Sul sito di “Appunti Alessandrini”, Gianni Castagnello concludeva le sue considerazioni sulla vicenda del’invasione russa all’Ucraina con queste parole: “Più difficile da accettare la prospettiva che L’Europa non sarà più, come è stata per oltre settant’anni, la parte del mondo sicura, che può godere in pace il proprio relativo benessere, che può dire ai suoi giovani: mai dovrete combattere. Per questo è necessario, nella fermezza della risposta all’aggressione russa, non chiudere i canali diplomatici e coltivare quella pazienza vigile che non dimentica la porta del dialogo anche se è stretta e difficile da aprire. Il passo del Papa che si è recato all’ambasciata russa appare come un messaggio e indicazione. Non ci si può cullare nel pensiero, ingenuo e pericoloso, di spingere semplicemente la Russia a mollare la presa. In questa ora buia ci auguriamo che non emergano condottieri di guerra ma statisti capaci di evitare l’allargamento del conflitto e di comprendere gli obiettivi delle parti per comporli in una soluzione accettabile”.
Già nel Messaggio per la Giornata della Pace per il 2017 “La nonviolenza: stile di una politica per la pace”, papa Francesco aveva indicato una via di saggezza che, come al solito viene applaudita per essere subito disattesa da parte dei decisori internazionali, ma anche da ognuno di noi singolarmente o in gruppo. Siamo ancora troppo allenati e istruiti al se vis pacem, para bellum; non riusciamo ad immaginare alternative alle armi per difendere le nostre ragioni o difenderci dagli aggressori.
Adesso anche se pare una contraddizione rispetto agli eventi, ai morti, ai lutti, alle distruzioni, ai rancori, alla voglia di vendetta, e alla giusta necessità di non consentire oltre che si estenda il macello provocato da Putin è necessario che il discorso della nonviolenza non venga di nuovo accantonato; e tornare a convincersi che se si vuole la pace si deve costruire la pace.
Come ha dichiarato anche don Luigi Ciotti all’Agenzia di stampa SiR “non basta mobilitarsi, protestare contro l’atto di forza russo e mostrare solidarietà verso il popolo ucraino, ingiustamente aggredito. Bisogna costruire le condizioni per una pace non armata, non contingente, non basata su interessi economici convergenti ma su un’etica globale della condivisione, della corresponsabilità, della fratellanza. Non c’è pace senza giustizia”.
Quindi è di lì che si deve ripartire. Tutti, ora spingeranno per soluzioni che rafforzino l’Europa, perché vi sia un esercito che ci dia più sicurezza di fronte ai delinquenti che di tanto in tanto si trovano a capo degli Stati e usano la forza per minacciare e aggredire (come è avvenuto contro l’Ucraina), e perché si alimenti un’economia sempre meno dipendente da altri popoli (giusto essere il più possibile autonomi per evitare ricatti ma si deve evitare, alla lunga, di mettere in crisi nazioni più deboli e popoli esportatori).
Penso che non si debba dimenticare che “in ogni guerra ciò che risulta distrutto è «lo stesso progetto di fratellanza, inscritto nella vocazione della famiglia umana»” (Fratelli tutti n. 26 – Papa Francesco). È anche questo messaggio che non va disperso; dobbiamo pur in un’ora grave (anche la minaccia nucleare è stata usata) mantenere la rotta sull’obiettivo di costruire la pace: cosa che non siamo riusciti a garantire in questi decenni di post caduta del Muro di Berlino.
Ci ripete ancora papa Francesco (Fratelli tutti n. 29 e segg.) che nella globalizzazione e nel progresso vi sia una rotta comune: “Nascono focolai di tensione e si accumulano armi e munizioni [..] mancanza di una distribuzione equa delle risorse naturali. […] crisi che portano a morire di fame milioni di bambini, già ridotti a scheletri umani – a motivo della povertà e della fame [...] Davanti a questo panorama, benché ci attraggano molti progressi, non riscontriamo una rotta veramente umana”.
Tutti si sarà spinti verso posizioni che diano garanzia di forza e sicurezza. Ma se non si va oltre saremo sempre alle situazioni di partenza. Se non si disarmano gli Stati, se non cambia profondamente l’economia, se non mettiamo in crisi il business finanziario, le guerre continueranno ad insanguinare dall’una o dall’altra parte della terra. Riconvertire le fabbriche di armi. E contrapporsi al ruolo delle élite economiche globali “si rischia di non capire la portata di questa guerra, se si trascura di considerare il ruolo avuto nella sua genesi anche da quelle élite globaliste che di fatto dirigono l’Occidente. La durissima mossa russa ha alle spalle otto anni di spadroneggiamento di pezzi di élite occidentali (le stesse che hanno creato il terrorismo “islamico)”. – vedi Giuseppe Davicino su “Rinascita Popolare”.
