Su www.politicainsieme.com il giornale online che quotidianamente propone contenuti programmatici e riflessioni degli aderenti a INSIEME, si è sviluppato un interessante confronto sulla guerra in Ucraina tra Domenico Galbiati, filoatlantista e sostenitore della “guerra giusta” di Zelensky, e Massimo Brundisini, preoccupato del bellicismo di Biden e del futuro dell’Europa. Pubblichiamo i loro ultimi interventi.
di Domenico Galbiati
Dura da tre mesi, senza un attimo di respiro, l’inferno di fuoco e di morte scatenato da Putin contro il popolo ucraino. Una guerra bestiale, di distruzione sistematica. Mirata su ospedali, scuole, teatri. Costellata da crimini di guerra. Accompagnata dal cinismo dei tanti “negazionisti” che vorrebbero rovesciarne la responsabilità dall’altra parte.
Eppure non si è ancora sentito un appello dei “pacifisti” che inviti Putin a tornarsene a casa. Neppure una marcia che sventoli le bandiere di un paese che sta subendo un autentico martirio. Tanto meno una manifestazione, un presidio davanti all’ambasciata russa. Ancor meno un documento dei tanti intellettuali in servizio permanente effettivo che si compiacciono dei sottili distinguo e dei capziosi rovesciamenti di fronte con cui esercitano il loro protagonismo narcisistico e le loro presunzioni ideologiche, smentite da quel tribunale della storia in cui confidavano.
La cosiddetta “operazione militare speciale” viene condotta con una efferatezza di cui l’esercito russo ha dato prova in altri teatri di guerra. Nel frattempo, alla cruda brutalità dei fatti si è andata sovrapponendo una coltre di interpretazioni, analisi, commenti, prese di posizione, pregiudizi, supposizioni, letture ideologiche e preconcette che offuscano la capacità di discernimento e di giudizio. Il dramma della sofferenza inaudita inferta al popolo ucraino si stinge su uno sfondo grigio ed opaco in cui tutto può essere, ad un tempo, vero, verosimile o falso. Infine tutto si mischia: pacifisti seri e nostalgici dell’ imperialismo sovietico, anti-americani per principio, amanti del quieto vivere e menefreghisti, sovranisti e filo-putiniani, politici compromessi ed intimoriti. Accomunati dalla curiosa tesi secondo cui se gli ucraini la piantassero di resistere, le cose, in un modo o nell’ altro, si aggiusterebbero.
Basta non umiliare Putin e sapere di cosa si accontenti. E costringe Zelensky a subire, come pare abbia sostenuto l’intemerato Cavaliere, il diktat dell’amico Vladimir. Ovviamente, si deve percorrere la via diplomatica, ottenere il “cessate il fuoco” per poi avviare trattative di pace. Nel quadro, se possibile, di una “nuova Helsinki”, che non potrà se non richiamare il rispetto della Carta delle Nazioni Unite, anche laddove tutela l’integrità territoriale dei singoli Stati.
Cercare con determinazione la via della pace, forzare i primi passi, avviare un primo tratto di un tale difficile cammino, non significa, però, in alcun modo condurre una analisi approssimativa di ciò che è successo, tanto meno confondere la pace con un compiacente “buonismo”. La ricerca della pace per essere moralmente credibile deve essere preceduta d un sincero moto di indignazione che ancora non si è visto. Senza temere di offendere la suscettibilità di Putin. In caso contrario, finiremmo per legittimare tacitamente il buon diritto della violenza ad essere remunerato. Come sostiene chi pensa che l’invasione dell’Ucraina abbia acceso a favore di Putin un credito che gli va riconosciuto, almeno in termini di qualche annessione territoriale. Cosa ne sarebbe a livello delle relazioni internazionali, se dovesse venire asseverato un simile precedente?
Siccome la violenza è un tutt’uno che si tiene da capo a coda, perché se finisce per essere sostanzialmente legittimata tra Stati – che sono la dimensione più alta e maggiormente inclusiva delle relazioni umane – non dovrebbe godere di altrettanta “man leva” ad ogni altro livello? Certo non si può prescindere da una buona dose di “realpolitik”, ma bisogna essere attenti a quali e quanti virus immetta nel corpo sociale, lasciando che poi, sia pure silenziosamente, attraverso percorsi carsici che neppure avvertiamo, ne mini, nel tempo, l’integrità.
