Davide contro Golia, le Termopili, Fort Alamo: tanti i richiami per questa assurda guerra tra la gigantesca Russia e la piccola Ucraina. Quello più vero, più scomodo ed insidioso per i russi, è però Stalingrado: la città sul Volga che nel 1942-43 respinse l’invasione tedesca con un'eroica resistenza costringendo poi le armate hitleriane a ripiegare fino a Berlino. Fu la svolta della Seconda guerra mondiale e giustamente la Russia da sempre ne va fiera. Oggi però le parti si sono invertite e, ironia della storia, invasori sono i russi ed assediati gli ucraini: loro sono gli epigoni della strenua difesa sul Volga. Kiev è la nuova Stalingrado.
All’attacco russo l’Ucraina sta rispondendo con una caparbia e inattesa resistenza mal valutata sia da Putin, alla cui lucidità forse non giova quel tavolo chilometrico che lo distanzia dai suoi interlocutori, sia dagli ambienti militari, indotti probabilmente ad accondiscendere oltre misura al padrone del Cremlino. Mai come oggi – e chi lo avrebbe creduto dopo il Covid (peraltro non ancora domato del tutto) – stiamo comunque camminando sull’orlo del burrone. Occorre fermarsi. Bisogna riprendere il filo della ragione. Ben vengano quindi i colloqui tra Russia ed Ucraina ed altrettanto prezioso risulta il canale di dialogo che permette al presidente francese, Emmanuel Macron, di interloquire direttamente sia con Vladimir Putin che con Volodymyr Zelensky. Altrettanto importante un eventuale intervento della Santa Sede con il Segretario di Stato, Pietro Parolin, disponibile a una mediazione. Si evoca anche il nome di Angela Merkel, sulla cui statura internazionale nessuno può discutere, e persino di un inserimento nei giochi della Cina, più che mai interessata ad evitare qualsiasi ripercussione sui commerci mondiali.
Per intanto si assiste soltanto all'escalation di Mosca, intesa a schiacciare il popolo ucraino. Le forniture di armi all’Ucraina da parte occidentale aumentano il rischio di un possibile coinvolgimento dell’Europa nel conflitto. Ma, del resto, si poteva permettere un simile massacro senza aiutare questa gente a difendersi dall’aggressore? L'Occidente non può voltarsi dall’altra parte. Putin avrebbe ritenuto di aver mano libera ovunque e forse la Cina, spettatrice interessata, si sarebbe messa in testa strane idee su Taiwan.
Il punto dirimente è come avviare un percorso che agevoli la fine dei combattimenti e consenta di stabilizzare l'intera regione? Chiave di volta può essere il principio di autodeterminazione dei popoli. Condizione preliminare, e ineludibile, la cessazione del fuoco cui potrebbe seguire come tappa successiva, entro sei mesi al massimo, un referendum nel Donbass per vedere cosa vuole effettivamente la popolazione russofona. Un referendum in cui si chiede se la regione voglia o meno venir annessa o meno alla Russia, da organizzarsi però non come in Crimea ad uso e consumo di Mosca ma in presenza di osservatori ONU per garantirne la piena regolarità.
Dopodiché se la maggioranza dei votanti scegliesse la sovranità russa che sia accontentata. A quel punto Putin non avrebbe più alibi: con il Donbass e la Crimea assegnati alla Russia, per l’Ucraina dovrebbe partire immediatamente il percorso di adesione all’Unione europea. Qualora poi Kiev volesse di entrare anche nella NATO, si potrebbe tener conto della vicinanza ai confini russi e un eventuale ingresso ucraino dovrebbe escludere l'installazione sul suo territorio di armi nucleari o convenzionali. In sostanza, una protezione atlantica di puro carattere difensivo senza fare dell’Ucraina una piattaforma missilistica occidentale.
