La principale debolezza dell’Occidente rispetto al resto nel mondo consiste, a mio avviso, nell’aver di fatto finito per rinunciare al pluralismo. Con l’avanzare degli squilibri della globalizzazione in questo secolo, si è realizzata una concentrazione di ricchezza e di potere in pochi soggetti privati che non ha eguali nella storia. Con tali, illimitate risorse – frutto di crescenti ingiustizie a scapito dei lavoratori, di manipolazione dei mercati finanziari, di snaturamento del ruolo delle banche centrali – si è cercato di instaurare una sorta di monopolio su ogni aspetto del dibattito pubblico: culturale, accademico, scientifico, mediatico, politico. Assistiamo così al paradosso per cui nonostante il multipartitismo e la grande abbondanza di mezzi di comunicazione, le ragioni, e gli interessi, dei molti hanno finito per non contare più, per fare spazio ai progetti dei pochi. Il pensiero unico, non solo in campo economico, delimita ogni dibattito. Di fatto sulle questioni dirimenti viene ammesso un solo punto di vista, quello di coloro che esercitano nei fatti la sovranità, usurpandola alle istituzioni, e la gran parte delle discussioni avviene a senso unico, cercando di screditare, ridicolizzare, demonizzare e all’occorrenza anche criminalizzare chi, con ugual diritto, propone un punto di vista non per forza differente ma anche solo critico, non pienamente coincidente con quello dominante.
Ora, davanti alla guerra una tale situazione di assenza di un reale dibattito potrebbe comportare delle conseguenze molto serie per quella parte di Occidente, l’Europa, che è il teatro dello scontro.
Due, a mio parere, sono i rischi principali. Il primo è dovuto al fatto che quello che si definisce come lo scontro Est-Ovest, è in realtà qualcosa di più complesso. È uno scontro trasversale tra il progetto, sostenuto da un club di miliardari che controlla i giganti della finanza, del digitale, della farmaceutica, dei media, di un, loro, governo mondiale. E tra i fautori di un mondo multipolare, fondato sul reciproco riconoscimento del ruolo di ognuno di questi poli regionali nel concorrere alla governance mondiale. Il primo grande rischio è dunque quello di uno scontro globale, secondo quello schema denunciato sin dall’inizio del suo pontificato da papa Francesco, di una terza guerra mondiale a pezzi. Perché per il progetto globalista la Russia costituisce un ostacolo enorme. Questa è la ragione dell’accerchiamento della Russia che si è verificato in questi anni, al di là di ogni ragionevole necessità di carattere militare e strategico in ordine alla sicurezza: l’allargamento indiscriminato della NATO ad Est, dal Baltico ai Balcani, la guerra scatenata contro la Siria nel 2013, considerata secondo la definizione di Caterina II la Grande, la porta di accesso alla Russia dal Medio Oriente, il regime change organizzato in Ucraina nel 2014 che ha dato inizio alla guerra nel Donbass.
Se si volesse veramente trovare un accordo sulla neutralità dell’Ucraina, probabilmente lo si sarebbe raggiunto prima dell’invasione russa, attuando gli accordi di Minsk. Ora invece si fa tutto più difficile: la Russia combatte per la sua sopravvivenza, l’Occidente mira alla capitolazione della Russia. I margini di mediazione, senza un nuovo capovolgimento della leadership americana, appaiono assai ridotti.
Il secondo rischio causato dal “sequestro” della democrazia, operato dall’élite globalista, è quello che questa guerra possa esser trasformata in occasione per proseguire l’opera di distruzione sociale ed economica avviata nel 2020 con una calcolata, quanto farraginosa, gestione della pandemia come strumento di governo. La rapidità e l’assenza di critiche con cui si è arrivati alle sanzioni alla Russia sembrano andare in questa direzione. Scientemente si è deciso di adottare misure, di incerto effetto sulla Russia, ma di sicuro impatto negativo sulle economie europee. L’incertezza su approvvigionamenti di energia, commodities alimentari, materie prime, componentistica genera ulteriori spinte inflattive che in una fase di storica recessione non possono essere compensate da aumenti di reddito. Ma questo è esattamente quello che vuole il progetto del Great Reset del World Economic Forum. In questo senso la guerra diventa utile per proseguire la distruzione del maggior numero di attività private in modo da ridurre la domanda, privare le persone della loro autonomia economica così da introdurre il reddito di base universale, pagato in moneta digitale non convertibile in banconote e dunque soggetto a condizionalità di ogni tipo (sanitarie, climatiche, ideologiche). E in tal modo attuare quel socialismo dei miliardari, del capitalismo della sorveglianza, che consiste nell’esproprio della classe media e nella concentrazione maggiore possibile di ricchezza a vantaggio dell’élite ultraricca, che è il fine dell’Agenda di Davos.
Su questi due grandi rischi, guerra mondiale e collasso pilotato delle economie europee, credo si debba aprire al più presto un dibattito fra le forze politiche, a cominciare dal mettere in discussione l’efficacia delle sanzioni.
Altrimenti, la stagflazione ovvero l’iperinflazione in tempi di recessione, causata oltre che dalle note politiche deflattive europee, dalla distruzione della catena globale dei commerci e degli approvvigionamenti, agirà incontrastata in Germania e nel resto d’Europa, portando alla scarsità dei beni essenziali alla vita, per la maggior parte delle classi sociali e facendo da incubatore a fenomeni di forte instabilità sociale e politica e a rischi sempre più forti di involuzione autoritaria delle nostre democrazie.
