Ucraina, terra da spartire?



Intervista a Giuseppe Sacco    28 Febbraio 2022       0

La guerra in Ucraina sta spaventando l’opinione pubblica europea. Per capire la situazione Giancarlo Infante ha intervistato su www.politicainsieme.com il professor Giuseppe Sacco, per decenni docente di Relazioni internazionali alla LUISS “Guido Carli”, collaboratore di “Limes” e riconosciuto esperto degli scenari geopolitici mondiali.

Questa settimana ha visto giorni drammatici per la vicenda Ucraina. Qual è la sua valutazione?

Direi che purtroppo sono stati giorni decisivi, che potrebbero segnare una svolta e non solo per l’Ucraina, ma – forse – per tutta l’Europa, dove la guerra è tornata in maniera ancora più grave e pericolosa che non con la tragedia civile jugoslava. Dico “forse” perché, contrariamente a quello che non cessano di ripetere molti – anzi troppi – osservatori più o meno esperti, o più o meno improvvisati, non sono convinto che il trentennio di pace che ha fatto seguito all’implosione dell’impero sovietico sia veramente terminato. Non sono convinto, e mi rifiuto di accettare che, fatalmente, ci aspettino decenni di nuova guerra fredda, di enormi spese per gli armamenti, di rinvio di ogni altro obiettivo politico per dare priorità ad una permanente vigilia in armi.

Dall’andamento del conflitto dipenderanno conseguenze politiche a livello internazionale?

Certamente. Su questa guerra, infatti, si sa pochissimo in Occidente. Come se ci fosse una sorta di black out. Eppure i collegamenti telefonici anche privati sembrano funzionare. Peraltro, non c’è traccia di quell’attacco informatico che avrebbe dovuto bloccare tutti gli apparati elettronici dell’Ucraina. E poi, i droni americani che partono, tra l’altro, dalla Sicilia, vedono e filmano tutto. Quello che appare certo è che i Russi, nel primo giorno di guerra, hanno voluto mettere fuori gioco i principali aeroporti del Paese, ottenendo così il controllo dello spazio aereo. Oltre, naturalmente, a fornire sostegno militare, nel Donbass alle due piccole “repubbliche” dichiararsi indipendenti e che, lungo la cosiddetta “linea di contatto”, si scontrano in maniera pare assai dura con le milizie ucraine di estrema destra che, nelle ultime settimane, hanno ricevuto da alcuni paesi NATO – ma non dalla Germania – armamenti molto più efficaci di quelli di cui finora disponevano.

Nel secondo giorno di guerra, venerdì 24, l’obiettivo principale dei russi pare essere stata la capitale, Kiev, il cui aeroporto sarebbe stato occupato da circa 200 paracadutisti. Ma una colonna russa proveniente dalla Bielorussia sembra ormai in condizione di occupare la città. Politicamente importantissimo è poi il fatto che non c’è segno plausibile di un’imminente occupazione di Odessa, il cui aeroporto è però anch’esso stato danneggiato e sarebbe attualmente presidiato da un piccolo nucleo di fanti di marina russi.

Qual è il significato di questo dispiegamento sul terreno? E perché è importante la situazione di Odessa?

Perché sembra indicare che l’invasione decisa da Mosca abbia come obiettivi soprattutto le regioni site all’estremo est del Paese, e abitate quasi esclusivamente da Russi, cui il governo ucraino si era impegnato, negli accordi di Minsk, a concedere una larga autonomia; una promessa che non è stata poi mantenuta. Obiettivo complementare sarebbe la sede del governo centrale, per abbatterlo e sostituirlo, oppure metterlo sotto pressione, e ottenere un impegno di lungo periodo a che l’Ucraina non entri a far parte della NATO.

Se invece ci fosse stato, o se ci sarà nei prossimi giorni, una conquista di Odessa e delle zone interamente popolate da russofoni, site a sud-ovest e a nord della città, l’obiettivo politico perseguito da Mosca in questa avventura apparirebbe assai più ambizioso. Una forte autonomia, o addirittura la secessione di entrambe le parti del Paese in cui si parla prevalentemente russo, equivarrebbe a lasciare l’Ucraina vera e propria senza nessun accesso al mare. Cioè a ridisegnare completamente la carta politica del Paese. Allo stato attuale, però questo obiettivo non sembra rientrare negli scopi della Russia. Perciò, appena le si sarà nuovamente data voce, la diplomazia potrebbe trovare abbastanza rapidamente una soluzione al conflitto.

La dichiarazione d’indipendenza da parte delle due “repubbliche popolari” creatasi nel Donbass, e riconosciute come indipendenti dal governo e dal Parlamento di Mosca subito prima dell’inizio delle ostilità, non ha già in parte risolto il problema?

Purtroppo non è stato così. Questo riconoscimento ha creato una nuova grave occasione di scontro. Perché i confini amministrativi dei due “oblast”, le due province ucraine che Putin ha indicato come stati indipendenti, comprendono un territorio parecchio più ampio di quello effettivamente controllato dai separatisti ribelli. Ciò ha automaticamente aperto la via a un ricorso alla forza.