Non è irrilevante, ad esempio, la campagna di odio contro l’Occidente che i media russi perseguono giorno per giorno. Non si tratta solo di quella “propaganda” che, per certi aspetti, è comprensibilmente un versante della stessa strategia militare e neppure di disinformazione, ma piuttosto di sistematica menzogna, al limite dell’ inverosimile e di volgare manipolazione del cuore e della mente di un popolo. Si tratta di una vera e propria pedagogia bellicista e c’è da chiedersi cosa possiamo attenderci, nel futuro prossimo, da giovani generazioni educate all’odio, alla menzogna, al furore bellico. E’ sconvolgente, ad esempio, l’insistenza con cui i canali televisivi russi descrivono puntualmente ed esaltano il potere distruttivo e letale delle fantasmagoriche nuove armi segrete, vantate come terribili e risolutive, non meno di quanto fossero le famigerate V2 per la propaganda di Hitler. Tutto ciò fa pensare alla necessità di saldare o prevenire possibili smagliature del fronte interno e, quindi, ad una condizione morale del popolo russo preoccupante. Del resto, che concezione e che rispetto ne ha un dittatore che lo tratta come uno zerbino?
I popoli sono fiori che avvizziscono quando viene meno la linfa della libertà e la loro dignità viene vilipesa. Fino a che punto il marxismo-leninismo, fondato sulla dottrina del materialismo dialettico ha inaridito la grande anima del popolo russo? Nazionalismo esasperato, culto della forza, esaltazione dell’ identità etnico-linguistica, lo “ius sanguinis”, insomma, come fattore che giustifica la violazione del diritto internazionale e la violazione dei confini di altri Stati. E la pretesa di asservire una corona di paesi che vogliono essere liberi, piuttosto che fungere da cuscinetto di garanzia della “spazio vitale” russo. A rischio di essere perennemente esposti a possibili interferenze ed attacchi. Altro che “denazificare” l’Ucraina.
Insomma, la pace va fatta, ma ad occhi ben aperti. Mantenendo fermi alcuni punti irrinunciabili. Il primo è questo: quella del popolo ucraino è lotta di resistenza. Come tale va sostenuta in ogni modo, anche con l’invio delle armi. E ci ricorda come ogni lotta di resistenza sia, infine, sostenuta da un principio superiore tale per cui la libertà vale più della vita.
di Massimo Brundisini
Gli articoli dell’amico Domenico Galbiati hanno l’intrinseca capacità d’indurmi, o, meglio, quasi costringermi, tirato per i capelli (e la cosa è per me preoccupante, non possedendone una gran quantità), a fare alcune considerazioni in merito, sia per cercare di controbilanciare alcune affermazioni, a mio parere talvolta apodittiche, sia per individuare tutte le possibilità di giungere alla pace: senza nessuna certezza, ma anche solo per sollevare dubbi.
La prima considerazione è sicuramente quella di constatare ancora una volta di essere di fronte ad uno scontro tra opposte visioni o, meglio, opposte fazioni: interventisti-non interventisti, occidente-oriente, si-vax-no-vax, fascisti (o meglio nazisti)-comunisti, guelfi-ghibellini, Coppi-Bartali, e, per i più longevi, Bruneri-Canella.
La seconda riguarda la posizione strategica del Partito INSIEME, che con visione lungimirante ha il coraggio di volersi posizionare al centro delle due fazioni politiche imperanti (e Galbiati è sicuramente un alfiere di questa visione): come corollario penserei cha possa essere giusto attendersi, nel drammatico conflitto in corso da ben tre mesi, una posizione del partito che non sia appiattita su di un’unica narrazione, ma che tenga conto di tutte le posizioni e di tutte le motivazioni delle parti in campo, affermazione che per alcuni sembra pari ad una bestemmia.
Fortunatamente, c’è stato il più autorevole di tutti noi, il Papa, a dire coraggiosamente quella verità che tutti hanno paura di dire, e che cioè vi era stato un continuo provocare o meglio “abbaiare” ai confini russi. A riprova di questa affermazione, esiste un video in cui il senatore Biden, nel 1997, con malcelato compiacimento, fa una dichiarazione in cui dice che per stanare e far infuriare l’orso russo sarebbe stato sufficiente far entrare i paesi baltici nella NATO. Onore alla sua perseveranza; alla fine, il vecchio piano ha funzionato: dal minuto 19, ma il video sarebbe da visionare interamente (CLICCA QUI).
Terza considerazione: dal momento che l’amico Galbiati parla di violazione del diritto internazionale e di confini, ricordo solo qualche precedente in cui c’è stata palese violazione della sovranità di alcune nazioni, in particolare di Iraq, Siria, Libia, Jugoslavia, et cetera, sempre con motivazioni pretestuose. Ricordo anche che in Jugoslavia, nel 1999, e in Libia nel 2004 la NATO è intervenuta non a scopo difensivo ma offensivo, senza mandato delle Nazioni Unite. In occasione della guerra balcanica, la nostra aviazione ha bombardato Belgrado, il ministro della Difesa
dell’epoca era Mattarella. L’attacco fu sferrato contro un paese che voleva difendere la propria sovranità territoriale: la conclusione fu che la Jugoslavia dovette rinunciare alla terra sacra del Kossovo, che passò di fatto agli albanesi con referendum dal risultato scontato. In occasione della guerra libica, abbiamo bombardato Tripoli, dimenticando il patto di alleanza con Gheddafi e sempre esibendo fantasiosi contorsionismi costituzionali.
