Armi, armi, armi: questo, e solo questo, chiede il presidente Volodymyr Zelenski. Lo dice da tempo e lo ripete quasi ogni giorno. Comprendiamo bene questa richiesta: dinanzi al continuo martellamento russo, dinanzi alla ferocia di chi si scaglia contro obiettivi civili, uccidendo vittime innocenti, cos'altro si può chiedere per difendere il proprio Paese. O meglio, volendo essere più diretti, la propria patria? Perché è per la propria patria che da quasi due mesi gli ucraini si stanno battendo con indomito coraggio contro chi pensava di sottomettere in pochi giorni un'intera nazione. Il quadro è chiaro; c'è chi ha attaccato e chi si sta difendendo. Nessuna equidistanza è dunque possibile.
Detto tutto questo e quindi trovandoci pronti ad offrire all'Ucraina tutti i mezzi per respingere l'invasore, occorre che Europa e Stati Uniti guardino anche un po' più in là. E aiutare il popolo e i dirigenti ucraini a volgere lo sguardo un po' oltre la tragedia che stanno vivendo. Perché armi chiamano armi e guerra chiama guerra, mentre noi invece dobbiamo uscire da questa diabolica trappola di morte. Bisogna individuare - e l'Unione europea deve farlo prima possibile, anche con iniziative proprie - una via di uscita. Occorre muoversi, prima di pericolose e sempre possibili escalation, sostenendo le trattative, oggi piuttosto al ribasso, ed incoraggiando qualsiasi tentativo per mettere termine al conflitto.
E allora – tanto per cominciare - nessuna resa incondizionata per nessuno. Serve – va detto con chiarezza - un compromesso che a tutti conceda qualcosa. L'Ucraina ha fatto nelle scorse settimane dei passi significativi parlando di neutralità alla finlandese. E a tal proposito c'è da chiedersi se sia il caso, proprio in questo momento, di prospettare l'ingresso di Finlandia e Svezia nella Nato: un elemento nuovo che potrebbe perturbare il fragilissimo, e ancora imperscrutabile, cammino verso la fine delle ostilità. Ci sarà tempo per pensare ad Helsinki e Stoccolma nell'Alleanza atlantica, dove quasi certamente finiranno per approdare. Domani però, non adesso. Perché oggi è meglio concentrarsi, senza indugi, sulla sola cessazione del fuoco.
L'Ucraina, dunque, ha accettato di fare un passo avanti verso la neutralità, che era una delle richieste moscovite. Resta la questione del Donbass. Si potrebbe immaginare - e Kiev dovrebbe acconsentirvi senza arroccarsi in modo pregiudiziale - su un percorso che interpelli gli abitanti delle regioni di Donetz e Lugansk, riguardo la futura sovranità con una libera consultazione supervisionata dall'Onu. Quella è forse l'unica strada, anche se a Vladimir Putin l'idea di una consultazione libera fa probabilmente venire l'orticaria.
Sappiamo infatti sin troppo bene che la libertà dei popoli non appartiene al suo armamentario come, più in generale, non appartiene alla cultura politica russa. Mosca – non va mai dimenticato – per oltre quarant'anni ha tenuto sotto il proprio tallone città come Praga, Budapest o Varsavia. Non finiremo mai di esser grati a Michail Gorbaciov che ha liberato l'est europeo dalla cappa sovietica.
Per questo non è esatto dire che la Nato si è estesa ad est in modo proditorio. Il fatto è che quegli Stati, appena fuori dalla cortina di ferro del comunismo e non fidandosi di una Russia che aveva defenestrato Gorbaciov (breve parentesi di luce in un Paese avvolto da una perenne oscurità), hanno ritenuto indispensabile per la propria sicurezza ripararsi sotto l'ombrello Nato. Un ombrello che - noi italiani dovremmo ricordarcene - piaceva tanto anche ad un comunista doc come Enrico Berlinguer. E lo disse pubblicamente in molte occasioni.
L'adesione alla Nato è stata dunque una scelta che Ungheria, Polonia, Lituania ecc.., hanno effettuato in piena libertà e, tutto sommato, per come sono andate le cose, una scelta davvero previdente. Immaginiamo quanto questi Paesi sarebbero esposti alla minaccia putiniana se oggi fossero privi della garanzia atlantica. Col senno di poi anche l'Ucraina, nel 2008 quando se ne parlò, avrebbe dovuto entrare nell'alleanza. Quasi certamente non sarebbe stata invasa dai carri armati di Mosca e ridotta ad un cumulo di macerie.
