Svezia e Finlandia nella Nato: questo, a tutt'oggi, il solo dato certo di una guerra i cui esiti sono più incerti che mai. Il presidente russo Vladimir Putin voleva, ad ogni costo, impedire che l'Ucraina facesse ingresso nella Nato per non avere l'alleanza militare occidentale alle porte di casa ed oggi della stessa alleanza faranno parte due Paesi sinora neutrali. La guerra da lui stesso scatenata ha però cambiato del tutto ogni scenario.
Quella di Helsinki e Stoccolma è infatti un'ovvia contromisura per proteggersi da possibili, anche se assai poco probabili, colpi di mano dell'imprevedibile padrone del Cremlino. D'altronde, come dar loro torto? Se la Svezia è un po' più defilata, non confinando direttamente con la Russia, la Finlandia condivide con i russi una frontiera di oltre mille km, in mezzo alla tundra nordica. Una linea priva di rilievi naturali che può venir infranta in qualsiasi momento. E a quel punto? Ecco allora la necessità di impedire a monte quest'evenienza, per quanto remota possa essere.
Un rischio che del resto – altro elemento che ha giocato nella scelta verso la Nato – Helsinki ha già conosciuto nel 1939 quando fu attaccata dall'Urss di Stalin. Fu una guerra impari tra la piccola Finlandia e il gigante sovietico, in quel momento alleato della Germania nazista. Un conflitto, tra distese di neve e laghi ghiacciati, che noi italiani scoprimmo, giorno dopo giorno, grazie agli articoli di Indro Montanelli sul Corriere della Sera. Nonostante l'unanime ammirazione suscitata dalla resistenza finnica, e gli aiuti che essa ricevette, furono i russi a prevalere, sebbene subendo perdite assai più ingenti di quanto avessero preventivato. Alla fine alcuni territori finlandesi passarono sotto il controllo di Mosca.
Un copione che, forse, sta per ripetersi oggi in Ucraina. Sarà difficile mantenere intatta la piena integrità territoriale del Paese. Inutile illudersi o, peggio ancora, illudere il popolo ucraino. Il Donbass andava difeso prima, con le armi della politica, concedendo alla componente russofona uno statuto di autonomia sotto sovranità ucraina. Così da togliere qualsiasi alibi al dittatore russo. Europa e Stati Uniti avrebbero dovuto fare pressioni su Kiev perché si muovesse in quella direzione, quando la guerra era ancora lontana, giungendo, tanto per capirci, ad un assetto grosso modo simile a quello presente a casa nostra in Alto Adige o in Spagna, nei Paesi Baschi e in Catalogna. Logiche concilianti – va detto - alquanto estranee al mondo ex sovietico, sia esso russo o ucraino, per sua natura poco avvezzo agli accomodamenti con la controparte di turno.
In ogni caso da qualche settimana Kiev sta arrancando e Mosca, seppure in mezzo a notevoli difficoltà, avanza e conquista terreno. Un cessate il fuoco è per ora soltanto un auspicio, senza che all'orizzonte se ne prospetti seriamente la possibilità. Persino sulla questione del grano è difficile trovare un minimo punto di intesa.
Un contesto generale, dunque, ancora privo di punti fermi, tranne, per l'appunto, l'adesione finnico-svedese al Patto atlantico. Le obiezioni della Turchia sono state superate con un accordo tra Ankara e le due capitali nordiche, in particolare sul supporto, presunto o reale che fosse, a quello che i turchi chiamano terrorismo curdo. Che terrorismo in realtà non è proprio, ma la lotta di una minoranza oppressa che combatte per la propria libertà. Ancora una volta la realpolitik fa a pezzi le legittime aspirazioni all'indipendenza di questo popolo che ha combattuto contro l'Isis a fianco dell'Occidente.