Scenari, si capisce, che certo non appartengono all’oggi. Anzi in questo momento, vi siamo talmente distanti, da risultare del tutto impensabili. Eppure possono rappresentare una concreta prospettiva in grado di concedere a tutti qualcosa: unico modo per indirizzare le lancette della storia verso la pace. A meno che per Mosca, l'Ucraina sia solo un pretesto per qualcos'altro.
All’attacco russo l’Ucraina sta rispondendo con una caparbia e inattesa resistenza mal valutata sia da Putin, alla cui lucidità forse non giova quel tavolo chilometrico che lo distanzia dai suoi interlocutori, sia dagli ambienti militari, indotti probabilmente ad accondiscendere oltre misura al padrone del Cremlino. Mai come oggi – e chi lo avrebbe creduto dopo il Covid (peraltro non ancora domato del tutto) – stiamo comunque camminando sull’orlo del burrone. Occorre fermarsi. Bisogna riprendere il filo della ragione. Ben vengano quindi i colloqui tra Russia ed Ucraina ed altrettanto prezioso risulta il canale di dialogo che permette al presidente francese, Emmanuel Macron, di interloquire direttamente sia con Vladimir Putin che con Volodymyr Zelensky. Altrettanto importante un eventuale intervento della Santa Sede con il Segretario di Stato, Pietro Parolin, disponibile a una mediazione. Si evoca anche il nome di Angela Merkel, sulla cui statura internazionale nessuno può discutere, e persino di un inserimento nei giochi della Cina, più che mai interessata ad evitare qualsiasi ripercussione sui commerci mondiali.
Per intanto si assiste soltanto all'escalation di Mosca, intesa a schiacciare il popolo ucraino. Le forniture di armi all’Ucraina da parte occidentale aumentano il rischio di un possibile coinvolgimento dell’Europa nel conflitto. Ma, del resto, si poteva permettere un simile massacro senza aiutare questa gente a difendersi dall’aggressore? L'Occidente non può voltarsi dall’altra parte. Putin avrebbe ritenuto di aver mano libera ovunque e forse la Cina, spettatrice interessata, si sarebbe messa in testa strane idee su Taiwan.
Il punto dirimente è come avviare un percorso che agevoli la fine dei combattimenti e consenta di stabilizzare l'intera regione? Chiave di volta può essere il principio di autodeterminazione dei popoli. Condizione preliminare, e ineludibile, la cessazione del fuoco cui potrebbe seguire come tappa successiva, entro sei mesi al massimo, un referendum nel Donbass per vedere cosa vuole effettivamente la popolazione russofona. Un referendum in cui si chiede se la regione voglia o meno venir annessa o meno alla Russia, da organizzarsi però non come in Crimea ad uso e consumo di Mosca ma in presenza di osservatori ONU per garantirne la piena regolarità.
Dopodiché se la maggioranza dei votanti scegliesse la sovranità russa che sia accontentata. A quel punto Putin non avrebbe più alibi: con il Donbass e la Crimea assegnati alla Russia, per l’Ucraina dovrebbe partire immediatamente il percorso di adesione all’Unione europea. Qualora poi Kiev volesse di entrare anche nella NATO, si potrebbe tener conto della vicinanza ai confini russi e un eventuale ingresso ucraino dovrebbe escludere l'installazione sul suo territorio di armi nucleari o convenzionali. In sostanza, una protezione atlantica di puro carattere difensivo senza fare dell’Ucraina una piattaforma missilistica occidentale.
Scenari, si capisce, che certo non appartengono all’oggi. Anzi in questo momento, vi siamo talmente distanti, da risultare del tutto impensabili. Eppure possono rappresentare una concreta prospettiva in grado di concedere a tutti qualcosa: unico modo per indirizzare le lancette della storia verso la pace. A meno che per Mosca, l'Ucraina sia solo un pretesto per qualcos'altro.
Quando parli a proposito della Cina e in chiusura dell’articolo, mi hai letto nel pensiero…
Articolo di molto buon senso , appunto l’autodeterminazione è quella che dovrebbe sempre essere la via maestra. E dovrebbe valere anche per chi vive nel Donbass. Senza se e senza ma.