In prospettiva è ormai certo che Kiev entrerà nell'Unione europea - cosa impensabile sino a tre mesi fa - e che, pur neutrale, sarà protetta da precise garanzie in caso di futuri attacchi esterni. Il compromesso potrebbe quindi fondarsi sull'accettazione della sovranità russa sulla Crimea e sul Donbass (Donetz e Lugansk, non altro), concedendo all'Ucraina il premio di un'immediata adesione all'Unione. Si tratta di convincere Mosca e Kiev che questa è l'unica soluzione possibile. Per intanto è bene chiudere definitivamente i rubinetti del gas russo così da non finanziare il conflitto in atto. Per l'Occidente le strade dell'energia non dovranno più passare da Mosca, almeno sin tanto che da quelle parti continuino ad imperversare regimi autocratici e pericolosi per la convivenza dei popoli.
Detto tutto questo e quindi trovandoci pronti ad offrire all'Ucraina tutti i mezzi per respingere l'invasore, occorre che Europa e Stati Uniti guardino anche un po' più in là. E aiutare il popolo e i dirigenti ucraini a volgere lo sguardo un po' oltre la tragedia che stanno vivendo. Perché armi chiamano armi e guerra chiama guerra, mentre noi invece dobbiamo uscire da questa diabolica trappola di morte. Bisogna individuare - e l'Unione europea deve farlo prima possibile, anche con iniziative proprie - una via di uscita. Occorre muoversi, prima di pericolose e sempre possibili escalation, sostenendo le trattative, oggi piuttosto al ribasso, ed incoraggiando qualsiasi tentativo per mettere termine al conflitto.
E allora – tanto per cominciare - nessuna resa incondizionata per nessuno. Serve – va detto con chiarezza - un compromesso che a tutti conceda qualcosa. L'Ucraina ha fatto nelle scorse settimane dei passi significativi parlando di neutralità alla finlandese. E a tal proposito c'è da chiedersi se sia il caso, proprio in questo momento, di prospettare l'ingresso di Finlandia e Svezia nella Nato: un elemento nuovo che potrebbe perturbare il fragilissimo, e ancora imperscrutabile, cammino verso la fine delle ostilità. Ci sarà tempo per pensare ad Helsinki e Stoccolma nell'Alleanza atlantica, dove quasi certamente finiranno per approdare. Domani però, non adesso. Perché oggi è meglio concentrarsi, senza indugi, sulla sola cessazione del fuoco.
L'Ucraina, dunque, ha accettato di fare un passo avanti verso la neutralità, che era una delle richieste moscovite. Resta la questione del Donbass. Si potrebbe immaginare - e Kiev dovrebbe acconsentirvi senza arroccarsi in modo pregiudiziale - su un percorso che interpelli gli abitanti delle regioni di Donetz e Lugansk, riguardo la futura sovranità con una libera consultazione supervisionata dall'Onu. Quella è forse l'unica strada, anche se a Vladimir Putin l'idea di una consultazione libera fa probabilmente venire l'orticaria.
Sappiamo infatti sin troppo bene che la libertà dei popoli non appartiene al suo armamentario come, più in generale, non appartiene alla cultura politica russa. Mosca – non va mai dimenticato – per oltre quarant'anni ha tenuto sotto il proprio tallone città come Praga, Budapest o Varsavia. Non finiremo mai di esser grati a Michail Gorbaciov che ha liberato l'est europeo dalla cappa sovietica.
Per questo non è esatto dire che la Nato si è estesa ad est in modo proditorio. Il fatto è che quegli Stati, appena fuori dalla cortina di ferro del comunismo e non fidandosi di una Russia che aveva defenestrato Gorbaciov (breve parentesi di luce in un Paese avvolto da una perenne oscurità), hanno ritenuto indispensabile per la propria sicurezza ripararsi sotto l'ombrello Nato. Un ombrello che - noi italiani dovremmo ricordarcene - piaceva tanto anche ad un comunista doc come Enrico Berlinguer. E lo disse pubblicamente in molte occasioni.
L'adesione alla Nato è stata dunque una scelta che Ungheria, Polonia, Lituania ecc.., hanno effettuato in piena libertà e, tutto sommato, per come sono andate le cose, una scelta davvero previdente. Immaginiamo quanto questi Paesi sarebbero esposti alla minaccia putiniana se oggi fossero privi della garanzia atlantica. Col senno di poi anche l'Ucraina, nel 2008 quando se ne parlò, avrebbe dovuto entrare nell'alleanza. Quasi certamente non sarebbe stata invasa dai carri armati di Mosca e ridotta ad un cumulo di macerie.
In prospettiva è ormai certo che Kiev entrerà nell'Unione europea - cosa impensabile sino a tre mesi fa - e che, pur neutrale, sarà protetta da precise garanzie in caso di futuri attacchi esterni. Il compromesso potrebbe quindi fondarsi sull'accettazione della sovranità russa sulla Crimea e sul Donbass (Donetz e Lugansk, non altro), concedendo all'Ucraina il premio di un'immediata adesione all'Unione. Si tratta di convincere Mosca e Kiev che questa è l'unica soluzione possibile. Per intanto è bene chiudere definitivamente i rubinetti del gas russo così da non finanziare il conflitto in atto. Per l'Occidente le strade dell'energia non dovranno più passare da Mosca, almeno sin tanto che da quelle parti continuino ad imperversare regimi autocratici e pericolosi per la convivenza dei popoli.
