Mai dire mai, Calenda



Giorgio Merlo    22 Febbraio 2022       0

Quando sento un segretario di partito pronunciare solennemente e di fronte alla sua platea di fans l’avverbio “mai”, di norma c’è un trucco. Non voglio ripercorrere i più famosi “mai” pronunciati nel recente passato, e poi puntualmente rinnegati, perché ci vorrebbe almeno un libello per ricordarli tutti. Trascuro quelli dei 5 stelle perché da quelle parti prevale una sorta circo barnum permanente dove la coerenza politica è un termine sconosciuto e pertanto è inutile farne cenno. Mi fermo a quello urlato a squarciagola da Nicola Zingaretti tempo fa di fronte al suo partito quando sentenziava, con rabbia e senza appello, che “mai e poi ancora mai il PD si sarebbe alleato con il partito di Grillo”. Il tutto accompagnato da urla da stadio e ovazioni sperticate simili, appunto, alla tradizionale curva sud. E spiegava questo giuramento solenne con argomentazioni politiche, culturali e soprattutto programmatiche inoppugnabili ed indiscutibili. Passano alcune settimane e sappiamo com’è andata a finire. Ogni commento è persin superfluo.

Adesso è la volta, per fermarsi alle ultime ore, del simpatico Calenda. Dunque, riepilogando per i non addetti ai lavori. Calenda ha giurato, come Zingaretti, che “mai e poi ancora mai” l’alleanza con i 5 Stelle. E, ha aggiunto per rafforzare e ridicolizzare un po’ la tesi, “mai e poi ancora mai con la Meloni”. Applausi scroscianti e ripetuti. Dopodiché, nella stessa assemblea, interviene il capo del Partito democratico che, dando per scontato e siglato l’accordo con il partito di Calenda, dice tranquillamente che “vinceremo insieme le elezioni del 2023”. Applausi scroscianti e ripetuti dalla platea. C’è solo un piccolo particolare, un dettaglio si potrebbe dire in gergo. Il partito di Letta individua proprio nei 5 Stelle un alleato “strategico” e decisivo ed organico per battere la cosiddetta destra. Sempre che, come dice, auspica e sostiene il guru del PD romano Goffredo Bettini, il PD non faccia poi l’alleanza politica ed organica con la Lega per la prossima legislatura.

Ora, per evitare di continuare a infilarsi in questi meandri che ti portano ad una sorta di vicolo cieco – o meglio, alla solita pratica trasformistica e opportunistica ormai collaudatissima nella politica italiana – non resta che una banale e persin scontata conclusione. E cioè, tutto quello che si è detto alla convention di Calenda a Roma in materia di alleanze appartiene al cosiddetto cabaret della politica. Tutto è possibile e tutto, puntualmente, può essere smentito e rinnegato nell’arco di poche settimane o di pochi giorni. L’unica cosa certa è che quel “mai” appartiene già al passato. Ovvero, all’armamentario più o meno comico della politica italiana. Perché, a differenza degli altri appuntamenti politici, questa volta il solenne giuramento è già stato smentito addirittura nello stesso convegno.

Ecco perché, morale della favola, chi pensa oggi di costruire un “centro” politico in quanto portatore di una “politica di centro” riformista, democratica, plurale e di governo, non può più farsi incantare dalle sirene trasformistiche ed opportunistiche. Ma, almeno su questo versante, Calenda è stato chiaro e coerente. Dicendo nei giorni scorsi che “il centro gli fa schifo” e quindi, e di conseguenza, per lui sono schifosi chi coltiva e chi pratica una “politica di centro”, questo spazio politico molto auspicato e molto gettonato richiede ed invoca una rinnovata rappresentanza politica, culturale, programmatica e organizzativa. Un vuoto che in questi ultimi mesi sta trovando, finalmente, una adeguata rappresentanza politica.

Però, almeno su un aspetto, occorrerà essere chiari: e cioè, aboliamo l’avverbio “mai” quando parliamo di alleanze. Perché anche il più spregiudicato trasformismo deve avere un limite dettato dal buon senso. Almeno adesso che il populismo sta volgendo lentamente, ma irreversibilmente, al suo capolinea.


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