Sull’Ucraina sembra trionfare l’irresponsabilità



Giuseppe Ladetto    23 Luglio 2022       2

In queste settimane, è un fiorire di discorsi in cui, a proposito dell’Ucraina, si parla di un conflitto tra un aggressore e i patrioti che difendono il loro Paese. Di conseguenza noi italiani (lo dicono le nostre massime autorità) ci dobbiamo schierare con l’aggredito e sostenerlo fino alla vittoria perché la guerra potrà concludersi solo con il riconoscimento delle sue ragioni.

In realtà, da sempre, le cose del mondo sono molto più complesse, e i torti e le ragioni non si possono separare con un tratto di spada, tanto più che (come ha detto Romano Prodi) lo scontro in atto è, nella sostanza, fra Stati Uniti e Russia, essendo l’Ucraina il terreno su cui si gioca la partita della definizione di un nuovo assetto internazionale

Gli storici sovente distinguono fra chi ha dato inizio a una guerra (con una formale dichiarazione o con una azione offensiva) e chi, nei fatti, l’ha provocata o ne ha posto le premesse. Le due figure possono certamente coincidere, ma spesso non è così.

Un esempio classico è quello della guerra franco-prussiana del 1870. Ad iniziarla, è stata la Francia di Napoleone III, spinto da un’opinione pubblica che voleva la Prussia in ginocchio, ma, a provocarla, è comunemente ritenuto essere stato Bismarck che ha sventolato, al momento giusto, un drappo rosso davanti al toro francese, scatenandolo in una carica a testa bassa.

Anche oggi nella vicenda ucraina (le cui premesse si sono andate creando nell’arco di anni), le due figure sopracitate (aggressore e provocatore) in notevole misura non si sovrappongono, al contrario di quanto pretendono molti commentatori. Lo dicono autorevoli esperti di questioni geopolitiche.

Lucio Caracciolo ha scritto che Putin è l’aggressore in Ucraina, ma che nel pluriennale confronto, sempre più teso, fra America e Russia, quest’ultima è sempre stata sulla difensiva (essendo Putin consapevole delle limitate potenzialità militari, demografiche ed economiche del suo Paese rispetto all’avversario). Da ciò, deduco che qualcun altro sia stato all’offensiva.

Noti politologi americani, come George Kennan, Paul Nitze, Henry Kissinger e Robert McNamara (già detentori di importanti incarichi politici e diplomatici della repubblica a stelle e strisce) hanno considerato l’espansione della NATO verso le frontiere della Russia una provocazione che avrebbe avuto conseguenze negative e pericolose. Alcuni di loro hanno detto che l’estensione della NATO all’Ucraina riproporrebbe (a parti inverse) lo scenario drammatico del 1962 con la vicenda dei missili sovietici a Cuba.

Anche per Andrea Riccardi, della Comunità di Sant’Egidio, (“Avvenire” del 5 marzo) la Russia è stata umiliata e circondata dalla NATO e, per reazione, ora cerca di rilanciarsi attraverso una sua presenza imperiale. Per uscire da tali pericolose dinamiche, aggiunge, bisogna porre termine quanto prima a questa guerra in Ucraina lasciando una via di fuga al leader russo.

Ora, a seconda dei punti di vista, torti e ragioni possono essere distribuiti diversamente fra quelli che sono i veri contendenti (Russia e Stati Uniti), ma dovrebbe essere chiaro a tutti che la vicenda è intricata, e nessuno ha le mani nette. È una premessa necessaria per affrontare con realismo una situazione che crea lutti e dolore a chi vi è direttamente implicato, e guasti rilevanti a larga parte del mondo.

Henry Kissinger ha più volte ribadito che le crisi internazionali si superano solo con i compromessi, cercando di sminare il terreno dai maggiori fattori di contrasto per giungere a nuovi durevoli equilibri tra le potenze. Tuttavia sentiamo dire (anche in casa nostra) che è antistorico parlare di “potenze” in un mondo globalizzato sempre più aperto al multilateralismo: pertanto, Cina e Russia vengono invitate ad abbandonare questa logica ottocentesca. Ma le potenze ci sono (lo affermano tutti gli esperti di geopolitica) a partire da quella Numero Uno sempre intenta a difendere il suo primato, ad accrescere il proprio ruolo, e, se possibile, a restare l’unica in campo nel pianeta. Quindi, invece di farsi la guerra, sarebbe meglio per tutti che le potenze giungessero a una qualche convivenza riconoscendo i legittimi interessi, le preoccupazioni e i timori di ciascuna parte.

Invece, si preferisce invocare il diritto internazionale per dirimere la questione di chi abbia torto o ragione nella vicenda ucraina dimenticando le tante volte in cui proprio quanti oggi lo invocano hanno palesemente violato ogni sua regola. Fra questi, in primis ci sono gli USA, che in genere hanno cercato di mascherare le proprie cattive azioni con assai opinabili motivazioni umanitarie o in nome della diffusione della democrazia, ma talora – specie quando si è trattato di America latina (come ad esempio a Grenada e Panama), considerata “roba loro” – non hanno nemmeno tentato di fornire giustificazioni: hanno agito, punto e basta.