Di riffa o di raffa, Svezia e Finlandia saranno comunque presto protette dall'art.5 del trattato Nord atlantico che prevede la mutua assistenza ai Paesi membri qualora attaccati da un potenza straniera. Per lunghi decenni, quando c'erano la Guerra fredda e il comunismo, Helsinki e Stoccolma sono vissute nella massima tranquillità. D'altronde l'Urss – per quanto implacabile con i suoi satelliti, Praga e Budapest ne sanno qualcosa - era una grande nazione che si sentiva responsabile del mantenimento della pace mondiale, come si vide con i missili di Cuba nel 1962. Al contrario la Russia attuale mostra una totale mancanza di questa consapevolezza. Un mutamento genetico di cui occorre prendere atto.
Di conseguenza la Lituania ringrazia ogni giorno di essere nella Nato, altrimenti attorno a Kaliningrad potrebbe esservi qualche rischio, e Svezia e Finlandia si riparano sotto l'ombrello atlantico. Viene da pensare che se l'Ucraina fosse entrata nella Nato nel 2008, quando aleggiò una proposta del genere, oggi non sarebbe stata invasa. Magari non è così, ma forse non siamo poi tanto lontani dal vero.
Quella di Helsinki e Stoccolma è infatti un'ovvia contromisura per proteggersi da possibili, anche se assai poco probabili, colpi di mano dell'imprevedibile padrone del Cremlino. D'altronde, come dar loro torto? Se la Svezia è un po' più defilata, non confinando direttamente con la Russia, la Finlandia condivide con i russi una frontiera di oltre mille km, in mezzo alla tundra nordica. Una linea priva di rilievi naturali che può venir infranta in qualsiasi momento. E a quel punto? Ecco allora la necessità di impedire a monte quest'evenienza, per quanto remota possa essere.
Un rischio che del resto – altro elemento che ha giocato nella scelta verso la Nato – Helsinki ha già conosciuto nel 1939 quando fu attaccata dall'Urss di Stalin. Fu una guerra impari tra la piccola Finlandia e il gigante sovietico, in quel momento alleato della Germania nazista. Un conflitto, tra distese di neve e laghi ghiacciati, che noi italiani scoprimmo, giorno dopo giorno, grazie agli articoli di Indro Montanelli sul Corriere della Sera. Nonostante l'unanime ammirazione suscitata dalla resistenza finnica, e gli aiuti che essa ricevette, furono i russi a prevalere, sebbene subendo perdite assai più ingenti di quanto avessero preventivato. Alla fine alcuni territori finlandesi passarono sotto il controllo di Mosca.
Un copione che, forse, sta per ripetersi oggi in Ucraina. Sarà difficile mantenere intatta la piena integrità territoriale del Paese. Inutile illudersi o, peggio ancora, illudere il popolo ucraino. Il Donbass andava difeso prima, con le armi della politica, concedendo alla componente russofona uno statuto di autonomia sotto sovranità ucraina. Così da togliere qualsiasi alibi al dittatore russo. Europa e Stati Uniti avrebbero dovuto fare pressioni su Kiev perché si muovesse in quella direzione, quando la guerra era ancora lontana, giungendo, tanto per capirci, ad un assetto grosso modo simile a quello presente a casa nostra in Alto Adige o in Spagna, nei Paesi Baschi e in Catalogna. Logiche concilianti – va detto - alquanto estranee al mondo ex sovietico, sia esso russo o ucraino, per sua natura poco avvezzo agli accomodamenti con la controparte di turno.
In ogni caso da qualche settimana Kiev sta arrancando e Mosca, seppure in mezzo a notevoli difficoltà, avanza e conquista terreno. Un cessate il fuoco è per ora soltanto un auspicio, senza che all'orizzonte se ne prospetti seriamente la possibilità. Persino sulla questione del grano è difficile trovare un minimo punto di intesa.
