Alleanze mutevoli in un percorso obbligato



Giuseppe Davicino    9 Agosto 2022       0

In queste elezioni anomale e veloci di fine estate anche la fase della formazione delle alleanze e della compilazione delle liste sembra assumere un carattere inedito. Sulle alleanze appare in difficoltà soprattutto il centrosinistra che fatica a riconoscere l'ovvio. Vale a dire che i collegi uninominali maggioritari per funzionare avrebbero bisogno di grandi partiti capaci al loro interno di tenere insieme le diversità con il collante di un programma politico unitario. In assenza di tale condizione non resta che una somma quantitativa, che funge da tram sulla quale salgono per stato di necessità simulacri di partiti desiderosi di seggi difficili come non mai da ottenere per la drastica riduzione del numero dei parlamentari che penalizzerà territori e classi sociali più deboli.

La destra si fa meno patemi nel sommare le mele con le pere e tuttavia l'uninominale le si potrà rivelare meno accomodante di quel che immagina, non tanto per la frammentazione del voto dovuta a nuove liste antisistema, quanto per l'incertezza sulle dimensioni che potrà assumere l'astensionismo.

È chiaro che se alla fine rimarrà qualcuno al centro capace di porre un limite politico alle asfissianti esigenze del maggioritario, questo qualcuno, anche se in passato si è dimostrato capace di generare divisioni più che consensi, pur avendo dato prova nel bene e nel male di notevole intelligenza politica nei passaggi cruciali, ebbene questo qualcuno, noto anche come leader di Italia Viva, potrebbe finire col raccogliere, quasi per inerzia, un consenso consapevole di quanto poco sia aderente alle necessità di questa fase una dialettica politica che punta tutto sulla delegittimazione dell'avversario per affermare se stessa. Ovvero la domanda di una genuina politica di centro, non fatta di nostalgie ma protesa al futuro.

Un progetto che sarebbe rafforzato dalla apertura a soggetti e movimenti che vi si riconoscono (possibilmente non solo Calenda ma realtà politiche e sociali espressione di una cultura di centro, della quale alla fine sembra difettare lo stesso Renzi), e da un tasso di rappresentanza sociale e territoriale quantomeno sufficiente rispetto all'autoreferenzialità inscalfibile dei due poli principali.

In ogni caso le culture politiche di centro, anche quelle che hanno già stretto alleanze, possono esercitare un ruolo importante se riusciranno a imprimere alla brevissima campagna elettorale post ferie d'agosto un senso diverso da quello in cui rischia di scadere, della mera delegittimazione dell'avversario, in favore invece di un confronto sul come affrontare un percorso che pare in gran parte definito nei suoi tratti essenziali, con la prosecuzione, dopo il voto, della formula di governo della solidarietà nazionale, incentrata su una alleanza di necessità tra il partito di Enrico Letta e quello di Giorgia Meloni.

Come domare l'inflazione, riportare sotto controllo il prezzo dell'energia, assicurare al Paese, e per nostro tramite, all'Europa nuovi flussi di gas e di petrolio che compensino e sostituiscano quello russo, potenziare o ricollocare in Italia le produzioni strategiche, fare politiche espansive che non destino troppe preoccupazioni in Europa o scatenino ingiustificati comportamenti sui mercati finanziari, modernizzare e digitalizzare, tenendo le tecnologie come meri strumenti al servizio dell'uomo anziché come messaggeri di un'epoca transumana. Affrontare tutto questo, e molto altro, richiede un patrimonio di credibilità e autorevolezza, ben riassunto e non facilmente eguagliabile, nelle caratteristiche dell'attuale premier Mario Draghi, sul quale il sistema politico ha l'occasione di misurarsi in questo periodo elettorale per recuperare una fiducia che altrimenti rischia di svanire ulteriormente.


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