Dopo inutili e confusi tentativi di creare candidature surrettizie da portare in emiciclo, ma durate poi lo spazio di una votazione, il Parlamento ha compiuto un gesto di resipiscenza e una presa d’atto della realtà. Nomi autorevoli ne sono circolati più nei corridoi, dietro le quinte e nei conciliaboli malcelati che nelle proposte da sottoporre ai grandi elettori.
Alcuni partiti non hanno proferito parola e si sono trincerati dietro un inspiegabile riserbo, altri hanno scelto la via dell’iniziativa ma finendo per bruciare – come è per i più incauti neofiti della politica – i nomi proposti. La destra ha fallito l’abbordaggio, ma la sinistra non ha titolo per cantare vittoria: acefala e muta. Tanti personaggi in cerca d’autore, imprigionati a Montecitorio come i protagonisti di un film di Bunuel.
Evidentemente qualche domanda più di uno dovrà porsela: la politica vince virando in extremis per la scelta migliore e di maggior garanzia per tutti: il settennato di Mattarella si è infatti realizzato all’insegna del senso di responsabilità più avvertito, il ruolo istituzionale è stato avvalorato dalle doti personali dell’uomo, dalla percezione netta e mai venuta meno di privilegiare gli interessi della comunità e di perseguire il bene comune. Pacatezza, lungimiranza, avvertito senso della misura, mai fuori dalle righe: il Presidente uscente ha dimostrato di possedere le doti e il talento del capo di Stato e del più alto rappresentante delle istituzioni e della società, di cui ha saputo intercettare umori, desideri, timori e speranze.
La scelta del Parlamento ha le sembianze di una resa ragionevole e accorta di fronte all’evidenza della realtà, ma è anche una sconfitta della politica, incapace di gestire una partita così alta, in un momento così critico per il Paese. Una caduta verticale in fatto di autorevolezza dei singoli e dell’organo legislativo. La linea della continuità non aveva allo stato pratico valide alternative e i partiti hanno temuto di portare Draghi al Quirinale scegliendo di fatto la soluzione del doppio arbitro: uno resta a Palazzo Chigi perché anch’egli non ha supplenti in grado di prenderne il posto, l’altro continua ad essere garanzia per tutti dal Colle più alto.
Qualche riflessione sulle condizioni miserevoli della politica nel suo complesso sarebbe tuttavia opportuna e necessaria: il quadro parlamentare ha evidenziato tutta la sua pochezza: non un modello di società, non un disegno di governabilità stabile, nessun programma denso per contenuti ed obiettivi, qualche vagito sul PNRR, vistose dimenticanze, carenza di temi nobili, qualche minutaglia sparpagliata nel Decreto milleproroghe. I problemi di selezione e la necessità di ricambio radicale della classe dirigente del Paese restano in tutta la loro macroscopica evidenza. Preparandosi alle elezioni del 2023 i partiti dovranno affinare strategie politiche innanzitutto basate su un saldo fondamento culturale: ciò che attualmente non è e non sarà certo destinato a migliorare con la semplice riduzione del numero dei parlamentari.
Tirano il fiato coloro che in caso di elezioni anticipate sarebbero stati destinati a una frettolosa e anonima uscita di scena, senza possibilità di rientro. Però non è questione quantitativa ma qualitativa: evidentemente il popolo non è adeguatamente rappresentato, in Parlamento – luogo di elaborazione legislativa e quindi attore di potenziali strategie da perseguire – non vanno i migliori ma i prescelti. Questo è un nodo gordiano che va risolto e qualche aspirante leader dovrebbe essere indotto a più di una doverosa meditazione.“Tutto è bene quel che finisce bene”, ha commentato Casini anche se il ritorno di Mattarella tronca sul nascere la sua candidatura. Ma c’è da credergli, in fondo è uomo politico esperto e sagace.
Prevale il buon senso, quindi, la continuità non è più il male assoluto della politica, ma stavolta la sua salvezza. Peccato che questo atteso buon senso prevalga solo dopo che i luoghi comuni, gli slogan, le promesse e i veti incrociati abbiano tentato ancora una volta di sbarrargli il passo. Grazie di cuore, caro Presidente Mattarella, sappiamo bene che è più un sacrificio che una salutare passeggiata: per questo Le siamo doppiamente grati per aver scelto per il bene del nostro Paese.
