Le drammatiche immagini che si susseguono quotidianamente su tutti gli schermi televisivi ripropongo una situazione che spaventa i cittadini e dove resta incerta la prospettiva finale. Cioè, detto in altri termini, nessuno continua a capire quale sia l’obiettivo finale del regime russo dopo l’invasione dell’Ucraina. Una situazione che purtroppo evolve di giorno in giorno e che richiede alla politica italiana di calibrare le reazioni sulla base di ciò che realmente accade. E che, purtroppo, è in continua evoluzione.
Ora, sulla base di questa considerazione persin scontata, è indubbio che la reazione a questo sfacciato e pericoloso imperialismo russo può ribaltare le tradizionali alleanze a cui eravamo storicamente abituati nel nostro paese. Certo, la politica estera – quando la politica ancora esisteva ed era decisiva nel disegnare gli orizzonti e le ricette programmatiche degli stessi partiti – era il faro che illuminava le scelte concrete della politica nel nostro paese. Sia sul fronte delle alleanze e sia su quello dei programmi di governo. Senza dimenticare che molti nostri Ministri degli Esteri – da Andreotti a D’Alema, da De Michelis a Dini a molti altri – erano in grado di pesare nello scenario europeo ed internazionale per la loro autorevolezza politica e personale da un lato e per la capacità di condizionare le scelte degli altri paesi e della stessa alleanza atlantica.
Oggi tutto quel patrimonio è semplicemente dissolto. Basta evocare un solo cognome, Di Maio, per rendersi conto che la nostra politica estera è ormai ridotta ad una appendice – oltre ad un deficit di autorevolezza su cui non vale neanche la pena di infierire – e che lo stesso confronto politico non passa più attraverso una proficua e seria discussione attorno alla politica estera. E quando la politica estera non orienta più le concrete strategie dei partiti le stesse alleanze politiche rischiano di essere il frutto di scelte estemporanee e dettate dalla pura convenienza momentanea.
In secondo luogo i profondi cambiamenti politici e l’improvvisa inversione di rotta di alcuni partiti – soprattutto sul versante del centrodestra e dei 5 Stelle – sul profilo e i progetti di personalità mondiali, nello specifico di Putin e della Russia, non può che incidere profondamente anche sul futuro politico italiano. Anche su questo versante, quindi, le alleanze politiche non potranno non risentirne.
Ecco perché questa guerra – che nessuno sa come finirà, quando finirà e dove finirà – è destinata a cambiare anche e soprattutto il capitolo delle alleanze politiche nel nostro Paese. Come in altri Paesi europei, del resto. Detto in altri termini, quali saranno gli asset politici decisivi e discriminanti per creare alleanze politiche e di governo credibili e fondate? Quali saranno i partiti che in questo preciso contesto storico saranno più fedeli ed accreditati con il versante occidentale ed Atlantico? Tutti? E allora le concrete ricette politiche si differenzieranno sulla riforma del catasto o sulla durata della prescrizione?
Al di là delle battute, è indubbio che sarà difficile individuare delle differenze significative sul fronte della politica estera e, di conseguenza, sull’asset che sarà sempre più decisivo per il governo dei singoli stati. Dopo di che, com’è ovvio e scontato, ci sono tanti temi di carattere politico che saranno altrettanto decisivi per la formazione di nuove alleanze politiche ed elettorali. Ma questo avverrà solo se tornerà protagonista la politica. Ovvero, la capacità di visione e di prospettiva di una società. Elementi che in un clima di politica liquida, con l’assenza di partiti che si possano ritenere tali, con culture politiche sempre più diradate e frammentate e con una classe dirigente alquanto sbiadita ed insignificante, le coalizioni rischiano di essere sempre di più puri cartelli elettorali privi di valenza politica e strategica.
Per questi motivi la guerra, questa drammatica guerra, inesorabilmente è destinata a cambiare anche le coordinate della politica italiana. E il campo delle tradizionali coalizioni politiche subirà profonde rivisitazioni e ristrutturazioni. Purché, dopo questo evento drammatico, e semprechè non diventi un fatto strutturale con cui fare i conti nei prossimi anni, ritorni la politica. Ed è per questo semplice ma importante motivo che è il momento che tornino in campo l’esperienza, la competenza, i partiti, le culture politiche e la serietà dei comportamenti politici. Contro l’improvvisazione, la casualità, la demagogia, l’antipolitica, il qualunquismo e soprattutto il populismo. Cioè contro tutto ciò che ha caratterizzato la politica italiana dopo il voto del 4 marzo 2018. Ovvero, il peggio della politica e il “nulla della politica”, come diceva l’indimenticabile Mino Martinazzoli.