Di tali temi credo si dovrebbe discutere, recuperando la capacità della politica di definire le priorità, non per prepararci al peggio ma per non lasciare nulla di intentato per evitarlo. Con l’aiuto di Dio lo possiamo ancora fare.
Ora, davanti alla guerra una tale situazione di assenza di un reale dibattito potrebbe comportare delle conseguenze molto serie per quella parte di Occidente, l’Europa, che è il teatro dello scontro.
Due, a mio parere, sono i rischi principali. Il primo è dovuto al fatto che quello che si definisce come lo scontro Est-Ovest, è in realtà qualcosa di più complesso. È uno scontro trasversale tra il progetto, sostenuto da un club di miliardari che controlla i giganti della finanza, del digitale, della farmaceutica, dei media, di un, loro, governo mondiale. E tra i fautori di un mondo multipolare, fondato sul reciproco riconoscimento del ruolo di ognuno di questi poli regionali nel concorrere alla governance mondiale. Il primo grande rischio è dunque quello di uno scontro globale, secondo quello schema denunciato sin dall’inizio del suo pontificato da papa Francesco, di una terza guerra mondiale a pezzi. Perché per il progetto globalista la Russia costituisce un ostacolo enorme. Questa è la ragione dell’accerchiamento della Russia che si è verificato in questi anni, al di là di ogni ragionevole necessità di carattere militare e strategico in ordine alla sicurezza: l’allargamento indiscriminato della NATO ad Est, dal Baltico ai Balcani, la guerra scatenata contro la Siria nel 2013, considerata secondo la definizione di Caterina II la Grande, la porta di accesso alla Russia dal Medio Oriente, il regime change organizzato in Ucraina nel 2014 che ha dato inizio alla guerra nel Donbass.
Se si volesse veramente trovare un accordo sulla neutralità dell’Ucraina, probabilmente lo si sarebbe raggiunto prima dell’invasione russa, attuando gli accordi di Minsk. Ora invece si fa tutto più difficile: la Russia combatte per la sua sopravvivenza, l’Occidente mira alla capitolazione della Russia. I margini di mediazione, senza un nuovo capovolgimento della leadership americana, appaiono assai ridotti.
Il secondo rischio causato dal “sequestro” della democrazia, operato dall’élite globalista, è quello che questa guerra possa esser trasformata in occasione per proseguire l’opera di distruzione sociale ed economica avviata nel 2020 con una calcolata, quanto farraginosa, gestione della pandemia come strumento di governo. La rapidità e l’assenza di critiche con cui si è arrivati alle sanzioni alla Russia sembrano andare in questa direzione. Scientemente si è deciso di adottare misure, di incerto effetto sulla Russia, ma di sicuro impatto negativo sulle economie europee. L’incertezza su approvvigionamenti di energia, commodities alimentari, materie prime, componentistica genera ulteriori spinte inflattive che in una fase di storica recessione non possono essere compensate da aumenti di reddito. Ma questo è esattamente quello che vuole il progetto del Great Reset del World Economic Forum. In questo senso la guerra diventa utile per proseguire la distruzione del maggior numero di attività private in modo da ridurre la domanda, privare le persone della loro autonomia economica così da introdurre il reddito di base universale, pagato in moneta digitale non convertibile in banconote e dunque soggetto a condizionalità di ogni tipo (sanitarie, climatiche, ideologiche). E in tal modo attuare quel socialismo dei miliardari, del capitalismo della sorveglianza, che consiste nell’esproprio della classe media e nella concentrazione maggiore possibile di ricchezza a vantaggio dell’élite ultraricca, che è il fine dell’Agenda di Davos.
Su questi due grandi rischi, guerra mondiale e collasso pilotato delle economie europee, credo si debba aprire al più presto un dibattito fra le forze politiche, a cominciare dal mettere in discussione l’efficacia delle sanzioni.
Altrimenti, la stagflazione ovvero l’iperinflazione in tempi di recessione, causata oltre che dalle note politiche deflattive europee, dalla distruzione della catena globale dei commerci e degli approvvigionamenti, agirà incontrastata in Germania e nel resto d’Europa, portando alla scarsità dei beni essenziali alla vita, per la maggior parte delle classi sociali e facendo da incubatore a fenomeni di forte instabilità sociale e politica e a rischi sempre più forti di involuzione autoritaria delle nostre democrazie.
Di tali temi credo si dovrebbe discutere, recuperando la capacità della politica di definire le priorità, non per prepararci al peggio ma per non lasciare nulla di intentato per evitarlo. Con l’aiuto di Dio lo possiamo ancora fare.
Stasera, 17 marzo, al TG3 delel 19 sono andati in onda due servizi molto illuminanti.
L’intervista fatta sul treno diretto a Kiev a due mercenari, pardon contractors, con gran sorrisi ed empatia da parte della giornalista.
Un servizio, di cui non ho ben capito il messaggio, su alcune forze speciali italiane ed i loro mezzi in viaggio o in procinto di partire per Polonia/ Romania.
Allora questo vuol dire che si sta preparando l’opinione pubblica alla guerra. Quella vera. Quindi si ha un bel dire di non esser complottisti o di pensar male, ma a mio avviso, quanto detto da Davicino rappresenta la realtà prossima futura. Un salto di qualità notevole verso il tanto desiderato Nuovo Ordine Mondiale, in cui con situazioni di guerra qualsiasi limitazione alla libertà sarà possibile. Aiutata da una crisi economica fortemente voluta.