Come sarebbe il mondo del lavoro del Centro-Nord e del Mezzogiorno fra dieci anni, se improvvisamente le migrazioni si azzerassero e i tassi di occupazione rimanessero costanti per sesso ed età? Sia al Nord che al Sud vi sarebbe una drammatica carenza di manodopera, mentre sia i colletti blu che i colletti bianchi invecchierebbero fortemente. È da questi numeri – difficilmente modificabili – che bisognerebbe partire per stimare il fabbisogno di immigrati dall’estero dei prossimi anni.
di Chiara Gargiulo e Gianpiero Dalla Zuanna
La legge Bossi Fini del 2002 chiede che alla fine di ogni anno il Governo emani un decreto flussi, fissando il numero di immigrati cui permettere di entrare nel nostro paese nell’anno successivo. Il numero viene fissato con criteri non definiti a priori, su suggerimento del Comitato per il coordinamento e il monitoraggio istituito dalla stessa legge. Nel difficile tentativo di determinare un numero “ottimale” annuale di immigrati, abbiamo provato a fare un primo passo, isolando i soli fattori demografici. I numeri che illustreremo non definiscono quindi il fabbisogno reale, perché molte altre cose possono cambiare, oltre e assieme alla demografia. Tuttavia, è da qui che si deve partire per arrivare a numeri dotati di qualche razionalità. Infatti molti aspetti dell’evoluzione demografica della popolazione lavorativa sono definibili quasi con certezza, almeno per il pros- simo decennio.
Le nostre stime sono differenziate per il Centro-Nord Italia, dove il mercato del lavoro è assai dinamico e la popolazione straniera supera oggi il 10% della popolazione totale, e per il Mezzogiorno, dove gli stranieri sono molti di meno, i tassi di attività più bassi e quelli di disoccupazione assai più elevati. La stima proietta il fabbisogno dal 2012-20 al 2022-30. La fonte è la Rilevazione Continua Istat delle Forze di Lavoro, che ha almeno tre pregi: fornisce risultati tempestivi (pochi mesi dopo la rilevazione), ha numerosità elevate (annualmente viene intervistata l’1% della popolazione residente in Italia) e ri- leva il lavoro in modo dettagliato. L’utilizzo di questa fonte potrà permettere di aggiornare annualmente queste stime.
L’obiettivo è vedere come si modificherà la domanda di occupati nei prossimi anni rispetto a quella odierna, partendo dalla popolazione suddivisa per cittadinanza (italiani e stranieri), sesso (uomini e donne) e titolo di studio (basso: no titolo, elementari, medie, corsi professionali e alto: diploma e laurea). La stima riguarda la popolazione totale in età lavorativa (15-64 anni), suddivisa per classi di età quinquennali. Quali saranno le categorie della popolazione per le quali, nel prossimo decennio, si avrà un numero sufficiente di potenziali nuovi occupati per coprire il vuoto occupazionale lasciato dai nuovi pensionati, ovvero vi sarà un tendenziale deficit o surplus di lavoratori, ricopribile mediante modifiche strutturali del mercato del lavoro e/o grazie a flussi migratori?
Supponiamo che il mercato del lavoro sia “cristallizzato”, ossia che la percentuale di occupati per ogni categoria frutto degli incroci fra le variabili sesso, cittadinanza e titolo di studio resti la stessa nei prossimi anni, per ogni classe di età quinquennale, che non ci siano migrazioni né cambi di cittadinanza, Per semplicità, facciamo anche l’ipotesi di mortalità nulla, visto che fortunatamente nel nostro paese la mortalità fra 5 e 64 anni è demograficamente trascurabile. Queste ipotesi non sono ovviamente verosimili. Tuttavia, lavorando in questo modo, per ogni categoria considerata possiamo isolare l’effetto di trasformazioni demografiche che si verificheranno in ogni caso, ossia il progressivo invecchiamento delle generazioni: perché – in ogni caso – fra dieci anni la grandissima parte dei lavoratori di 15-64 anni sarà costituita da chi oggi ha 5-54 anni.
Partendo da questa prima stima, in un momento successivo sarà possibile fare ipotesi sull’evoluzione della propensione all’occupazione futura (ad esempio supponendo che il tasso di occupazione femminile continui ad aumentare, come è accaduto nel corso degli ultimi decenni, che la disoccupazione diminuisca, che la produttività aumenti…), per giungere a stime più realistiche del fabbisogno migratorio (in entrata o in uscita) nei prossimi anni.
Come già accennato, i dati fanno riferimento alla Rilevazione Continua sulle Forze di Lavoro, considerando in un solo blocco gli anni 2012-2020. L’informazione relativa allo stato occupazionale è stata ricavata dalla domanda I1: Nella settimana di riferimento, si considerava occupato, disoccupato, casalinga, studente o ritirato dal lavoro? Le risposte a tale domanda sono state suddivise in sei modalità: occupato, disoccupato, casalinga, studente, altro inattivo, ritirato/inabile.