Quarta considerazione: forse uno dei miei primi ricordi scolastici, fin dalle medie, riguarda la premessa che si faceva ai tanti conflitti susseguitisi nel tempo, ovverossia quella che per tutte le guerre si potessero riconoscere cause remote e cause prossime. Naturalmente di ogni guerra si potrebbe disquisire a lungo, mi piace qui solo ricordare la conclusione delle tre guerre Puniche (ho scoperto solo in quest’occasione, e non si finisce mai di imparare, che il nome Punici, con cui i romani appellavano i Cartaginesi, derivava dal fatto che questi ultimi discendevano
dai Fenici). Per necessaria brevità vado ai punti essenziali di quel conflitto: i Romani nel 149 a.C. dichiararono la terza guerra a Cartagine. Comandati da Scipione Emiliano, dopo un assedio di tre anni, nella primavera del 146 a.C., conquistarono la città: i 50 000 Cartaginesi che si arresero furono venduti come schiavi, mentre la città fu saccheggiata e distrutta. Cosa è cambiato da allora? Poco, forse nulla: allora la posta in gioco era il dominio del Mediterraneo, che diventò il “Mare Nostrum”, oggi del Pianeta intero. Infatti, in una realistica visione geopolitica, questa guerra, come dichiarato da Biden, deve avere lo scopo di indebolire l’alleato più forte della Cina: peccato che a pagarne le conseguenze saranno in primis Ucraina ed Europa. Ricordiamo poi anche il possibile scontro su Taiwan, per ora solo fatto di moniti.
Ed allora ecco una quinta considerazione: se elementi esterni non avessero pervicacemente agito per sovvenzionare il colpo di stato in Ucraina, eventi poco considerati dall’amico Galbiati, ma si fosse lasciata alla popolazione la libertà di lavorare per il proprio destino, forse non ci sarebbe stato questo conflitto, o perlomeno si sarebbe risolto in una questione interna. Gli attori di tale interferenza sono facilmente individuabili. George Soros ha dichiarato al Forum di Davos (evento mondiale di assoluta rilevanza, curiosamente assente negli interventi sul blog di Politica Insieme) che l’invasione dell’Ucraina potrebbe essere l’inizio della Terza guerra mondiale. La sua soluzione è sconfiggere Putin il prima possibile, mobilitando tutte le risorse possibili: ma siamo tutti sicuri che non esista un’alternativa meno aleatoria? Su queste posizioni del faccendiere ungherese, filantropo per alcuni, anche grazie alle famose speculazioni che tanti guai provocarono alla lira, per altri finanziatore di ONG per favorire l’arrivo di emigrati in Italia, mi sovviene un pensiero (ricordando il proverbio che tutti noi abbiamo pronunciato almeno una volta): non c’è due senza tre. Dopo l’eclatante fallimento dei due tentativi precedenti di attacco alla Russia, ad opera di personaggi da molti considerati degli “antiCristo”, se a qualcuno venisse voglia di testare la validità dei proverbi con un terzo tentativo, forse farebbe bene a rifletterci un po’ su.
Sul tema della politica aggressiva della Russia, ad un giornalista statunitense che aveva chiesto anni fa a Putin una spiegazione a riguardo, durante il consueto incontro annuale con centinaia di giornalisti da tutto il mondo della durata di parecchie ore, questi aveva risposto: «Gli USA hanno circa mille basi militari in tutto il mondo, noi ne abbiamo solo due fuori dai confini e il nostro bilancio militare è un decimo di quello del Pentagono. Chi sono gli aggressivi?».
E ora, cercando di tener conto della natura non facile del Presidente russo, che non è una mammoletta, esprimo due preoccupazioni che a mio avviso imporrebbero di cambiare immediatamente approccio all’attuale situazione: come prima cosa mi viene in mente il capolavoro antibellicista di Stanley Kubrick Il dottor Stranamore del 1964, con la sua folle, spettacolare e drammatica conclusione, conseguente ad un banale disguido tecnico, e ricordo che c’era già in quel film lo spettro dell’ ”Arma fine di mondo”. Ricordo anche il sottotitolo del film, molto provocatorio ed attuale: “Come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba”. L’altra, la riprendo dal giornalista Toni Capuozzo che ha affermato: “Io in autunno sono più preoccupato per noi che per i russi”. De Benedetti (ma in realtà l’aveva detto anche Putin) ha detto che l’Europa rischia il suicidio; il “New York Times” ha criticato l’escalation di Biden contro la Russia e ha scritto che rischia di devastare l’Europa; Henry Kissinger, intervenuto al World Economic Forum a Davos, ha affermato che l’Occidente non dovrebbe cercare di infliggere una sconfitta disastrosa alla Russia e che l’Ucraina dovrebbe rinunciare a qualche territorio per la pace. Inoltre, dando un altro “consiglio” a Zelensky, ha pure detto che Kiev deve “avviare negoziati prima che si creino tensioni che non sarà facile superare”. La stessa posizione è stata espressa da Jeffrey Sachs, notissimo consigliere di presidenti americani e di tre segretari delle Nazioni Unite, come è possibile ascoltare in questa intervista del 25 maggio in occasione della Settimana Mondiale della Laudato si’: dal minuto 10 (CLICCA QUI).