Bell’articolo complesso ed ad ampio raggio. Sintetizzandone il punto centrale si ribadisce ancora una volta che la fine delle ostilità passa attraverso due punti cardine: la non adesione alla Nato dell’Ucraina e l’autodeterminazione, indipendenza, statuto speciale, chiamiamolo come vogliamo delle enclave di Donetsk e Lukansk. Per esser realisti questo non è niente altro quello che da sempre chiede la Russia. Valeva la pena scatenare un simile inferno per tornare al punto di partenza?
Inoltre mi auguro che passi presto questa ubriacatura collettiva verso tutto quello che riguarda l’Ucraina, una ubriacatura che trova il massimo della ipocrisia quando si definisce un comandante del battaglione Azov come “capitano dei marines ucraini” ed i civili tenuti come ostaggi nella acciaieria Azovstal come “scudi umani volontari” ( copyright Rete quattro Mediaset). All’ipocrisia aggiungerei una buona dose di vigliaccheria e falsità. Una volta per entrare nella Unione Europea occorreva dimostrare di rispettare i diritti e la democrazia. In Ucraina, l’opposizione è stata cancellata, si stilano liste di proscrizione per i dissidenti, in un giorno solo estromessi 11 partiti di opposizione, i giornalisti vengono eliminati dagli squadroni della morte, vedi l’uccisione di Valery Kuleshov questa settimana a Kiev, ignorata da tutti mass media italiani (se fosse successo a Mosca tutti i tg gli avrebbero dedicato l’apertura). Per l’Ucraina le regole non valgono? Mi auguro che l’opinione pubblica italiana abbia un sussulto (ma ne dubito: qualcuno per fare un esempio parla ancora delle povere donne afghane?), perchè questo gioco di bambini viziati (noi) che tirano la coda ad un grosso gatto nero (la Russia, prima potenza nucleare mondiale) mi sembra abbastanza irresponsabile. Il risveglio non potrà che esser amaro e purtroppo da un punto di vista economico anche molto precario.
Credo che oltre ai commenti politici – strategici- militari occorra anche ogni tanto ricordarsi delle persone e di quello che stanno passando, specie chi, come lo scrivente ha conservato amicizie moldave, ucraine e romene tutte derivate dagli anni in cui grazie ai loro preziosi servizi alla persona ho potuto curare persone a me care.
Ho appena finito di telefonare ad una signora Ucraina, in Italia da 10 anni, che in Canavese lavora presso una famiglia di anziani, con lui molto se non per nulla autosufficente. La signora Oksana ha due figli, entrambi in Ucraina che devono rimaner li perchè nell’età tra i 18 ed i 60 anni nessun uomo può lasciare il paese. Non è necessario dire la loro città perchè per nulla opportuno. La moglie del figlio più giovane che ha un bambino di due anni è riuscita a venire qui ed ora è ospite presso una famiglia di conoscenti. I figli al momento non sono ancora arruolati ma come tutti sono disoccupati perchè , perlomeno in quella regione non vi è nessuna, ma proprio nessuna fabbrica aperta. Lei è disperata perchè considera questa guerra assurda, ha parenti in Russia come quasi tutti in Ucraina e ritiene che sia una guerra senza senso perchè tra fratelli. Aggiunge che anche in Russia la gente normale è fatta di brave persone e pensa, udite udite che questa guerra è colpa degli americani che incitano il governo ucraino a combattere anzichè trovare un compromesso. Si rende anche conto che al momento il loro governo è per nulla democratico e vi è una censura totale e la gente ha molta paura ad esprimersi. Ovviamente non ha mancato di farmi notare che anche noi in Italia non siamo messi bene come rappresentazione democratica. Ecco questo è quello che dice una persona che vive sulla propria pelle il dramma della guerra. Ogni parola di questo scritto riflette al 100% il pensiero della signora. Io aggiungo: noi europei e noi italiani ci dovremmo vergognare dell’incitamento da stadio che abbiamo verso l’Ucraina invitandoli a combattere fino a morire. Mi sembra di vedere gli spettatori del Colosseo assistere al combattimento tra gladiatori.
Ci dovremmo vergognare ancora di più perchè seguiamo i deliri di Boris Johnson, che guarda caso europeo non è più ed è invece il megafono degli USA, essendo tornata l’Inghilterra nelle calde braccia dell’angloamericanismo. Mi chiedo, ma dove è tutta la tradizione di mediazione, ricerca della pace che era patrimonio di molti settori politici, specie quelli con un imprinting cattolico. In Italia non è più possibile far emergere un pensiero diverso da quello di Letta-Elmetto? Penso che le parole sovranismo, interesse nazionale, tradizione politica del Paese debbano iniziare ad esser termini di non solo appannaggio di Salvini e Meloni, ma anche di altre forze.