impegno pubblico, Marco Impagliazzo di Sant’Egidio e Davide Prosperi di Comunione e Liberazione. Oltre che un contorno di nomi altisonanti di solito associati al cosiddetto “mondo cattolico”.

Per alcuni versi, si è finito anche stavolta, del tutto involontariamente, a mischiare i problemi della Chiesa – che in quella italiana non mancano – e la presenza dei laici in politica. Cose, per certi versi, completamente distinte o che, almeno, richiedono la necessità di distinguere ciò che riguarda la comunità dei fedeli e quanto, invece, richiama l’impegno pubblico da parte di chi lo fa sulla base di un’ispirazione cristiana.

Non è questa la sede, e neppure c’è l’intenzione, per affrontare i gravi motivi di divisione interni alla comunità dei fedeli e quelli che agitano i loro pastori. Da tempo, la nostra riflessione è meramente di natura politica. E nel tenere assolutamente ferma questa distinzione, emerge quanto le cose siano più chiare ed evidenti e quali siano i punti da affrontare, davvero, per ciò che riguarda un impegno pubblico che vada oltre l’azione caritatevole, personale o associativa.

Intanto, forse, sarebbe cosa buona e giusta smetterla di parlare di un indistinto “mondo cattolico”. Già 100 anni fa Sturzo ebbe ben chiaro che i cattolici hanno davanti diverse opzioni politiche. E le perseguono. Lo hanno sempre fatto, indipendentemente dalle prese di posizione da parte della Gerarchia. Questo a maggior ragione dopo il Concilio Vaticano II. A proposito del quale, semmai, dobbiamo dire che la Chiesa italiana non ha ancora completato quel necessario processo in base al quale anche i laici dovrebbero assumere un ruolo sostanziale riconosciuto, sì, in via di principio, ma mai pienamente raggiunto. Il problema del laicato nella Chiesa è, almeno visto dall’ultima panca dell’ultima parrocchia dove siamo indegnamente in molti seduti, questione irrisolta. E questo riguarda i laici, ma in primo luogo, deve fare interrogare i consacrati.

Ciò premesso, il pluralismo significa che, in un contesto di accesa polarizzazione qual è quello politico italiano, i cattolici si sono spaccati tra destra e sinistra ed hanno dato vita a quella che il predecessore di Zuppi, il cardinale Gualtiero Bassetti, definì la divisione tra “quelli della morale” e “quelli del sociale”. Una divisione che, in realtà, appare sempre più di natura eminentemente politica, anche se tutti i coinvolti lo escludono e accampano le ragioni più disparate per stare da una parte in maniera militante invece che nell’altra. Poi c’è sempre la giustificazione che prova a chiudere la bocca: è colpa del sistema elettorale! Ma poi non ci s’impegna a cambiarlo.

Esistono tuttavia altre due opzioni. La prima, è quella che sembra la più largamente praticata: riflusso nell’individualismo, quando va bene nello spirituale, e contemporanea, crescente astensione dalle urne. Moltissimi sono i cattolici che sentono lontana, se non addirittura controproducente, la politica. Già i sondaggi ce lo dicevano mesi e mesi fa. Il 25 settembre scorso, a rigor di logica, dovrebbero essere addirittura aumentati, visto di quanto è ulteriormente cresciuto il numero degli astenuti. A ben guardare, dunque, neppure la destra convince, a maggior ragione quella guidata da Giorgia Meloni. E, dunque, anche il rosario brandito al posto di un volantino elettorale o il definirsi cristiani mentre si fa un comizio non sembrano avere più appeal.

La seconda, è quella in cui crediamo noi. La necessità di proporre un impegno pubblico destinato a tradurre l’ispirazione cristiana, l’anelito ad occuparsi del prossimo non solo nella dimensione privata, andando al cuore dei problemi collettivi che creano disparità socio economica. Inoltre, nel cercare di proporre soluzioni anche a quelli di natura morale e antropologica senza limitarsi ad un’enunciazione di principi, ma affrontando i temi più critici in termini legislativi e nella consapevolezza che la difesa di fondamentali principi deve avvenire nel concreto degli equilibri politici e parlamentari.