Una posizione quindi in netta controtendenza rispetto a quelle ascoltate da esponenti americani, europei e della Nato nelle ultime settimane. E a dire il vero non si capisce perché la NATO si interessi di faccende che non la riguardano, fornendo supporto ad un paese non membro, e anche perché si sia giunti ad una sovrapposizione innaturale con l’UE, cosa di cui Biden ha ringraziato Draghi (che ha visto così accrescere le sue chances di poter diventare il prossimo segretario dell’alleanza). Altra considerazione: convinte guerrafondaie si sono rivelate tre donne, Nancy
Pelosi, Ursula Von Der Layen e Roberta Metsola. Tutte loro hanno, infatti, dichiarato che si deve sostenere l’Ucraina fino alla vittoria, palesando a mio avviso una visione emotiva della situazione, pur comprensibile, e una concezione della politica che fa rabbrividire per le sue possibili conseguenze. Dobbiamo rassegnarci ad essere governati da personaggi dalla manifesta incapacità politica, ciechi e muti, pensando con benevolenza, di fronte all’incalzare degli eventi fin dal 2014, e in grado di esprimere solo dichiarazioni aggressive e inutili. Con grande sollievo ho finalmente
potuto apprezzare una svolta aperturista del nostro Presidente Mattarella. E naturalmente è anche da apprezzare il tentativo di Draghi per sbloccare le forniture di grano, ma quanto avrebbe potuto essere più efficace tale tentativo se l’Italia avesse assunto fin da subito una posizione terza? Si è spesso sentito ripetere, in questi mesi, la frase che gli USA vogliono combattere la Russia fino all’ultimo ucraino, ma forse sarebbe più corretto dire… fino all’ultimo europeo.
Nel grande conflitto che si intravede tra USA e Cina, l’Europa è l’evidente vaso di coccio, destinato, a causa della sua nullità e sottomissione politica, a subire danni devastanti come quelli che sta subendo l’Ucraina che ha perso il 30% del PIL e il 50 % della sua capacità produttiva, per non parlare di grano e fertilizzanti. La tranquillità di Lavrov nell’affermare che noi europei non abbiamo ancora compreso cosa ci sta per capitare, cioè la fine di un modus vivendi, dovrebbe farci riflettere. E se il flusso di gas dovesse, come in teoria possibile, interrompersi di colpo, così come le forniture di grano da cui dipende la sopravvivenza di milioni di individui, chi saprà porre rimedio a tale catastrofe? Forse un minimo di autocritica e una visione oggettiva della realtà potrebbero aiutarci a superare anche questa crisi.
A Galbiati che ci ricorda che la libertà vale più della vita, mi sento di dire che libertà è anche quella di decidere come meglio onorare il bene sacro della vita, ed uno dei modi a mio parere è sicuramente quello di cercare di non morire a causa di politiche contrarie al bene comune, anti-umane e colpevolmente distruttive, da qualunque parte provengano. Il titolo di questo scritto è solo una provocatoria proposta di componimento dei conflitti, datata 2700 anni.
Altra possibilità che ci rimane, più valida a mio avviso, è quella di raccomandarci all’immagine della Madonna della Pace, presente nell’antica Chiesa del Baraccano in Bologna, risalente al quindicesimo secolo, capace di miracoli e, soprattutto, con fama di risoluzione di conflitti, e pregare con intensità e devozione. D’altra parte, è giusto ricordare che Putin, in una delle sue tante visite in Vaticano, aveva regalato a papa Francesco l’icona della Madonna Nera di Vladimir: forse un possibile trait d’union? E allora perché non approfittare di questa santa presenza per proporre Bologna come “Città della Pace” e sede di una conferenza di pace? La nomina del cardinale Matteo Maria Zuppi a Presidente dei Vescovi italiani potrebbe essere una circostanza facilitante.
La libertà vale più della vita
di Domenico Galbiati
Dura da tre mesi, senza un attimo di respiro, l’inferno di fuoco e di morte scatenato da Putin contro il popolo ucraino. Una guerra bestiale, di distruzione sistematica. Mirata su ospedali, scuole, teatri. Costellata da crimini di guerra. Accompagnata dal cinismo dei tanti “negazionisti” che vorrebbero rovesciarne la responsabilità dall’altra parte.
Eppure non si è ancora sentito un appello dei “pacifisti” che inviti Putin a tornarsene a casa. Neppure una marcia che sventoli le bandiere di un paese che sta subendo un autentico martirio. Tanto meno una manifestazione, un presidio davanti all’ambasciata russa. Ancor meno un documento dei tanti intellettuali in servizio permanente effettivo che si compiacciono dei sottili distinguo e dei capziosi rovesciamenti di fronte con cui esercitano il loro protagonismo narcisistico e le loro presunzioni ideologiche, smentite da quel tribunale della storia in cui confidavano.
