Cattivi sono sempre e solo gli americani? È vero che coltivano un disegno perverso e vogliono prolungare la guerra sulla pelle degli ucraini e a detrimento dell’ Europa per tenerla sotto scacco mantenendo aperta nel suo cuore una ferita purulenta?
Ho cominciato a preoccuparmi quando un amico di vecchia data mi ha detto che, anche a suo giudizio, Putin è un soggetto inqualificabile e pericoloso… però… Nel nostro lessico una particella avversativa come “però” è importante.
Rappresenta una fessura nella corazza di un discorso monocorde, apre la strada del dubbio, introduce un motivo controverso, esige un di più’ di riflessione, evoca autonomia di giudizio e criticità di pensiero. Funziona come la classica pietra d’inciampo in cui è facile, ma anche opportuno, incespicare. Verrebbe da dire che in quel “però”, oltre che un giudizio di ordine politico, c’è forse anche qualcosa di più, una sorta di filosofia di vita. Quasi che, inconsciamente, pur scaricandolo sull’America, volessimo farci carico di un indefinibile sentimento di colpa, come se, riconoscendolo, volessimo emendarcene.
L’Occidente ha le sue colpe, ha commesso molti errori, non ha interpretato al meglio il passaggio epocale dell’89. Ma è giusto essere così severi o non dovremmo essere un po’ più generosi con noi stessi? Non siamo, per taluni almeno, quasi al punto di, non dico scusare Putin, ma, in qualche misura, comprendere che, in definitiva, l’Occidente l’ha messo nella condizione di non poter far altro se non quel che ha fatto?
In fondo, questa crescente avversione contro l’ America non ha il sapore di un harakiri dell’Occidente di cui è difficile comprendere le ragioni effettive? Detto in estrema sintesi – a costo di essere frainteso – un conto è essere “pacifisti”, altra faccenda essere “imbelli”. Quelli del “però”, al di là’ del merito della questione, mostrano come la pubblica opinione sia non solo, come noto, un che di fragile e perennemente volubile. Ma sia anche facilmente suscettibile di poter essere incartata, contorta ed avvitata su se stessa, non appena solleticata da strategie di comunicazione condannate dalla dannazione dell’ “audience” ad enfatizzare tutto ciò che – fosse pure una colossale idiozia – apporta un qualche frizzante elemento di novità e di contraddittorio nella cosiddetta “narrazione”, che diventa stucchevole e meno attraente se si prolunga nel tempo in maniera sempre uguale, come può succedere ove alcuni dati di fatto o valutazioni incontrovertibili vengano mantenute ferme.
E’ così che, nel giro di poche settimane, Zelenskj cessa di essere un eroe e, poco ci manca, venga dipinto come un guerrafondaio. All’indignazione per l’attacco criminale di Putin all’Ucraina subentra, appunto, un diffuso sentimento di fastidio e di inimicizia nei confronti degli Stati Uniti e di Biden. È vero che la situazione evolve paurosamente e ci espone al rischio di essere avvitati in una spirale incontrollabile.
A maggior ragione, dunque, alcuni punti fermi vanno stabiliti. E due almeno. Finché gli ucraini resistono è giusto aiutarli, sicuramente anche con l’invio di armi. In secondo luogo, è vero che l’Europa deve assumere un ruolo di protagonismo attivo anche nei confronti degli Stati Uniti, ma è altrettanto vero che il vincolo atlantico va mantenuto fermo ed attivo.
Hanno ragione coloro che ritengono – su queste l’hanno fatto Lorenzo Dellai e Andrea Olivero – che siamo al confronto tra democrazie e regimi autocratici (CLICCA QUI).
Una sfida che l’Occidente può vincere solo se, pur ridisegnando le relazioni al suo interno, non soffre divaricazioni e, anzi, mantenga un profilo fortemente unitario. Non possiamo regalare a regimi dispotici varchi in cui introdursi via via forzandoli fino a provocare vere e proprie fratture. A tale proposito, nel nostro Paese dovremmo saperlo meglio di altri – non si va da nessuna parte se non si ha coscienza da dove si viene.