Un contesto generale, dunque, ancora privo di punti fermi, tranne, per l'appunto, l'adesione finnico-svedese al Patto atlantico. Le obiezioni della Turchia sono state superate con un accordo tra Ankara e le due capitali nordiche, in particolare sul supporto, presunto o reale che fosse, a quello che i turchi chiamano terrorismo curdo. Che terrorismo in realtà non è proprio, ma la lotta di una minoranza oppressa che combatte per la propria libertà. Ancora una volta la realpolitik fa a pezzi le legittime aspirazioni all'indipendenza di questo popolo che ha combattuto contro l'Isis a fianco dell'Occidente.
Di riffa o di raffa, Svezia e Finlandia saranno comunque presto protette dall'art.5 del trattato Nord atlantico che prevede la mutua assistenza ai Paesi membri qualora attaccati da un potenza straniera. Per lunghi decenni, quando c'erano la Guerra fredda e il comunismo, Helsinki e Stoccolma sono vissute nella massima tranquillità. D'altronde l'Urss – per quanto implacabile con i suoi satelliti, Praga e Budapest ne sanno qualcosa - era una grande nazione che si sentiva responsabile del mantenimento della pace mondiale, come si vide con i missili di Cuba nel 1962. Al contrario la Russia attuale mostra una totale mancanza di questa consapevolezza. Un mutamento genetico di cui occorre prendere atto.
Di conseguenza la Lituania ringrazia ogni giorno di essere nella Nato, altrimenti attorno a Kaliningrad potrebbe esservi qualche rischio, e Svezia e Finlandia si riparano sotto l'ombrello atlantico. Viene da pensare che se l'Ucraina fosse entrata nella Nato nel 2008, quando aleggiò una proposta del genere, oggi non sarebbe stata invasa. Magari non è così, ma forse non siamo poi tanto lontani dal vero.
E’ vero che oggi, probabilmente, ci troveremmo di fronte ad un altro scenario, se Europa e Stati Uniti avessero fatto pressioni su Kiev, quando la guerra era ancora lontana, perché venisse concesso, alla componente russofona del Donbass, uno statuto di autonomia sotto sovranità ucraina, così togliendo pretesti alla Russia. Ma siamo sicuri che chi conta in Occidente avesse questa intenzione? Se Kiev ha sempre respinto gli accordi di Minsk e rivendicato il possesso della Crimea, è perché alle sue spalle c’era chi spingeva in tale direzione per giungere ad un duro confronto con Mosca, quello oggi raggiunto, o altrimenti per umiliare l’avversario mostrandone l’impotenza, se avesse dovuto chinare la testa.
La dura realtà è quella espressa da Giuseppe Ladetto, lapalissiana, certo poi se guardiamo i voltafaccia occidentali degli ultimi anni c’è da vomitare. L’ultimo la svendita ed il via libero al massacro dei curdi con contorno di belle frasi del principe di Draghistan, quello che chiamò Erdogan un dittatore ed oggi lo chiama caro amico. Ma la vera domanda è: come mai gli italiani si fanno prendere per i fondelli in modo così plateale senza ribellarsi minimamente?
L’ articolo di Novellini fotografa bene la realtà. Le obiezioni di Ladetto e di Mila sono valide. Ma….l’ atteggiamento di Europa ed Italia nel recente passato non sono frutto di incapacità di capire il contesto. Sono lo stato di necessità di entità che sono vasi di coccio costretti a viaggiare con vasi di ferro. Certo questa situazione richiama responsabilità molto gravi nel passato vecchio e recente. Possiamo solo sperare che i governanti europei attuali abbiano imparato qualcosa dagli errori del passato (ma di ciò non vi è certezza). Dunque ora dobbiamo ingoiare il rospo e pagare il “pizzo” al sultano, come già abbiamo fatto quando l’abbiamo pagato per fare il lavoro sporco contro i migranti disperati. Ma io temo che la percentuale di Europei che provano vergogna di tutto questo sia molto modesta. Dunque nel 1815 l’Italia era un appellativo geografico. Nel 2015 l’Europa era un appellativo geografico. Nel 2025 sarà davvero unita? O vinceranno gli Orban?