Servono, per tornare alle parole iniziali della citazione di Castagnello, “statisti capaci” di una visione nuova, di coraggiose posizioni che rompano con le vecchie ragion di Stato; ma soprattutto di cittadini educati alla non violenza, al servizio civile, alla democrazia e al dialogo, di europei che sappiano superare le visioni politiche otto e novecentesche per rendere possibile un nuovo umanesimo basato sulla pace e sulla condivisione e collaborazione fra i popoli. È ancora una volta papa Francesco a indicare una via (la via della pace) l’unica possibile per dare futuro e speranza al pianeta: “Passata la crisi sanitaria, la peggiore reazione sarebbe quella di cadere ancora di più in un febbrile consumismo e in nuove forme di auto-protezione egoistica. Voglia il Cielo che alla fine non ci siano più “gli altri”, ma solo un “noi”. [...] facciamo un salto verso un nuovo modo di vivere e scopriamo una volta per tutte che abbiamo bisogno e siamo debitori gli uni degli altri [...]Se non riusciamo a recuperare la passione condivisa per una comunità di appartenenza e di solidarietà, alla quale destinare tempo, impegno e beni, l’illusione globale che ci inganna crollerà rovinosamente e lascerà molti in preda alla nausea e al vuoto. Inoltre, non si dovrebbe ingenuamente ignorare che «l’ossessione per uno stile di vita consumistico, soprattutto quando solo pochi possono sostenerlo, potrà provocare soltanto violenza e distruzione reciproca». Il “si salvi chi può” si tradurrà rapidamente nel “tutti contro tutti”, e questo sarà peggio di una pandemia” (Fratelli tutti, n. 35- 36).
Un’ultima considerazione. Nel 1915 i neutralisti (fra cui moltissimi cattolici) sono stati sbeffeggiati e indicati come insensibili alle richieste delle terre irredente e alla completa realizzazione dell’Unità territoriale dello Stato italiano. Dichiarata la guerra, molti (in primis i cattolici) si sono adeguati spiegando che partecipare al conflitto era il modo per dimostrare che si era cittadini a pieno titolo dello Stato, mentre fino ad allora con il non expedit non si prendeva parte alle elezioni né come eletti né come elettori (salvo eccezioni o al compromesso del Patto Gentiloni): “Noi abbiamo ritenuto fin dagli inizi [...] che il carattere aggressivo della guerra dichiarata agli imperi centrali [...] è dinanzi al mondo civile esauriente motivazione del non intervento. [...] Aderiamo alla più rigorosa neutralità, considerandola la via più sicura per la protezione dei veri interessi nazionali. […] si scriveva su alcuni settimanali locali; ma dopo poco tempo le cose cambiavano “L’avversione alla guerra accomuna socialisti e cattolici. Ma l’atteggiamento dei cattolici differisce assai da quello dei socialisti [...] perché in caso d’una guerra contro chiunque si faccia [...] hanno sempre proclamato che se anche per l’Italia venissero i giorni del sacrificio e del dolore essi saranno scrupolosamente ossequienti ai doveri di disciplina”.
Non è il caso di ripetere dopo poco più di 100 anni la vicenda, dimenticando che sulla guerra e sulle legittime domande (Esiste la guerra giusta, quella di difesa? È giusto l’intervento umanitario armato? La legittima difesa è sempre permessa e quando è possibile? Come difendiamo popolazioni inermi?) dopo il Concilio Vaticano II, dopo le riflessioni di don Mazzolari e di Gandhi, dopo le parole di Dorothy Day, di La Pira, di Martin Luther King, di Gino Strada, e dei Pontefici del dopoguerra, hanno ricevuto risposte adeguate. Si tratta solo di essere coerenti con ciò che ognuno ha recepito e condiviso dei percorsi e delle proposte degli uomini e delle Associazioni di pace. Questo non significa non sostenere gli ucraini o voltarsi dall’altra parte; ma non vuol dire sconfessare quanto è stato detto e scritto e operato solo fino a pochi mesi fa riguardo alla guerra: mai più. Basta con la cultura delle armi!
Ora a noi costruire la pace, la cultura della nonviolenza, cammini di condivisione e dialogo, intelligenza per smantellare gli arsenali e riconvertire le fabbriche di morte (sia di armi che quelle finanziarie, economiche e culturali), organizzare forme di difesa non violenta e utilizzare per questo il servizio civile facendolo divenire uno strumento universale (Pezzotta).