La cosiddetta “operazione militare speciale” viene condotta con una efferatezza di cui l’esercito russo ha dato prova in altri teatri di guerra. Nel frattempo, alla cruda brutalità dei fatti si è andata sovrapponendo una coltre di interpretazioni, analisi, commenti, prese di posizione, pregiudizi, supposizioni, letture ideologiche e preconcette che offuscano la capacità di discernimento e di giudizio. Il dramma della sofferenza inaudita inferta al popolo ucraino si stinge su uno sfondo grigio ed opaco in cui tutto può essere, ad un tempo, vero, verosimile o falso. Infine tutto si mischia: pacifisti seri e nostalgici dell’ imperialismo sovietico, anti-americani per principio, amanti del quieto vivere e menefreghisti, sovranisti e filo-putiniani, politici compromessi ed intimoriti. Accomunati dalla curiosa tesi secondo cui se gli ucraini la piantassero di resistere, le cose, in un modo o nell’ altro, si aggiusterebbero.
Basta non umiliare Putin e sapere di cosa si accontenti. E costringe Zelensky a subire, come pare abbia sostenuto l’intemerato Cavaliere, il diktat dell’amico Vladimir. Ovviamente, si deve percorrere la via diplomatica, ottenere il “cessate il fuoco” per poi avviare trattative di pace. Nel quadro, se possibile, di una “nuova Helsinki”, che non potrà se non richiamare il rispetto della Carta delle Nazioni Unite, anche laddove tutela l’integrità territoriale dei singoli Stati.
Cercare con determinazione la via della pace, forzare i primi passi, avviare un primo tratto di un tale difficile cammino, non significa, però, in alcun modo condurre una analisi approssimativa di ciò che è successo, tanto meno confondere la pace con un compiacente “buonismo”. La ricerca della pace per essere moralmente credibile deve essere preceduta d un sincero moto di indignazione che ancora non si è visto. Senza temere di offendere la suscettibilità di Putin. In caso contrario, finiremmo per legittimare tacitamente il buon diritto della violenza ad essere remunerato. Come sostiene chi pensa che l’invasione dell’Ucraina abbia acceso a favore di Putin un credito che gli va riconosciuto, almeno in termini di qualche annessione territoriale. Cosa ne sarebbe a livello delle relazioni internazionali, se dovesse venire asseverato un simile precedente?
Siccome la violenza è un tutt’uno che si tiene da capo a coda, perché se finisce per essere sostanzialmente legittimata tra Stati – che sono la dimensione più alta e maggiormente inclusiva delle relazioni umane – non dovrebbe godere di altrettanta “man leva” ad ogni altro livello? Certo non si può prescindere da una buona dose di “realpolitik”, ma bisogna essere attenti a quali e quanti virus immetta nel corpo sociale, lasciando che poi, sia pure silenziosamente, attraverso percorsi carsici che neppure avvertiamo, ne mini, nel tempo, l’integrità.
Non è irrilevante, ad esempio, la campagna di odio contro l’Occidente che i media russi perseguono giorno per giorno. Non si tratta solo di quella “propaganda” che, per certi aspetti, è comprensibilmente un versante della stessa strategia militare e neppure di disinformazione, ma piuttosto di sistematica menzogna, al limite dell’ inverosimile e di volgare manipolazione del cuore e della mente di un popolo. Si tratta di una vera e propria pedagogia bellicista e c’è da chiedersi cosa possiamo attenderci, nel futuro prossimo, da giovani generazioni educate all’odio, alla menzogna, al furore bellico. E’ sconvolgente, ad esempio, l’insistenza con cui i canali televisivi russi descrivono puntualmente ed esaltano il potere distruttivo e letale delle fantasmagoriche nuove armi segrete, vantate come terribili e risolutive, non meno di quanto fossero le famigerate V2 per la propaganda di Hitler. Tutto ciò fa pensare alla necessità di saldare o prevenire possibili smagliature del fronte interno e, quindi, ad una condizione morale del popolo russo preoccupante. Del resto, che concezione e che rispetto ne ha un dittatore che lo tratta come uno zerbino?
I popoli sono fiori che avvizziscono quando viene meno la linfa della libertà e la loro dignità viene vilipesa. Fino a che punto il marxismo-leninismo, fondato sulla dottrina del materialismo dialettico ha inaridito la grande anima del popolo russo? Nazionalismo esasperato, culto della forza, esaltazione dell’ identità etnico-linguistica, lo “ius sanguinis”, insomma, come fattore che giustifica la violazione del diritto internazionale e la violazione dei confini di altri Stati. E la pretesa di asservire una corona di paesi che vogliono essere liberi, piuttosto che fungere da cuscinetto di garanzia della “spazio vitale” russo. A rischio di essere perennemente esposti a possibili interferenze ed attacchi. Altro che “denazificare” l’Ucraina.