(Tratto da www.politicainsieme.com)
Ho cominciato a preoccuparmi quando un amico di vecchia data mi ha detto che, anche a suo giudizio, Putin è un soggetto inqualificabile e pericoloso… però… Nel nostro lessico una particella avversativa come “però” è importante.
Rappresenta una fessura nella corazza di un discorso monocorde, apre la strada del dubbio, introduce un motivo controverso, esige un di più’ di riflessione, evoca autonomia di giudizio e criticità di pensiero. Funziona come la classica pietra d’inciampo in cui è facile, ma anche opportuno, incespicare. Verrebbe da dire che in quel “però”, oltre che un giudizio di ordine politico, c’è forse anche qualcosa di più, una sorta di filosofia di vita. Quasi che, inconsciamente, pur scaricandolo sull’America, volessimo farci carico di un indefinibile sentimento di colpa, come se, riconoscendolo, volessimo emendarcene.
L’Occidente ha le sue colpe, ha commesso molti errori, non ha interpretato al meglio il passaggio epocale dell’89. Ma è giusto essere così severi o non dovremmo essere un po’ più generosi con noi stessi? Non siamo, per taluni almeno, quasi al punto di, non dico scusare Putin, ma, in qualche misura, comprendere che, in definitiva, l’Occidente l’ha messo nella condizione di non poter far altro se non quel che ha fatto?
In fondo, questa crescente avversione contro l’ America non ha il sapore di un harakiri dell’Occidente di cui è difficile comprendere le ragioni effettive? Detto in estrema sintesi – a costo di essere frainteso – un conto è essere “pacifisti”, altra faccenda essere “imbelli”. Quelli del “però”, al di là’ del merito della questione, mostrano come la pubblica opinione sia non solo, come noto, un che di fragile e perennemente volubile. Ma sia anche facilmente suscettibile di poter essere incartata, contorta ed avvitata su se stessa, non appena solleticata da strategie di comunicazione condannate dalla dannazione dell’ “audience” ad enfatizzare tutto ciò che – fosse pure una colossale idiozia – apporta un qualche frizzante elemento di novità e di contraddittorio nella cosiddetta “narrazione”, che diventa stucchevole e meno attraente se si prolunga nel tempo in maniera sempre uguale, come può succedere ove alcuni dati di fatto o valutazioni incontrovertibili vengano mantenute ferme.
E’ così che, nel giro di poche settimane, Zelenskj cessa di essere un eroe e, poco ci manca, venga dipinto come un guerrafondaio. All’indignazione per l’attacco criminale di Putin all’Ucraina subentra, appunto, un diffuso sentimento di fastidio e di inimicizia nei confronti degli Stati Uniti e di Biden. È vero che la situazione evolve paurosamente e ci espone al rischio di essere avvitati in una spirale incontrollabile.
A maggior ragione, dunque, alcuni punti fermi vanno stabiliti. E due almeno. Finché gli ucraini resistono è giusto aiutarli, sicuramente anche con l’invio di armi. In secondo luogo, è vero che l’Europa deve assumere un ruolo di protagonismo attivo anche nei confronti degli Stati Uniti, ma è altrettanto vero che il vincolo atlantico va mantenuto fermo ed attivo.
Hanno ragione coloro che ritengono – su queste l’hanno fatto Lorenzo Dellai e Andrea Olivero – che siamo al confronto tra democrazie e regimi autocratici (CLICCA QUI).
Una sfida che l’Occidente può vincere solo se, pur ridisegnando le relazioni al suo interno, non soffre divaricazioni e, anzi, mantenga un profilo fortemente unitario. Non possiamo regalare a regimi dispotici varchi in cui introdursi via via forzandoli fino a provocare vere e proprie fratture. A tale proposito, nel nostro Paese dovremmo saperlo meglio di altri – non si va da nessuna parte se non si ha coscienza da dove si viene.
(Tratto da www.politicainsieme.com)
Egr. D. Galbiati,
assolutamente condivisibile il suo parere sulla situazione di guerra scatenata da Putin con l’invasione dell’Ucraina, paese libero ed indipendente. In conto essere per la pace, come Lei sottolinea, e un altro essere imbelli e, nella fattispecie, essere imbecilli!