Ora, sulla base di questa considerazione persin scontata, è indubbio che la reazione a questo sfacciato e pericoloso imperialismo russo può ribaltare le tradizionali alleanze a cui eravamo storicamente abituati nel nostro paese. Certo, la politica estera – quando la politica ancora esisteva ed era decisiva nel disegnare gli orizzonti e le ricette programmatiche degli stessi partiti – era il faro che illuminava le scelte concrete della politica nel nostro paese. Sia sul fronte delle alleanze e sia su quello dei programmi di governo. Senza dimenticare che molti nostri Ministri degli Esteri – da Andreotti a D’Alema, da De Michelis a Dini a molti altri – erano in grado di pesare nello scenario europeo ed internazionale per la loro autorevolezza politica e personale da un lato e per la capacità di condizionare le scelte degli altri paesi e della stessa alleanza atlantica.
Oggi tutto quel patrimonio è semplicemente dissolto. Basta evocare un solo cognome, Di Maio, per rendersi conto che la nostra politica estera è ormai ridotta ad una appendice – oltre ad un deficit di autorevolezza su cui non vale neanche la pena di infierire – e che lo stesso confronto politico non passa più attraverso una proficua e seria discussione attorno alla politica estera. E quando la politica estera non orienta più le concrete strategie dei partiti le stesse alleanze politiche rischiano di essere il frutto di scelte estemporanee e dettate dalla pura convenienza momentanea.
In secondo luogo i profondi cambiamenti politici e l’improvvisa inversione di rotta di alcuni partiti – soprattutto sul versante del centrodestra e dei 5 Stelle – sul profilo e i progetti di personalità mondiali, nello specifico di Putin e della Russia, non può che incidere profondamente anche sul futuro politico italiano. Anche su questo versante, quindi, le alleanze politiche non potranno non risentirne.
Ecco perché questa guerra – che nessuno sa come finirà, quando finirà e dove finirà – è destinata a cambiare anche e soprattutto il capitolo delle alleanze politiche nel nostro Paese. Come in altri Paesi europei, del resto. Detto in altri termini, quali saranno gli asset politici decisivi e discriminanti per creare alleanze politiche e di governo credibili e fondate? Quali saranno i partiti che in questo preciso contesto storico saranno più fedeli ed accreditati con il versante occidentale ed Atlantico? Tutti? E allora le concrete ricette politiche si differenzieranno sulla riforma del catasto o sulla durata della prescrizione?
Al di là delle battute, è indubbio che sarà difficile individuare delle differenze significative sul fronte della politica estera e, di conseguenza, sull’asset che sarà sempre più decisivo per il governo dei singoli stati. Dopo di che, com’è ovvio e scontato, ci sono tanti temi di carattere politico che saranno altrettanto decisivi per la formazione di nuove alleanze politiche ed elettorali. Ma questo avverrà solo se tornerà protagonista la politica. Ovvero, la capacità di visione e di prospettiva di una società. Elementi che in un clima di politica liquida, con l’assenza di partiti che si possano ritenere tali, con culture politiche sempre più diradate e frammentate e con una classe dirigente alquanto sbiadita ed insignificante, le coalizioni rischiano di essere sempre di più puri cartelli elettorali privi di valenza politica e strategica.
Per questi motivi la guerra, questa drammatica guerra, inesorabilmente è destinata a cambiare anche le coordinate della politica italiana. E il campo delle tradizionali coalizioni politiche subirà profonde rivisitazioni e ristrutturazioni. Purché, dopo questo evento drammatico, e semprechè non diventi un fatto strutturale con cui fare i conti nei prossimi anni, ritorni la politica. Ed è per questo semplice ma importante motivo che è il momento che tornino in campo l’esperienza, la competenza, i partiti, le culture politiche e la serietà dei comportamenti politici. Contro l’improvvisazione, la casualità, la demagogia, l’antipolitica, il qualunquismo e soprattutto il populismo. Cioè contro tutto ciò che ha caratterizzato la politica italiana dopo il voto del 4 marzo 2018. Ovvero, il peggio della politica e il “nulla della politica”, come diceva l’indimenticabile Mino Martinazzoli.
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