Insomma, la pace va fatta, ma ad occhi ben aperti. Mantenendo fermi alcuni punti irrinunciabili. Il primo è questo: quella del popolo ucraino è lotta di resistenza. Come tale va sostenuta in ogni modo, anche con l’invio delle armi. E ci ricorda come ogni lotta di resistenza sia, infine, sostenuta da un principio superiore tale per cui la libertà vale più della vita.
Orazi e Curiazi
di Massimo Brundisini
Gli articoli dell’amico Domenico Galbiati hanno l’intrinseca capacità d’indurmi, o, meglio, quasi costringermi, tirato per i capelli (e la cosa è per me preoccupante, non possedendone una gran quantità), a fare alcune considerazioni in merito, sia per cercare di controbilanciare alcune affermazioni, a mio parere talvolta apodittiche, sia per individuare tutte le possibilità di giungere alla pace: senza nessuna certezza, ma anche solo per sollevare dubbi.
La prima considerazione è sicuramente quella di constatare ancora una volta di essere di fronte ad uno scontro tra opposte visioni o, meglio, opposte fazioni: interventisti-non interventisti, occidente-oriente, si-vax-no-vax, fascisti (o meglio nazisti)-comunisti, guelfi-ghibellini, Coppi-Bartali, e, per i più longevi, Bruneri-Canella.
La seconda riguarda la posizione strategica del Partito INSIEME, che con visione lungimirante ha il coraggio di volersi posizionare al centro delle due fazioni politiche imperanti (e Galbiati è sicuramente un alfiere di questa visione): come corollario penserei cha possa essere giusto attendersi, nel drammatico conflitto in corso da ben tre mesi, una posizione del partito che non sia appiattita su di un’unica narrazione, ma che tenga conto di tutte le posizioni e di tutte le motivazioni delle parti in campo, affermazione che per alcuni sembra pari ad una bestemmia.
Fortunatamente, c’è stato il più autorevole di tutti noi, il Papa, a dire coraggiosamente quella verità che tutti hanno paura di dire, e che cioè vi era stato un continuo provocare o meglio “abbaiare” ai confini russi. A riprova di questa affermazione, esiste un video in cui il senatore Biden, nel 1997, con malcelato compiacimento, fa una dichiarazione in cui dice che per stanare e far infuriare l’orso russo sarebbe stato sufficiente far entrare i paesi baltici nella NATO. Onore alla sua perseveranza; alla fine, il vecchio piano ha funzionato: dal minuto 19, ma il video sarebbe da visionare interamente (CLICCA QUI).
Terza considerazione: dal momento che l’amico Galbiati parla di violazione del diritto internazionale e di confini, ricordo solo qualche precedente in cui c’è stata palese violazione della sovranità di alcune nazioni, in particolare di Iraq, Siria, Libia, Jugoslavia, et cetera, sempre con motivazioni pretestuose. Ricordo anche che in Jugoslavia, nel 1999, e in Libia nel 2004 la NATO è intervenuta non a scopo difensivo ma offensivo, senza mandato delle Nazioni Unite. In occasione della guerra balcanica, la nostra aviazione ha bombardato Belgrado, il ministro della Difesa
dell’epoca era Mattarella. L’attacco fu sferrato contro un paese che voleva difendere la propria sovranità territoriale: la conclusione fu che la Jugoslavia dovette rinunciare alla terra sacra del Kossovo, che passò di fatto agli albanesi con referendum dal risultato scontato. In occasione della guerra libica, abbiamo bombardato Tripoli, dimenticando il patto di alleanza con Gheddafi e sempre esibendo fantasiosi contorsionismi costituzionali.
Quarta considerazione: forse uno dei miei primi ricordi scolastici, fin dalle medie, riguarda la premessa che si faceva ai tanti conflitti susseguitisi nel tempo, ovverossia quella che per tutte le guerre si potessero riconoscere cause remote e cause prossime. Naturalmente di ogni guerra si potrebbe disquisire a lungo, mi piace qui solo ricordare la conclusione delle tre guerre Puniche (ho scoperto solo in quest’occasione, e non si finisce mai di imparare, che il nome Punici, con cui i romani appellavano i Cartaginesi, derivava dal fatto che questi ultimi discendevano
dai Fenici). Per necessaria brevità vado ai punti essenziali di quel conflitto: i Romani nel 149 a.C. dichiararono la terza guerra a Cartagine. Comandati da Scipione Emiliano, dopo un assedio di tre anni, nella primavera del 146 a.C., conquistarono la città: i 50 000 Cartaginesi che si arresero furono venduti come schiavi, mentre la città fu saccheggiata e distrutta. Cosa è cambiato da allora? Poco, forse nulla: allora la posta in gioco era il dominio del Mediterraneo, che diventò il “Mare Nostrum”, oggi del Pianeta intero. Infatti, in una realistica visione geopolitica, questa guerra, come dichiarato da Biden, deve avere lo scopo di indebolire l’alleato più forte della Cina: peccato che a pagarne le conseguenze saranno in primis Ucraina ed Europa. Ricordiamo poi anche il possibile scontro su Taiwan, per ora solo fatto di moniti.