Formare le coscienze e sviluppare una cultura di pace richiederà molto più impegno che fermare o vincere una guerra.
Già nel Messaggio per la Giornata della Pace per il 2017 “La nonviolenza: stile di una politica per la pace”, papa Francesco aveva indicato una via di saggezza che, come al solito viene applaudita per essere subito disattesa da parte dei decisori internazionali, ma anche da ognuno di noi singolarmente o in gruppo. Siamo ancora troppo allenati e istruiti al se vis pacem, para bellum; non riusciamo ad immaginare alternative alle armi per difendere le nostre ragioni o difenderci dagli aggressori.
Adesso anche se pare una contraddizione rispetto agli eventi, ai morti, ai lutti, alle distruzioni, ai rancori, alla voglia di vendetta, e alla giusta necessità di non consentire oltre che si estenda il macello provocato da Putin è necessario che il discorso della nonviolenza non venga di nuovo accantonato; e tornare a convincersi che se si vuole la pace si deve costruire la pace.
Come ha dichiarato anche don Luigi Ciotti all’Agenzia di stampa SiR “non basta mobilitarsi, protestare contro l’atto di forza russo e mostrare solidarietà verso il popolo ucraino, ingiustamente aggredito. Bisogna costruire le condizioni per una pace non armata, non contingente, non basata su interessi economici convergenti ma su un’etica globale della condivisione, della corresponsabilità, della fratellanza. Non c’è pace senza giustizia”.
Quindi è di lì che si deve ripartire. Tutti, ora spingeranno per soluzioni che rafforzino l’Europa, perché vi sia un esercito che ci dia più sicurezza di fronte ai delinquenti che di tanto in tanto si trovano a capo degli Stati e usano la forza per minacciare e aggredire (come è avvenuto contro l’Ucraina), e perché si alimenti un’economia sempre meno dipendente da altri popoli (giusto essere il più possibile autonomi per evitare ricatti ma si deve evitare, alla lunga, di mettere in crisi nazioni più deboli e popoli esportatori).
Penso che non si debba dimenticare che “in ogni guerra ciò che risulta distrutto è «lo stesso progetto di fratellanza, inscritto nella vocazione della famiglia umana»” (Fratelli tutti n. 26 – Papa Francesco). È anche questo messaggio che non va disperso; dobbiamo pur in un’ora grave (anche la minaccia nucleare è stata usata) mantenere la rotta sull’obiettivo di costruire la pace: cosa che non siamo riusciti a garantire in questi decenni di post caduta del Muro di Berlino.
Ci ripete ancora papa Francesco (Fratelli tutti n. 29 e segg.) che nella globalizzazione e nel progresso vi sia una rotta comune: “Nascono focolai di tensione e si accumulano armi e munizioni [..] mancanza di una distribuzione equa delle risorse naturali. […] crisi che portano a morire di fame milioni di bambini, già ridotti a scheletri umani – a motivo della povertà e della fame [...] Davanti a questo panorama, benché ci attraggano molti progressi, non riscontriamo una rotta veramente umana”.
Tutti si sarà spinti verso posizioni che diano garanzia di forza e sicurezza. Ma se non si va oltre saremo sempre alle situazioni di partenza. Se non si disarmano gli Stati, se non cambia profondamente l’economia, se non mettiamo in crisi il business finanziario, le guerre continueranno ad insanguinare dall’una o dall’altra parte della terra. Riconvertire le fabbriche di armi. E contrapporsi al ruolo delle élite economiche globali “si rischia di non capire la portata di questa guerra, se si trascura di considerare il ruolo avuto nella sua genesi anche da quelle élite globaliste che di fatto dirigono l’Occidente. La durissima mossa russa ha alle spalle otto anni di spadroneggiamento di pezzi di élite occidentali (le stesse che hanno creato il terrorismo “islamico)”. – vedi Giuseppe Davicino su “Rinascita Popolare”.