A questo riguardo non possiamo non far notare che, nel corso degli ultimi decenni, il nocumento più grave a tali principi è venuto proprio quando si è accettata la logica della contrapposizione ideologica e la si è fatta diventare scontro politico. Si è insomma seguita quella logica imposta dalla visione radicale dell’estremizzazione invece che del ricercare punti concreti di oggettiva condivisione, sapendo che su di essi esiste una sintonia con il grosso degli italiani che vogliono, di solito, essere partecipi di una conciliazione e non di uno scontro di cui, spesso, si finisce per perdere i contorni logici e razionali.

Inoltre, ma senza alcun spirito di polemica, non si può non notare come su questi temi “sensibili”, al momento del dunque, anche quando i numeri parlamentari consentivano di raggiungere dei risultati, non si è fatto poi molto per ottenerli. E questo perché, a destra come a sinistra, i parlamentari d’estrazione o di formazione cattolica hanno finito per fra prevalere il senso dell’appartenenza politica e non altro.

Ora, noi vediamo che la destra, più sul piano dell’immagine che su quello dei voti, sembra godere del sostegno, o dell’acquiescenza di una parte di quello che potremmo definire il “cattolicesimo ufficiale”. E i motivi sono di vario genere, ma per i quali solo il futuro ci dirà se i risultati confermeranno una tanto compromissoria responsabilità. È un tema su cui dovremo approfondire. Ma già adesso vi sono degli elementi che suscitano uno spontaneo, mutatis mutandis, abbandonarsi alla ricerca di una sorta di parallelismo, visto che siamo in periodo di anniversari, con l’atteggiamento che la Chiesa italiana ebbe con il fascismo cento anni fa. Salvo poi pentirsene. Ma ci vollero le uccisioni di alcuni preti per mano fascista e gli assalti all’Azione Cattolica perché, con lungimiranza e discrezione, si cominciasse via via ad attivare quel percorso del tutto diverso, un percorso che noi sentiamo calorosamente e nostalgicamente vicino, e ahinoi orfani, legato all’azione dell’allora monsignor Montini.

Il Paese, non la Chiesa e non certamente personalmente noi, ha bisogno di una diversa “virilità” pubblica da sostanziare in un impegno chiaro, preciso perché la solidarietà, un riscoperto senso della vita e dell’esistenza, ma anche nuovi paradigmi economici e sociali vengano proposti sulla base del riferimento alla Costituzione e del Pensiero sociale della Chiesa.

Dall’irrilevanza non si esce con la produzione di appelli, o comunque non solo con quella, e neppure pensando di ricevere in dono posizioni di potere e posti in Parlamento dai rappresentanti di altre culture politiche. Se ne esce sollecitando la risposta da parte di questa politica a una domanda fondamentale che riguarda l’Italia e gli italiani: dove vogliamo andare, quale società vogliamo non auspicare, ma costruire. E nel fare ciò aggregare sapendo che quel riferimento congiunto alla Costituzione e al Pensiero sociale dei cattolici non alberga in nessun altro partito o coalizione. Mentre esiste ancora una forte passione popolare che è presente nei circoli culturali e associativi, in molti gruppi parrocchiali, nel mondo della cultura e, persino, in organizzazioni politiche popolari e in tante liste civiche che nascono spontaneamente, ma restano in una logica locale, per rappresentare il “pensiero forte” di un’ispirazione specifica e del tutto particolare cui l’ufficialità del mondo cattolico, continuiamo a chiamarlo così, non dà peso.

Poi, ognuno nel chiuso della propria coscienza farà i conti con quello che papa Francesco ha detto, a tutti e non solo ai cattolici, con la Fratelli tutti, la Laudato si’ e la continua sollecitazione ad accettare la sfida lanciata dal mondo che ci bussa ogni minuto alla porta, quello vero insomma, non quello rappresentato e immiserito della politica italiana.

Continuiamo a parlare della nostra irrilevanza. Riflettiamo su quanto ce la meritiamo…

(Tratto da www.politicainsieme.com)


1 Commento

  1. Analisi assolutamente condivisibile. Perole chiare e significative. È raro di questi tempi riuscire a leggere analisi così puntuale e dense di significato. Analisi che fanno pensare e che dovrebbero anche far agire!

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