Ed allora ecco una quinta considerazione: se elementi esterni non avessero pervicacemente agito per sovvenzionare il colpo di stato in Ucraina, eventi poco considerati dall’amico Galbiati, ma si fosse lasciata alla popolazione la libertà di lavorare per il proprio destino, forse non ci sarebbe stato questo conflitto, o perlomeno si sarebbe risolto in una questione interna. Gli attori di tale interferenza sono facilmente individuabili. George Soros ha dichiarato al Forum di Davos (evento mondiale di assoluta rilevanza, curiosamente assente negli interventi sul blog di Politica Insieme) che l’invasione dell’Ucraina potrebbe essere l’inizio della Terza guerra mondiale. La sua soluzione è sconfiggere Putin il prima possibile, mobilitando tutte le risorse possibili: ma siamo tutti sicuri che non esista un’alternativa meno aleatoria? Su queste posizioni del faccendiere ungherese, filantropo per alcuni, anche grazie alle famose speculazioni che tanti guai provocarono alla lira, per altri finanziatore di ONG per favorire l’arrivo di emigrati in Italia, mi sovviene un pensiero (ricordando il proverbio che tutti noi abbiamo pronunciato almeno una volta): non c’è due senza tre. Dopo l’eclatante fallimento dei due tentativi precedenti di attacco alla Russia, ad opera di personaggi da molti considerati degli “antiCristo”, se a qualcuno venisse voglia di testare la validità dei proverbi con un terzo tentativo, forse farebbe bene a rifletterci un po’ su.
Sul tema della politica aggressiva della Russia, ad un giornalista statunitense che aveva chiesto anni fa a Putin una spiegazione a riguardo, durante il consueto incontro annuale con centinaia di giornalisti da tutto il mondo della durata di parecchie ore, questi aveva risposto: «Gli USA hanno circa mille basi militari in tutto il mondo, noi ne abbiamo solo due fuori dai confini e il nostro bilancio militare è un decimo di quello del Pentagono. Chi sono gli aggressivi?».
E ora, cercando di tener conto della natura non facile del Presidente russo, che non è una mammoletta, esprimo due preoccupazioni che a mio avviso imporrebbero di cambiare immediatamente approccio all’attuale situazione: come prima cosa mi viene in mente il capolavoro antibellicista di Stanley Kubrick Il dottor Stranamore del 1964, con la sua folle, spettacolare e drammatica conclusione, conseguente ad un banale disguido tecnico, e ricordo che c’era già in quel film lo spettro dell’ ”Arma fine di mondo”. Ricordo anche il sottotitolo del film, molto provocatorio ed attuale: “Come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba”. L’altra, la riprendo dal giornalista Toni Capuozzo che ha affermato: “Io in autunno sono più preoccupato per noi che per i russi”. De Benedetti (ma in realtà l’aveva detto anche Putin) ha detto che l’Europa rischia il suicidio; il “New York Times” ha criticato l’escalation di Biden contro la Russia e ha scritto che rischia di devastare l’Europa; Henry Kissinger, intervenuto al World Economic Forum a Davos, ha affermato che l’Occidente non dovrebbe cercare di infliggere una sconfitta disastrosa alla Russia e che l’Ucraina dovrebbe rinunciare a qualche territorio per la pace. Inoltre, dando un altro “consiglio” a Zelensky, ha pure detto che Kiev deve “avviare negoziati prima che si creino tensioni che non sarà facile superare”. La stessa posizione è stata espressa da Jeffrey Sachs, notissimo consigliere di presidenti americani e di tre segretari delle Nazioni Unite, come è possibile ascoltare in questa intervista del 25 maggio in occasione della Settimana Mondiale della Laudato si’: dal minuto 10 (CLICCA QUI).
Una posizione quindi in netta controtendenza rispetto a quelle ascoltate da esponenti americani, europei e della Nato nelle ultime settimane. E a dire il vero non si capisce perché la NATO si interessi di faccende che non la riguardano, fornendo supporto ad un paese non membro, e anche perché si sia giunti ad una sovrapposizione innaturale con l’UE, cosa di cui Biden ha ringraziato Draghi (che ha visto così accrescere le sue chances di poter diventare il prossimo segretario dell’alleanza). Altra considerazione: convinte guerrafondaie si sono rivelate tre donne, Nancy
Pelosi, Ursula Von Der Layen e Roberta Metsola. Tutte loro hanno, infatti, dichiarato che si deve sostenere l’Ucraina fino alla vittoria, palesando a mio avviso una visione emotiva della situazione, pur comprensibile, e una concezione della politica che fa rabbrividire per le sue possibili conseguenze. Dobbiamo rassegnarci ad essere governati da personaggi dalla manifesta incapacità politica, ciechi e muti, pensando con benevolenza, di fronte all’incalzare degli eventi fin dal 2014, e in grado di esprimere solo dichiarazioni aggressive e inutili. Con grande sollievo ho finalmente
potuto apprezzare una svolta aperturista del nostro Presidente Mattarella. E naturalmente è anche da apprezzare il tentativo di Draghi per sbloccare le forniture di grano, ma quanto avrebbe potuto essere più efficace tale tentativo se l’Italia avesse assunto fin da subito una posizione terza? Si è spesso sentito ripetere, in questi mesi, la frase che gli USA vogliono combattere la Russia fino all’ultimo ucraino, ma forse sarebbe più corretto dire… fino all’ultimo europeo.