Pertanto, piuttosto che ricorrere a un “diritto” che di volta in volta viene piegato alle convenienze (sempre del più forte), sarebbe opportuno che i potenti mettessero le carte in tavola palesando i propri interessi e, senza ipocrisie, mercanteggiassero (ciò che solitamente sanno fare) tenendo conto però anche degli intessi degli altri, a partire di quelli che maggiormente patiscono della guerra in corso.

Perché non si trova modo di chiedere (con consultazioni gestite dall’ONU) a chi vive in Crimea, nel Donbass o nei territori russofoni che cosa vuole, dove stare o con chi stare? Coinvolgere la popolazione nella definizione del proprio destino non è mai sbagliato.

Ma si ribatte subito che così si esautora il governo ucraino che legittimamente rappresenta la nazione. Dario Fabbri in una trasmissione televisiva ha fatto, come sempre, un discorso molto concreto. Dietro ai molti Paesi di cui le carte degli atlanti disegnano i confini evidenziandone i territori con i diversi colori, c’è sovente una situazione disgregata, frantumata che non consente di considerarli delle vere entità statali come gli organismi internazionali vorrebbero intenderli. È il caso di molti paesi africani i cui confini, a suo tempo, sono stati tracciati con il righello dalle potenze coloniali, e anche quello di territori devastati e smembrati da conflitti recenti come Libia, Siria e Iraq. Pure l’Ucraina disegnata sulle carte geografiche (comprensiva di Crimea e Donbass), dice Fabbri, non corrisponde alla situazione di fatto.

Quindi la ricerca di una soluzione deve partire dalla realtà, tenendo conto degli equilibri internazionali e possibilmente delle aspirazioni di chi abita i territori contesi. Compito difficile, ma non la quadratura del cerchio.

Da tempo, chiunque osservi con lucidità il succedersi degli avvenimenti si rende conto che il mondo intero sta andando incontro a tempi difficilissimi. Innanzitutto, c’è il riscaldamento climatico che procede a un ritmo forse superiore a quello fino a ieri previsto da molti scienziati, e di cui già oggi si fanno sentire i pesanti effetti negativi. C’è la pandemia non ancora pienamente sotto controllo, mentre già se ne intravedono altre. Le crisi alimentari, che i fautori della globalizzazione avevano ritenuto non più possibili, si riaffacciano all’orizzonte non solo per la guerra, ma anche per la siccità, per i frequenti danni provocati da un clima anomalo, per il progressivo esaurimento o rincaro delle risorse (materiali ed energetiche) necessarie all’agricoltura.

Di fronte a queste incombenti minacce, la ragione imporrebbe di mettere da parte tutti i conflitti dettati da logiche di potenza, da rese dei conti tra storici avversari, da velleità di imporre agli altri il proprio dominio, le proprie esigenze, la proprie idee e i propri valori. Dovrebbe prevalere l’interesse comune a contrastare con efficacia le predette calamità unendo le forze.

Invece vediamo accadere il contrario: le strategie belliche e le misure per colpire il “nemico” con tutti i mezzi a disposizione inducono a fare passi sconsiderati, come ostacolare il commercio di cereali e generi alimentari, o come riattivare le centrali a carbone e rallentare la transizione energetica pur di giungere a fermare le importazioni di gas e di petrolio dalla Russia, mentre stiamo già vivendo, con la siccità e il gran caldo, le prime avvisaglie di ciò che di ben peggio ci attenderà nei prossimi anni. Nel frattempo, si mettono in campo sempre nuove sanzioni senza tener conto dell’inevitabile effetto boomerang che crea danni non solo alla parte avversa ma anche a chi le propone e ai Paesi terzi. Inoltre, sentiamo dire che la guerra potrà, o addirittura dovrà, durare anni: secondo una parte, fino alla sconfitta di chi ha violato le norme internazionali; secondo l’altra parte, fino a quando i confini del Paese saranno messi in sicurezza e tenuto distante da essi ogni potenziale nemico.

Sembra trionfare l’irresponsabilità, o l’incapacità di percepire i molti pericoli cui si va incontro a partire da una guerra mondiale con ricorso ad armi nucleari.

Mentre quei Paesi (rappresentativi di oltre metà dell’umanità) che non si sono schierati e fatti coinvolgere nelle sanzioni e nei boicottaggi guardano con crescente inquietudine e apprensione agli eventi, voci preoccupate per la deriva in corso cominciano a farsi sentire anche in Occidente tra chi non si fa travolgere dal clima emotivo e militante oggi imperante, e perfino in Russia fra quanti (superando l’atavico timore di essere aggrediti da ovest) si rendono conto che il Paese sta percorrendo un cammino sbagliato e pericoloso. Dobbiamo impegnarci perché tali voci diventino ovunque più forti e più numerose.


