Al voto, dunque, il 25 settembre. Elezioni in autunno (la prima volta dal lontano 1919), a rischio di non approvare in tempo la Legge finanziaria o, forse peggio, di abborracciarne una, senza né capo né coda, solo per rispettare la scadenza di fine anno. Questo l'esito, inimmaginabile fino a una decina di giorni fa, di una settimana tra le più folli che abbia mai conosciuto la politica italiana.
L'irresponsabilità di Giuseppe Conte, combinata al cinismo di Matteo Salvini e Silvio Berlusconi, ha provocato la caduta del governo di unità nazionale e l'uscita di scena di Mario Draghi, il più autorevole e prestigioso uomo politico che in questo momento potessimo schierare. E tutto in barba ad una pandemia non ancora del tutto domata, ad una ripresa economica che stenta a consolidarsi, ad un grave conflitto alle frontiere dell'Europa.
Ai gravi problemi che ci attanagliano, il trio Conte-Salvini-Berlusconi ha risposto aprendo una crisi di governo a dir poco assurda. Grottesca poi la condotta del M5S, che ha mandato in frantumi il quadro politico per una questione a dir poco secondaria come la realizzazione di un termovalorizzatore a Roma. E gettando così a mare gli aiuti alle famiglie e alle imprese, le intese sul salario minimo, la riforma fiscale, la lotta contro l'inflazione che rialza la testa.
Inutile comunque guardare indietro. Gli occhi sono ormai puntati sulla scadenza elettorale. Tra poco più di due mesi si vota e bisognerà capire cosa accadrà. I sondaggi hanno sinora premiato Fratelli d'Italia che stando all'opposizione sono riusciti a capitalizzare il malcontento che sempre si aggruma attorno a qualsiasi governo. Da tempo Giorgia Meloni, leader Fdi, spingeva per il voto anticipato, con una litania giornaliera al limite della comicità. Ora è stata accontentata e vedremo se i sondaggi si tramuteranno davvero in voti reali.
Intanto l'abbiamo già sentita discettare di presidenzialismo, ritenuto uno dei primi punti in agenda in caso di vittoria nelle urne. Vedremo. Come staremo a vedere in che modo si disporrà l'alleanza di centro-destra o meglio di destra, visto che la componente centrista è del tutto irrilevante. E per capire di che pasta sono i leader di questo schieramento è sufficiente un minimo episodio. Alla domanda sulla fuoriuscita da Forza Italia di Maria Stella Gelmini e di Renato Brunetta, due storiche colonne del partito, Berlusconi se ne è uscito con un irriguardoso “riposino in pace”. Per poi parlare di tradimento. Parole che stridono con quella cultura liberale, fondata sul rispetto delle persone, di cui il Cavaliere pretende di essere l'epigone.
Di fronte a questa destra tracotante, quasi sicura di vincere, è indispensabile un progetto alternativo che veda il Pd come perno del centro-sinistra. Occorre poi allargare il campo. Non però in direzione 5S, essendo impensabile concludere un patto con una formazione tanto inaffidabile, ma guardando al centro.
Per battere la destra serve una grande coalizione riformista di afflato europeo che in tutti i collegi uninominali – dove si gioca la partita decisiva - veda candidature comuni tra Pd e centristi di ogni provenienza. I vari Renzi, Calenda, Toti, Di Maio, Tabacci devono smettere di giocare in proprio, coltivando il proprio orticello, ma federarsi in un'Unione repubblicana per rappresentare quegli elettori moderati che non sentono come casa propria la destra sovranista.
L'alleanza Pd-Leu-centristi è la sola carta vincente per non consegnare il Paese a questa destra. La sfida è di quelle ardue. Vale però la pena di lanciarla avendo come orizzonte l'“agenda Draghi”: bussola riformista per un'Italia che merita qualcosa di più del populismo della destra e dell'inconcludenza del M5S.
L'irresponsabilità di Giuseppe Conte, combinata al cinismo di Matteo Salvini e Silvio Berlusconi, ha provocato la caduta del governo di unità nazionale e l'uscita di scena di Mario Draghi, il più autorevole e prestigioso uomo politico che in questo momento potessimo schierare. E tutto in barba ad una pandemia non ancora del tutto domata, ad una ripresa economica che stenta a consolidarsi, ad un grave conflitto alle frontiere dell'Europa.
Ai gravi problemi che ci attanagliano, il trio Conte-Salvini-Berlusconi ha risposto aprendo una crisi di governo a dir poco assurda. Grottesca poi la condotta del M5S, che ha mandato in frantumi il quadro politico per una questione a dir poco secondaria come la realizzazione di un termovalorizzatore a Roma. E gettando così a mare gli aiuti alle famiglie e alle imprese, le intese sul salario minimo, la riforma fiscale, la lotta contro l'inflazione che rialza la testa.
Inutile comunque guardare indietro. Gli occhi sono ormai puntati sulla scadenza elettorale. Tra poco più di due mesi si vota e bisognerà capire cosa accadrà. I sondaggi hanno sinora premiato Fratelli d'Italia che stando all'opposizione sono riusciti a capitalizzare il malcontento che sempre si aggruma attorno a qualsiasi governo. Da tempo Giorgia Meloni, leader Fdi, spingeva per il voto anticipato, con una litania giornaliera al limite della comicità. Ora è stata accontentata e vedremo se i sondaggi si tramuteranno davvero in voti reali.