Per leggere l’intero rapporto CLICCA QUI
di Chiara Gargiulo e Gianpiero Dalla Zuanna
La legge Bossi Fini del 2002 chiede che alla fine di ogni anno il Governo emani un decreto flussi, fissando il numero di immigrati cui permettere di entrare nel nostro paese nell’anno successivo. Il numero viene fissato con criteri non definiti a priori, su suggerimento del Comitato per il coordinamento e il monitoraggio istituito dalla stessa legge. Nel difficile tentativo di determinare un numero “ottimale” annuale di immigrati, abbiamo provato a fare un primo passo, isolando i soli fattori demografici. I numeri che illustreremo non definiscono quindi il fabbisogno reale, perché molte altre cose possono cambiare, oltre e assieme alla demografia. Tuttavia, è da qui che si deve partire per arrivare a numeri dotati di qualche razionalità. Infatti molti aspetti dell’evoluzione demografica della popolazione lavorativa sono definibili quasi con certezza, almeno per il pros- simo decennio.
Le nostre stime sono differenziate per il Centro-Nord Italia, dove il mercato del lavoro è assai dinamico e la popolazione straniera supera oggi il 10% della popolazione totale, e per il Mezzogiorno, dove gli stranieri sono molti di meno, i tassi di attività più bassi e quelli di disoccupazione assai più elevati. La stima proietta il fabbisogno dal 2012-20 al 2022-30. La fonte è la Rilevazione Continua Istat delle Forze di Lavoro, che ha almeno tre pregi: fornisce risultati tempestivi (pochi mesi dopo la rilevazione), ha numerosità elevate (annualmente viene intervistata l’1% della popolazione residente in Italia) e ri- leva il lavoro in modo dettagliato. L’utilizzo di questa fonte potrà permettere di aggiornare annualmente queste stime.
L’obiettivo è vedere come si modificherà la domanda di occupati nei prossimi anni rispetto a quella odierna, partendo dalla popolazione suddivisa per cittadinanza (italiani e stranieri), sesso (uomini e donne) e titolo di studio (basso: no titolo, elementari, medie, corsi professionali e alto: diploma e laurea). La stima riguarda la popolazione totale in età lavorativa (15-64 anni), suddivisa per classi di età quinquennali. Quali saranno le categorie della popolazione per le quali, nel prossimo decennio, si avrà un numero sufficiente di potenziali nuovi occupati per coprire il vuoto occupazionale lasciato dai nuovi pensionati, ovvero vi sarà un tendenziale deficit o surplus di lavoratori, ricopribile mediante modifiche strutturali del mercato del lavoro e/o grazie a flussi migratori?
Supponiamo che il mercato del lavoro sia “cristallizzato”, ossia che la percentuale di occupati per ogni categoria frutto degli incroci fra le variabili sesso, cittadinanza e titolo di studio resti la stessa nei prossimi anni, per ogni classe di età quinquennale, che non ci siano migrazioni né cambi di cittadinanza, Per semplicità, facciamo anche l’ipotesi di mortalità nulla, visto che fortunatamente nel nostro paese la mortalità fra 5 e 64 anni è demograficamente trascurabile. Queste ipotesi non sono ovviamente verosimili. Tuttavia, lavorando in questo modo, per ogni categoria considerata possiamo isolare l’effetto di trasformazioni demografiche che si verificheranno in ogni caso, ossia il progressivo invecchiamento delle generazioni: perché – in ogni caso – fra dieci anni la grandissima parte dei lavoratori di 15-64 anni sarà costituita da chi oggi ha 5-54 anni.
Partendo da questa prima stima, in un momento successivo sarà possibile fare ipotesi sull’evoluzione della propensione all’occupazione futura (ad esempio supponendo che il tasso di occupazione femminile continui ad aumentare, come è accaduto nel corso degli ultimi decenni, che la disoccupazione diminuisca, che la produttività aumenti…), per giungere a stime più realistiche del fabbisogno migratorio (in entrata o in uscita) nei prossimi anni.
Come già accennato, i dati fanno riferimento alla Rilevazione Continua sulle Forze di Lavoro, considerando in un solo blocco gli anni 2012-2020. L’informazione relativa allo stato occupazionale è stata ricavata dalla domanda I1: Nella settimana di riferimento, si considerava occupato, disoccupato, casalinga, studente o ritirato dal lavoro? Le risposte a tale domanda sono state suddivise in sei modalità: occupato, disoccupato, casalinga, studente, altro inattivo, ritirato/inabile.
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