Alcuni partiti non hanno proferito parola e si sono trincerati dietro un inspiegabile riserbo, altri hanno scelto la via dell’iniziativa ma finendo per bruciare – come è per i più incauti neofiti della politica – i nomi proposti. La destra ha fallito l’abbordaggio, ma la sinistra non ha titolo per cantare vittoria: acefala e muta. Tanti personaggi in cerca d’autore, imprigionati a Montecitorio come i protagonisti di un film di Bunuel.
Evidentemente qualche domanda più di uno dovrà porsela: la politica vince virando in extremis per la scelta migliore e di maggior garanzia per tutti: il settennato di Mattarella si è infatti realizzato all’insegna del senso di responsabilità più avvertito, il ruolo istituzionale è stato avvalorato dalle doti personali dell’uomo, dalla percezione netta e mai venuta meno di privilegiare gli interessi della comunità e di perseguire il bene comune. Pacatezza, lungimiranza, avvertito senso della misura, mai fuori dalle righe: il Presidente uscente ha dimostrato di possedere le doti e il talento del capo di Stato e del più alto rappresentante delle istituzioni e della società, di cui ha saputo intercettare umori, desideri, timori e speranze.
La scelta del Parlamento ha le sembianze di una resa ragionevole e accorta di fronte all’evidenza della realtà, ma è anche una sconfitta della politica, incapace di gestire una partita così alta, in un momento così critico per il Paese. Una caduta verticale in fatto di autorevolezza dei singoli e dell’organo legislativo. La linea della continuità non aveva allo stato pratico valide alternative e i partiti hanno temuto di portare Draghi al Quirinale scegliendo di fatto la soluzione del doppio arbitro: uno resta a Palazzo Chigi perché anch’egli non ha supplenti in grado di prenderne il posto, l’altro continua ad essere garanzia per tutti dal Colle più alto.
Qualche riflessione sulle condizioni miserevoli della politica nel suo complesso sarebbe tuttavia opportuna e necessaria: il quadro parlamentare ha evidenziato tutta la sua pochezza: non un modello di società, non un disegno di governabilità stabile, nessun programma denso per contenuti ed obiettivi, qualche vagito sul PNRR, vistose dimenticanze, carenza di temi nobili, qualche minutaglia sparpagliata nel Decreto milleproroghe. I problemi di selezione e la necessità di ricambio radicale della classe dirigente del Paese restano in tutta la loro macroscopica evidenza. Preparandosi alle elezioni del 2023 i partiti dovranno affinare strategie politiche innanzitutto basate su un saldo fondamento culturale: ciò che attualmente non è e non sarà certo destinato a migliorare con la semplice riduzione del numero dei parlamentari.
Tirano il fiato coloro che in caso di elezioni anticipate sarebbero stati destinati a una frettolosa e anonima uscita di scena, senza possibilità di rientro. Però non è questione quantitativa ma qualitativa: evidentemente il popolo non è adeguatamente rappresentato, in Parlamento – luogo di elaborazione legislativa e quindi attore di potenziali strategie da perseguire – non vanno i migliori ma i prescelti. Questo è un nodo gordiano che va risolto e qualche aspirante leader dovrebbe essere indotto a più di una doverosa meditazione.“Tutto è bene quel che finisce bene”, ha commentato Casini anche se il ritorno di Mattarella tronca sul nascere la sua candidatura. Ma c’è da credergli, in fondo è uomo politico esperto e sagace.
Prevale il buon senso, quindi, la continuità non è più il male assoluto della politica, ma stavolta la sua salvezza. Peccato che questo atteso buon senso prevalga solo dopo che i luoghi comuni, gli slogan, le promesse e i veti incrociati abbiano tentato ancora una volta di sbarrargli il passo. Grazie di cuore, caro Presidente Mattarella, sappiamo bene che è più un sacrificio che una salutare passeggiata: per questo Le siamo doppiamente grati per aver scelto per il bene del nostro Paese.
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