Ma che vantaggio trarrebbero queste due autoproclamate “repubbliche”, e la Russia loro protettrice, da un’espansione sino ai confini amministrativi dei rispettivi “oblast”, che in definitiva sono solo confini amministrativi dell’Ucraina?

Non ho mai creduto che queste “repubbliche”, ora proclamate sovrane, potessero avere un interesse ad allargarsi fino a confini dei rispettivi “oblast”, incorporando territori oggi non controllati militarmente. Anzi, credo il contrario: che non abbiano nessun interesse a che ciò si verifichi. Ma Putin sembra pensare che, da un punto di vista geopolitico, possa essere utile alla Russia che questi piccoli staterelli da lei appena riconosciuti si estendano sino confini della divisione amministrativa dello Stato ucraino che essi vogliono abbandonare.

Quale potrebbe essere questo utile?

Potrebbe essere quello d’impadronirsi della parte meridionale della “oblast” di Donetsk, in modo da collegare in un’unica entità, controllata dai separatisti, i territori delle due “repubbliche” con la costa settentrionale del Mar d’Azov, giusto di fronte alla Crimea; e in particolare di controllare il porto di Mariupol. Questa citta di circa mezzo milione d’abitanti sarebbe di estrema importanza per fornire i servizi essenziali alla Crimea, altrimenti completamente isolata dal resto del territorio russo. Tanto importante da farmi pensare che Mariupol costituisca il vero obiettivo di Mosca in questa invasione dell’Ucraina. E che una volta realizzata la saldatura tra le due autoproclamate repubbliche e la zona di Mariupol, l’interesse russo a proseguire l’attuale confronto si ridurrà molto. Il che non significa però che il meccanismo bellico ormai innescato non proceda per volontà altrui, o per semplice forza d’inerzia.

D’altra parte, a far temere che la guerra si prolunghi, c’è il fatto innegabile che il governo di Kiev non può veramente negoziare un accordo con l’invasore, e limitare i danni. E non può farlo perché non controlla veramente la situazione, neanche sulla gigantesca quota del territorio ucraino sul quale la sua sovranità non è contestata, almeno per il momento. È questo, infatti. uno spazio dove agiscono bande armate di estrema destra formate perlopiù da elementi provenienti dall’ovest dell’Ucraina. E che hanno evidenti sostegni esterni.

Ma le forze regolari del governo di Kiev, che hanno di recente ricevuto da alcuni paesi NATO – con la notevole eccezione della Germania – sostanziali quantitativi di armi, non potrebbero disciplinare questi irregolari e riprendere il controllo del territorio?

Forse sì. Tecnicamente potrebbero. Ma pare che il governo e il presidente dell’Ucraina abbiamo le mani legate dal fatto che questi gruppi godono di forti appoggi nel Parlamento ucraino. Insomma, per farla breve, il riconoscimento da parte di Mosca delle due “repubbliche” scissioniste come Stati indipendenti non risolve niente. Anzi mette Putin, che pure ha sinora esitato a farlo, nella necessità di garantirne la sicurezza con i suoi soldati, anche se definiti peacekeepers.

E come reagiranno i Paesi occidentali a questi cambiamenti, che non sono obiettivamente di poco conto.

Gli Stati Uniti hanno già reagito, nel peggiore dei modi. Non solo Biden ha cercato di fare il “duro” (cosa che egli non è propria, né politicamente né come carattere personale) e ha parlato di sanzioni durissime, Ma soprattutto, come già accennato il segretario di Stato Blinken si è affettato a comunicare a Mosca la cancellazione del previsto incontro tra lui e il ministro degli esteri russo. E questo è stato questo un colpo durissimo per le poche chance di una soluzione concordata, che potesse evitare un conflitto più ampio.

In che senso un conflitto più ampio? Lei ritiene che, una volta volta stabilizzata la situazione nel Donbass, Putin voglia usare la forza per riacquisire il controllo dell’intera Ucraina?

È possibile. Però io credo che il massimo che Putin può sperare nei suoi sogni più ambiziosi è che l’Ucraina rinunci a diventare parte dell’Alleanza atlantica. Ritengo del tutto fantasiosa quella interpretazione della personalità di Putin che lo vede come un esaltato che voglia preparare la grandezza imperiale russa e sovietica. Questo sarebbe un obiettivo impossibile. Secondo me, non credo sia giusto trattare Putin come un pazzo pericoloso. Putin è sempre stato un calcolatore freddo che, al momento opportuno, non esita a usare la violenza, ma non è un pazzo. Però forse, dopo 22 anni al potere. comincia ad invecchiare. Ma che voglia conquistare l’intera Ucraina non mi sembra realistico. Perché contro un tentativo del genere ci sarebbe una fortissima reazione avversa da parte della NATO; una reazione di fronte alla quale Mosca risulterebbe troppo debole, a meno di non voler usare armi nucleari. E i russi, tutti i russi, Putin in primo luogo, lo sanno benissimo.

Questa debolezza è dovuta a ragioni economiche oppure politiche?