Servono, per tornare alle parole iniziali della citazione di Castagnello, “statisti capaci” di una visione nuova, di coraggiose posizioni che rompano con le vecchie ragion di Stato; ma soprattutto di cittadini educati alla non violenza, al servizio civile, alla democrazia e al dialogo, di europei che sappiano superare le visioni politiche otto e novecentesche per rendere possibile un nuovo umanesimo basato sulla pace e sulla condivisione e collaborazione fra i popoli. È ancora una volta papa Francesco a indicare una via (la via della pace) l’unica possibile per dare futuro e speranza al pianeta: “Passata la crisi sanitaria, la peggiore reazione sarebbe quella di cadere ancora di più in un febbrile consumismo e in nuove forme di auto-protezione egoistica. Voglia il Cielo che alla fine non ci siano più “gli altri”, ma solo un “noi”. [...] facciamo un salto verso un nuovo modo di vivere e scopriamo una volta per tutte che abbiamo bisogno e siamo debitori gli uni degli altri [...]Se non riusciamo a recuperare la passione condivisa per una comunità di appartenenza e di solidarietà, alla quale destinare tempo, impegno e beni, l’illusione globale che ci inganna crollerà rovinosamente e lascerà molti in preda alla nausea e al vuoto. Inoltre, non si dovrebbe ingenuamente ignorare che «l’ossessione per uno stile di vita consumistico, soprattutto quando solo pochi possono sostenerlo, potrà provocare soltanto violenza e distruzione reciproca». Il “si salvi chi può” si tradurrà rapidamente nel “tutti contro tutti”, e questo sarà peggio di una pandemia” (Fratelli tutti, n. 35- 36).
Un’ultima considerazione. Nel 1915 i neutralisti (fra cui moltissimi cattolici) sono stati sbeffeggiati e indicati come insensibili alle richieste delle terre irredente e alla completa realizzazione dell’Unità territoriale dello Stato italiano. Dichiarata la guerra, molti (in primis i cattolici) si sono adeguati spiegando che partecipare al conflitto era il modo per dimostrare che si era cittadini a pieno titolo dello Stato, mentre fino ad allora con il non expedit non si prendeva parte alle elezioni né come eletti né come elettori (salvo eccezioni o al compromesso del Patto Gentiloni): “Noi abbiamo ritenuto fin dagli inizi [...] che il carattere aggressivo della guerra dichiarata agli imperi centrali [...] è dinanzi al mondo civile esauriente motivazione del non intervento. [...] Aderiamo alla più rigorosa neutralità, considerandola la via più sicura per la protezione dei veri interessi nazionali. […] si scriveva su alcuni settimanali locali; ma dopo poco tempo le cose cambiavano “L’avversione alla guerra accomuna socialisti e cattolici. Ma l’atteggiamento dei cattolici differisce assai da quello dei socialisti [...] perché in caso d’una guerra contro chiunque si faccia [...] hanno sempre proclamato che se anche per l’Italia venissero i giorni del sacrificio e del dolore essi saranno scrupolosamente ossequienti ai doveri di disciplina”.
Non è il caso di ripetere dopo poco più di 100 anni la vicenda, dimenticando che sulla guerra e sulle legittime domande (Esiste la guerra giusta, quella di difesa? È giusto l’intervento umanitario armato? La legittima difesa è sempre permessa e quando è possibile? Come difendiamo popolazioni inermi?) dopo il Concilio Vaticano II, dopo le riflessioni di don Mazzolari e di Gandhi, dopo le parole di Dorothy Day, di La Pira, di Martin Luther King, di Gino Strada, e dei Pontefici del dopoguerra, hanno ricevuto risposte adeguate. Si tratta solo di essere coerenti con ciò che ognuno ha recepito e condiviso dei percorsi e delle proposte degli uomini e delle Associazioni di pace. Questo non significa non sostenere gli ucraini o voltarsi dall’altra parte; ma non vuol dire sconfessare quanto è stato detto e scritto e operato solo fino a pochi mesi fa riguardo alla guerra: mai più. Basta con la cultura delle armi!
Ora a noi costruire la pace, la cultura della nonviolenza, cammini di condivisione e dialogo, intelligenza per smantellare gli arsenali e riconvertire le fabbriche di morte (sia di armi che quelle finanziarie, economiche e culturali), organizzare forme di difesa non violenta e utilizzare per questo il servizio civile facendolo divenire uno strumento universale (Pezzotta).
Formare le coscienze e sviluppare una cultura di pace richiederà molto più impegno che fermare o vincere una guerra.
E’ un bellissimo articolo che può e deve essere apprezzato anche da chi a volte preferirebbe metodi meno buonisti. Purtroppo, mai come di questi tempi, vedo tutto quanto descritto da Carlo Baviera come molto utopico e sicuramente occorreranno anni per cambiare (se saremo ancora in tempo) il pensiero comune sulla guerra e sulla pace. Oltretutto in me gira un pensiero cattivo ma sempre più preponderante. Tutti applaudono e sono concordi con le tante e varie posizioni di papa Francesco… già ma in quanti ci credono davvero? E’ ovvio che nessuno ha il coraggio di dire che il papa dice cose vecchie e banali, tutti lo applaudono ma in realtà credo che a pochi (ovviamente non qui nella casa dei Popolari) interessi ascoltarlo. Altrimenti non mi spiego questa voglia di elmetto indossato con voluttà repentinamente da molti. Comunque, complimenti per il bel pezzo.