Nel grande conflitto che si intravede tra USA e Cina, l’Europa è l’evidente vaso di coccio, destinato, a causa della sua nullità e sottomissione politica, a subire danni devastanti come quelli che sta subendo l’Ucraina che ha perso il 30% del PIL e il 50 % della sua capacità produttiva, per non parlare di grano e fertilizzanti. La tranquillità di Lavrov nell’affermare che noi europei non abbiamo ancora compreso cosa ci sta per capitare, cioè la fine di un modus vivendi, dovrebbe farci riflettere. E se il flusso di gas dovesse, come in teoria possibile, interrompersi di colpo, così come le forniture di grano da cui dipende la sopravvivenza di milioni di individui, chi saprà porre rimedio a tale catastrofe? Forse un minimo di autocritica e una visione oggettiva della realtà potrebbero aiutarci a superare anche questa crisi.
A Galbiati che ci ricorda che la libertà vale più della vita, mi sento di dire che libertà è anche quella di decidere come meglio onorare il bene sacro della vita, ed uno dei modi a mio parere è sicuramente quello di cercare di non morire a causa di politiche contrarie al bene comune, anti-umane e colpevolmente distruttive, da qualunque parte provengano. Il titolo di questo scritto è solo una provocatoria proposta di componimento dei conflitti, datata 2700 anni.
Altra possibilità che ci rimane, più valida a mio avviso, è quella di raccomandarci all’immagine della Madonna della Pace, presente nell’antica Chiesa del Baraccano in Bologna, risalente al quindicesimo secolo, capace di miracoli e, soprattutto, con fama di risoluzione di conflitti, e pregare con intensità e devozione. D’altra parte, è giusto ricordare che Putin, in una delle sue tante visite in Vaticano, aveva regalato a papa Francesco l’icona della Madonna Nera di Vladimir: forse un possibile trait d’union? E allora perché non approfittare di questa santa presenza per proporre Bologna come “Città della Pace” e sede di una conferenza di pace? La nomina del cardinale Matteo Maria Zuppi a Presidente dei Vescovi italiani potrebbe essere una circostanza facilitante.
Egr. D. Galbiati, concordo pienamente con la sua visione della guerra di aggressione russa all’Ucraina, guerra imperialista in aperto stile comunista. E non credo che sia necessario aggiungere altro, almeno per chi è ancora in grado di distinguere e quindi di valutare e quindi di discernere.
Egr. M. Brundisini, la prima osservazione, anche banale, è che qui non è questione di dualismo Coppi-Bartali e amenità analoghe, ma di giustizia da una parte e di violenza dall’altra. Sulla posizione politica di Insieme c’è un errore concettuale suo evidente: la difesa dei diritti non sta nella ricerca di una posizione politica di mezzo: sta con la verità da una parte o con la menzogna dall’altra. Ben strano il suo modo di pensare: poiché ci sono state altre violazioni precedenti, si devono giustificare ed accettare le distruzioni, le violenze comuniste alla Katin e le stragi russe in Ucraina. Bah! A proposito di ciechi e muti, ma soprattutto di scarsamente validi politici di tutto il mondo, qui c’è da dire che manca una vera personalità dal carisma intellettuale e morale indiscutibile e questo a tutti i livelli, civili, politici e religiosi. La crisi dell’epoca, a mio avviso, sta proprio in questa assenza, assenza di valori e di etica oggettivi, assenza che sembrerebbe permettere a Lei di giustificare V. Putin e qualunque altra aggressione e distruzione in nome di una sopravvivenza pur che sia. Un mondo, quel che sembra sognare Lei, alla nazicomunista! Se Lei non è disposto a dare la vita per le libertà individuali, civili e religiose e nemmeno sente il bisogno o meglio il dovere di aiutare che viene aggredito, il gesto di amore fraterno cui Lei sembra rifarsi (Lei lascerebbe ammazzare moglie e figli come è avvenuto senza sentire l’impegno morale e d’amore di difenderli?) non è che un ulteriore segno della crisi morale e civile di cui sopra e dell’imperante relativismo già denunciato con molta chiarezza da Papa Benedetto XVI.