Fine vita e cannabis, al di là dei referendum



Aldo Novellini    18 Febbraio 2022       1

La Corte costituzionale si è pronunciata: sulla giustizia via libera a cinque referendum su sei. Bocciati del tutto i due quesiti a maggior impatto emotivo: depenalizzazione dell’omicidio della persona consenziente, operando sull’art. 589 del codice penale, e della libera coltivazione della cannabis.

Come era lecito aspettarsi, questa decisione ha scatenato una vagonata di polemiche. Qualcuno è arrivato a mettere in dubbio l’imparzialità della Corte parlando di sentenza politica. In realtà i giudici, cui è preclusa una valutazione del merito, hanno semplicemente esaminato i quesiti dal punto di vista della loro costituzionalità. In pratica quanto fossero ammissibili nel contesto e nel rispetto del nostro ordinamento.

Sull’omicidio del consenziente, cosa peraltro diversa e addirittura peggiore, se possibile, dell’eutanasia, il rigetto è stato motivato affermando che in caso di abrogazione la vita umana sarebbe stata meno protetta. In particolare sarebbe stata più esposta quella dei più deboli. Ci saremmo in effetti trovati dinanzi ad un'aberrazione etica ancor prima che giuridica e vien da chiedersi se i promotori si rendessero pienamente conto dell'esito che sarebbe scaturito qualora avesse prevalso l'eliminazione di questo fondamentale paletto a tutela della vita delle persone.

Qualcosa di analogo è stato impedito con il rigetto del quesito sulla cannabis. Qui secondo la Corte l'ostacolo era che la rimozione dei vincoli su questa droga si sarebbe estesa ad ogni tipo di stupefacenti. Col rischio di un via libera generalizzato anche alle droghe pesanti. Non si può peraltro sottacere un tema più generale, troppo spesso sottovalutato: le cosiddette droghe leggere sono quasi sempre l'anticamera di quelle più pesanti. Risulta allora del tutto controproducente una loro legalizzazione. Una volta legali, queste sostanze avrebbero soltanto una maggior diffusione, poiché sarebbe più facile procurarsele. Tutto avverrebbe nella piena legalità e diverrebbe ancor più arduo dissuadere i giovani dal loro consumo.

Adesso in ogni caso la palla passa al Parlamento. Inutile prendersela con la Corte per la latitanza di chi è chiamato ad approvare le leggi. Sul fine vita vi è un testo in discussione. Vedremo cosa ne sortirà. E' chiaro che si tratta di temi di grande delicatezza perché parlano delle paure e delle sofferenze umane nel momento più estremo. Si toccano, per tutti, le corde più profonde della coscienza perché si va ad incidere sull'essenza stessa della vita umana. Quanto essa è nella nostra piena disponibilità? E' davvero sensato puntare unicamente sulla libera autodeterminazione dell'individuo? Risulta poi realmente libera questa volontà? Quali abusi potrebbero verificarsi? Domande a cui è difficile rispondere e che pure vanno poste. Ancor più difficile tradurre in norme questioni tanto sensibili.

E' peraltro evidente che in una società plurale come la nostra coesistano diverse matrici etiche. Si tratterà di capire in che modo da queste molteplici istanze si riuscirà a trovare una sintesi appropriata. Valorizzando al massimo, per esempio, le cure palliative così da accompagnare in modo dignitoso, e senza sofferenza, i momenti conclusivi della vita. Senza accanimenti terapeutici ma senza neppure affidarsi ciecamente a false opzioni pseudolibertarie, che lasciano la persona del tutto da sola dinanzi al passo estremo.

Una società veramente umana non è quella che accelera la morte delle persone purchessia, spacciandola per una libera scelta, ma quella che veglia con attenzione ed amore sull'ultimo tratto del nostro esistere. Ma davvero i sostenitori ad oltranza dell'eutanasia, o della libertà di drogarsi, pensano che su queste basi possa costruirsi una società realmente più umana? Ma davvero sono convinti che si vivrebbe meglio in un mondo del genere? Questi, a ben vedere, sono i veri interrogativi: quelli che tutti ci dovremmo porre. E a quel punto, forse, molte di quelle risposte, date per scontate dal materialismo individualista oggi imperante, è anche possibile vengano meno.


1 Commento

  1. E’ davvero arduo stabilire quale sia il punto di equilibrio fra l’eutanasia somministrata con colpevole leggerezza e l’accanimento terapeutico. Ricordo il caso paradigmatico di Eluana Englaro: una pattuglia di cattolici rigorosi e rigoristi si batté disperatamente per impedire l’interruzione dell’idratazione essenziale a mantenere vitale un corpo senza più coscienza, escluso per sempre dalla possibilità di tessere relazioni e di scrivere una sua propria storia. Non rischia il bioeticismo estremo di scivolare in una visione meramente materialista? Ingabbiando lo Spirito in un corpo che ha concluso la propria vicenda su questa terra? Per contro l’eutanasia facile, senza paletti chiari e rigorosi, rischia di favorire un approccio che oscilla paradossalmente tra l’ipermaterialismo e una sorta di neognosticismo (alcuni gnostici predicavano il suicidio per liberarsi dai legami terreni, visione in totale contrasto con l’antropologia giudeo cristiana di matrice biblica). Davvero una questione ardua e complessa non solo sul piano politico ma innanzitutto su quello filosofico e teologico.

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