2 Commenti

  1. Quello che Ladetto propone, la ricerca di un equilibrio win-win, vantaggioso per tutte le potenze, come già fanno i BRICS fra di loro, è il metodo per evitare il peggio. È l’Occidente che deve decidere la fine della guerra in Ucraina, le sue élites paiono dilaniate al loro interno (basta vedere lo scontro in atto nel Regno Unito per la successione a Johnson tra l’indiano Rishi Sunak e Liz Truss fautrice della guerra alla Russia fino all’ultimo ucraino).
    Ladetto ci ricorda un’altra cosa importante: la politica internazionale è basata sui rapporti di forza. Meglio riconoscerli e collaborare che negarlo per coprire le mire di una sola delle parti.
    E senza mai dimenticare, soprattutto per coloro che si sentono urtati da come Draghi gestisce l’aiuto all’Ucraina, usando toni roboanti e poi però nei fatti ricorrendo a tutti gli stratagemmi per depotenziare il conflitto, che noi abbiamo e conserviamo lo status di Paese vinto, e dunque molto ancora ci è precluso sulla scena internazionale, nonostante quasi 80 anni di storia repubblicana che ci ha “redenti” dal nostro più grave errore: l’alleanza con l’Impero Centrale, il Patto d’Acciaio col 3° Reich.

  2. Stimatissimo Ladetto, la leggo sempre per la lucidità e l’onestà dei suoi giudizi sulla guerra Russo-Ucraina, che ne ho sempre condiviso e previsto le nefaste conseguenze. E’ mancato un negoziatore convincente come Giorgio La Pira, per fermare la guerra sul nascere, che ha avuto la sfortunata conseguenza tutta italiana del Governo Draghi. Dobbiamo prepararci per creare una grande e propositiva “Europa Carolingia” (quella dei 9 stati trainanti con l’83% del PIL complessivo, dei 27 attuali) in grado di offrire al mondo un originale miracolo economico, con l’ottimismo ed il pragmatismo lapiriano che ci ha contraddistinto dopo la seconda guerra mondiale:
    a) indipendenza energetica,
    b) indipendenza alimentare,
    c) difesa comune sovranazionale
    d) una scuola superiore per la formazione dei futuri quadri nazionali .
    Se siamo giunti a poter scrivere i fatti con più respiro e speranza, il nostro plauso va alle seguenti premesse: “Quando Putin invade l’Ucraina io mi indigno e grido contro Putin perché è un invasore”, chiedo l’intervento della diplomazia. “Tutto il Parlamento, tranne una decina di deputati, vota compatto per mandare le armi in Ucraina: Sansonetti, direttore de Il Riformista e Paolo Liguori, che condivide l’opinione dell’amico e collega, spingono sulla linea della diplomazia: ripetono sempre che bisogna trattare. La verità è che non soltanto Draghi, ma tutti i suoi cloni europei hanno sbagliato e sbagliano a mandare armi in Ucraina. Siamo ammaliati dalla figura dell’uomo forte, senza il quale non riusciamo neppure a respirare, poiché ci fa stare bene il pensiero che egli ci sia come un padre amoroso, che ci coccola nella nostra sfera di comfort. Eppure la storia e i miti sono pieni di aneddoti simili, basti pensare ad Omero nell’Iliade tremila anni fa, ci vediamo tutti con la faccia come i troiani, quando non diedero ascolto a Cassandra e fecero varcare le mura al cavallo! Draghi ha sbagliato non doveva inviare armi a Zelensky, “novello cavallo di Troia”, doveva negoziare, come ha fatto il sultano turco. Il Parlamento italiano ha innescato un furore diseducativo collettivo, abbiamo deciso l’aumento delle spese militari più otto miliardi di altro debito pubblico e con lo spread oltre 200 punti. Soltanto d’interessi l’Italia versa nelle casse dell’UE 100 miliardi di Euro/anno. Oltre a mantenere i rifugiati in generale, così facendo il reddito degli italiani è scemato fino al punto da non avere occhi per piangere. Il mondo è eccitato dalla guerra, il guerrafondaio Biden a Putin: “Criminale assassino”. Succede quando chi ci governa non ha soluzioni per i problemi reali di un vivere civile e di pace. Secondo Putin, l’Occidente è malato e ci vuole pulizia, per questo ventimila mercenari occidentali sono in Ucraina. Riccardi di Sant’Egidio, doveva sostenere a gran voce Papa Francesco, “Spes contra spem” invece, anche lui col bollino blu, si è limitato ad una debole disapprovazione. Ho letto con molto piacere il documento politico programmatico di “Insieme”, c’è tutto e lo condivido al 200 per cento, è come una Ferrari, ma per vincere occorre un pilota bravo come Schumacher, che non vedo in organico.

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