Per le une e per le altre. Dal punto di vista dell’economia, la Russia, dopo il saccheggio effettuato nell’era Eltsin dagli oligarchi e dai loro amici occidentali, è un Paese economicamente allo stremo. Basta pensare che ha due volte e mezzo la popolazione dell’Italia, ma un PIL che è di parecchio inferiore a quello italiano. Il reddito pro capite italiano si aggira oggi attorno ai 31.000 dollari l’anno. Quello russo arriva si e no a 10.000.

Politicamente, poi, la Russia è un paese isolato, almeno in Europa. Negli ex paesi satelliti dell’Unione Sovietica, il sentimento pubblico le è ancora fortemente ostile. Ha certamente dei centri di potere cui fare ricorso, in primo luogo Pechino. In una certa misura anche Nuova Delhi, come si è visto alla riunione del Consiglio di Sicurezza ONU. Ma Pechino è un centro di potere che ha dieci volte la popolazione della Russia, che è in pieno boom tecnologico ed economico, che ha fame di terra, di risorse energetiche e di acqua. E che potrebbe pensare di trovarle nell’Asia russa, in buona parte sottratta proprio all’impero cinese durante l’espansione zarista. Un alleato insomma, solo potenziale e piuttosto pericoloso.

Questa difficile condizione economica, e soprattutto politica, spiega del resto perché Mosca si sia dovuta piegare a tutta una serie di successive espansioni della NATO verso Oriente. E lo ha fatto in un silenzio consapevole della propria debolezza. Se alla fine Mosca ha deciso di dare battaglia è perché vede il controllo di Kiev da parte del blocco occidentale e la trasformazione dell’Ucraina in un nemico dichiarato e armato fino ai denti, oltre la soglia che nei suoi timori renderebbe la Russia indifendibile se non avendo ricorso immediato all’arma nucleare.

Quindi, lei ritiene che non esista la minaccia di attacco generalizzato della Russia verso ovest?

Non mi faccia dire quello che non ho detto. Ho solo descritto una situazione che mi fa ritenere una tale ipotesi come costosissima per Mosca, e foriera di danni gravissimi per l’intera nazione russa. Ma non si può escludere che, sentendosi con le spalle al muro, i Russi – che con le spalle al muro effettivamente si sentono – possano seguire un leader, Putin o un altro, che li conduca su questa tragica strada. Del resto, lo stesso Putin ha fatto un accenno nel suo lungo discorso, in gran parte rivolto all’opinione pubblica interna, alla capacità di accettazione del dolore come una forza del popolo cui egli appartiene. E a cui indubbiamente appartengono la totalità o quasi degli abitanti della Crimea e degli “oblast” ucraini di Donetsk e di Luhansk, dove si trovano le “repubbliche” separatiste che Mosca ha appena riconosciuto come stati sovrani. Per non parlare degli abitanti di Odessa e di una larga fascia di territorio al confine con la Moldavia che non sono, sino ad ora, comparsi nelle cronache. Ma la cui identità andrebbe inevitabilmente tenuta in considerazione se mai si dovesse tragicamente giungere ad una spartizione dell’Ucraina.

Spartizione dell’Ucraina? Cosa le fa pensare a una simile eventualità? Lei stesso la definisce tragica.

Ricorderà che nei giorni precedenti l’invasione, si è ripetutamente parlato del trasferimento del personale diplomatico (o almeno di una parte di esso) dei principali Paesi occidentali da Kiev a Leopoli. Come se si temesse l’arrivo di truppe russe fino a fiume Dniepr, sulle cui rive sorge la capitale dell’Ucraina. Come abbiamo visto ieri, questo timore aveva qualche fondamento di verità. Ma trasferire un’ambasciata da una capitale in cui si teme l’arrivo di un esercito nemico non significa piazzare in un albergo di qualche città più lontana qualche esponente del personale diplomatico. Significa soprattutto bruciare gli archivi e distruggere tutti gli elementi d’informazione che potrebbero essere utile al nemico. E non si visto ancora nulla di simile.

Allora, si tratta solo di una mossa propagandistica. A che fine? Solo quello di spaventare l’opinione pubblica locale ed europea?

Potrebbe anche essere un modo per cominciare ad abituare questa opinione pubblica a un’eventuale spartizione dell’Ucraina. La città prescelta per questo eventuale ripiegamento, Leopoli, si trova infatti nell’estremo ovest dell’Ucraina, solo ad una settantina di chilometri dalla Polonia, ed è la città più importante di una vasta regione che è stata sovietizzata solo dopo la Seconda guerra mondiale, mentre il resto dell’Ucraina lo era stata già a partire dal 1922.

Nel caso di un tentativo russo di rendere più o meno autonoma da Kiev anche la parte sud occidentale dell’Ucraina, abitata da russi come e più della sua città principale, Odessa, la vasta regione che si trova ad ovest del fiume Dniestr finirebbe per rendersi autonoma e ad allinearsi con la Polonia e con la NATO. Al momento, però questa eventualità appare del tutto ipotetica. Anche perché le forze armate russe sembrano incontrare, nella loro avanzata da Est, e da Nord verso Kiev, una resistenza superiore al previsto.


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