Intanto l'abbiamo già sentita discettare di presidenzialismo, ritenuto uno dei primi punti in agenda in caso di vittoria nelle urne. Vedremo. Come staremo a vedere in che modo si disporrà l'alleanza di centro-destra o meglio di destra, visto che la componente centrista è del tutto irrilevante. E per capire di che pasta sono i leader di questo schieramento è sufficiente un minimo episodio. Alla domanda sulla fuoriuscita da Forza Italia di Maria Stella Gelmini e di Renato Brunetta, due storiche colonne del partito, Berlusconi se ne è uscito con un irriguardoso “riposino in pace”. Per poi parlare di tradimento. Parole che stridono con quella cultura liberale, fondata sul rispetto delle persone, di cui il Cavaliere pretende di essere l'epigone.
Di fronte a questa destra tracotante, quasi sicura di vincere, è indispensabile un progetto alternativo che veda il Pd come perno del centro-sinistra. Occorre poi allargare il campo. Non però in direzione 5S, essendo impensabile concludere un patto con una formazione tanto inaffidabile, ma guardando al centro.
Per battere la destra serve una grande coalizione riformista di afflato europeo che in tutti i collegi uninominali – dove si gioca la partita decisiva - veda candidature comuni tra Pd e centristi di ogni provenienza. I vari Renzi, Calenda, Toti, Di Maio, Tabacci devono smettere di giocare in proprio, coltivando il proprio orticello, ma federarsi in un'Unione repubblicana per rappresentare quegli elettori moderati che non sentono come casa propria la destra sovranista.
L'alleanza Pd-Leu-centristi è la sola carta vincente per non consegnare il Paese a questa destra. La sfida è di quelle ardue. Vale però la pena di lanciarla avendo come orizzonte l'“agenda Draghi”: bussola riformista per un'Italia che merita qualcosa di più del populismo della destra e dell'inconcludenza del M5S.
??condivido parola per parola.
Ma anche nel PD bisogna smettere di coltivare personalismi e correnti varie. Altrimenti non si vince
Concordo in pieno con l’analisi e con la proposta di federazione rivolta ai tanti e vari raggruppamenti di centro e di sinistra.
Si é discusso a lungo sulla litigiosità e sulla irrefrenabile tendenza suicida dei raggruppamenti di piccola e media entità soprattutto di sinistra ma non solo.
Questa volta però ci troviamo nel bel mezzo di quella che si preannuncia come una tempesta perfetta le cui variabili sfuggono in buona parte al nostro esclusivo controllo.
Pertanto, se, come ci si augura, resiste ancora qualche residuo frammento di senso dello Stato e di bene comune, è questo il momento di farlo emergere e di fargli manifestare tutta la potenziale energia.
Agli elettori non interessano minimamente le danze e le contraddanze fra attori, piccolissimi o grandi che siano, sul palcoscenico, le interminabili soporifere elucubrazioni sul campo largo o un po’ meno largo, le reciproche demonizzazioni, le esternazioni dei cantanti pop. La gente, con un suo certo intelligente qualunquismo, è sostanzialmente più matura dei mestieranti della politica. Credo che occorrerebbe calare sul tavolo alcune proposte concrete, di metodo e di programma. Che cosa ci angustia? Scelgo dal mazzo: la siccità. Perché non proporre un grande piano per a) ristrutturare la rete idrica (un piano di lavori pubblici in senso roosveltiano capace di creare occupazione e PIL) per evitare gli enormi sprechi accertati b) reimpostare i sistemi di irrigazione (chiedere a qualche consulente israeliano?) c) creare impianti di desalinizzazione? E sul metodo: anziché intortarsi nelle ridicole accuse di scarso patriottismo a un avversario politico (ma non eravamo tutti antisovranisti?) avviare un grande dibattito sulla politica estera italiana colta in una prospettiva storica, sul ruolo dell’Europa, sulla guida dell’Europa (questo uno dei temi destinati a tenere banco nei prossimi anni: il Quad, Francia, Germania, italia, Spagna vs. i Paesi baltici), la postura dell’Italia verso Russia e Cina, il rapporto con l’Alleanza atlantica (atlantismo passivo o atlantismo attivo e partecipato?); un dibattito che deve fare perno in Parlamento ma coinvolgere il mondo accademico e la componente più sensibile e consapevole della società civile. E il tema dei rapporti con i paesi del c.d. terzo mondo ( per usare un termine ormai stagionato) e della migrazione con un dibattito che apra finalmente uno spazio al realismo combinato con le istanze etiche, lontano dall’estremismo dei razzisti da una parte e dal fanatismo di chi vorrebbe aprire senza riserva alcuna le frontiere a un’immigrazione incontrollata e devastante per i nostri fragili equilibri sociali? la questione ecologica inoltre andrebbe discussa con la consapevolezza della sua enorme complessità. E i giovani? Perché nei paesi europei più avanzati un dottorando è in grado di mantenersi con lo stipendio che percepisce dall’ente presso cui svolge la sua attività di studio e ricerca e in Italia non può che sperare di avere una famiglia sufficientemente benestante alle spalle (Draghi fece un giusto riferimento a tale questione)? Ecco la campagna elettorale dovrebbe essere l’innesco di un approccio diverso, pragmatico, di sostanza ai problemi che solo la politica può affrontare nella prospettiva del bene comune. Invece… sono solo bei sogni…