Nella corsa al Quirinale si assiste da sempre allo stesso spettacolo: massima incertezza e prime votazioni di semplice assaggio. Per lo più schede bianche e candidature di bandiera, in attesa di entrare nel vivo del gioco. Niente di nuovo perché è sempre stato così, tranne nel 1985, quando fu eletto Francesco Cossiga, e nel 1999, quando al Colle salì Carlo Azeglio Ciampi. Tutto è però destinato a cambiare a partire dalla quarta votazione, quando per l'elezione si passa dalla maggioranza dei due terzi dell'assemblea a quella assoluta. Basteranno infatti 505 voti anziché 673 come negli scrutini iniziali anche se, a quel punto, vi è il rischio di forzature di una parte o dell'altra e di approdare ad un candidato non condiviso.
La verità è che, almeno in questa occasione, con un governo di unità nazionale si poteva evitare tutta questa incertezza. Il sistema politico è però letteralmente esploso: le due coalizioni sono divise al loro interno, le diverse forze politiche non hanno ben chiaro cosa fare e i gruppi parlamentari sono divenuti del tutto ingestibili. Basti solo pensare ai tanti cambi di casacca che si sono verificati nel corso della legislatura. E' come non se esistesse più alcuna prospettiva politica oltre una quotidiana navigazione a vista. Si è così sprecato una grande opportunità: quella di eleggere al primo turno, una personalità di spessore politico, condivisa dai due schieramenti e capace di unire il Paese.
In fondo bastava pensarci un po' prima e tutto poteva risolversi con largo anticipo. La prima ipotesi avrebbe potuto esser quella di puntare senza indugi su Mario Draghi accordandosi, entro la maggioranza che sostiene il governo, su un percorso che portasse a palazzo Chigi un nuovo premier. Tra i nomi cui affidare la guida dell' esecutivo per quest'ultimo anno di legislatura: la ministra della Giustizia, Marta Cartabia, il ministro dell'Economia, Daniele Franco o l'eterna riserva della Repubblica, Giuliano Amato.
Preso questo impegno, avendo in qualche modo definito il quadro per i prossimi dodici mesi, si poteva dare facilmente il via ad una presidenza Draghi. Tutto questo senza menomare in alcuna maniera le attribuzioni del futuro Presidente della Repubblica, poiché comunque, una volta aperta la crisi di governo, ed avviate le consultazioni, in quella sede i partiti avrebbero semplicemente riconfermato al nuovo Capo dello Stato, Draghi per l'appunto, quanto già deciso prima dell'elezione.
Seconda ipotesi, quella di lasciare Draghi a palazzo Chigi pensando però, già in anticipo, alla personalità da far salire al Quirinale. Anche in questo caso attraverso una preliminare intesa tra le forze politiche che sostengono il governo. Intesa di cui avrebbe anche potuto esser parte Fratelli d'Italia, visto che il tema non sarebbe stato l'appoggio all'esecutivo di unità nazionale ma la scelta del futuro Presidente della Repubblica. A quel punto si potevano indicare alcuni possibili candidati che lasciassero soddisfatti i due schieramenti e tali da essere poi votati in maniera unitaria. Una scelta non smaccatamente di parte, come l'insipida terna presentata dal centro-destra, ma un paio di nomi capaci di rappresentare tutte le forze politiche. Uno di questi, Mario Monti, un liberal-moderato non certo ascrivibile alla sinistra. In pratica, un percorso simile a quello che portò al Quirinale Ciampi, eletto grazie ad un preventivo accordo tra Pds e Forza Italia, tra Massimo D'Alema e Silvio Berlusconi.
Seguendo questa logica si sarebbe giunti al voto di questi giorni con la certezza di un'elezione immediata al primo turno. Il miglior segnale che si poteva dare al Paese e all'Europa, riguardo alla capacità della politica di saper far fronte alle sfide sanitarie ed economiche che ci stanno davanti.
Invece nulla di tutto ciò. Si è preferito attendere fino all'ultimo giorno, senza neanche rendere esplicite le strategie perseguite, ammesso che ve ne siano. Inevitabile l'impasse attuale. Adesso occorre muoversi superando veti e contrapposizioni, disegnando in poche manciate di ore quegli scenari che, per tempo, si sarebbero potuti delinare con molta maggior efficacia. In passato, molte volte, è mancata una politica di qualità. Adesso a mancare è la politica del tutto.
La verità è che, almeno in questa occasione, con un governo di unità nazionale si poteva evitare tutta questa incertezza. Il sistema politico è però letteralmente esploso: le due coalizioni sono divise al loro interno, le diverse forze politiche non hanno ben chiaro cosa fare e i gruppi parlamentari sono divenuti del tutto ingestibili. Basti solo pensare ai tanti cambi di casacca che si sono verificati nel corso della legislatura. E' come non se esistesse più alcuna prospettiva politica oltre una quotidiana navigazione a vista. Si è così sprecato una grande opportunità: quella di eleggere al primo turno, una personalità di spessore politico, condivisa dai due schieramenti e capace di unire il Paese.
In fondo bastava pensarci un po' prima e tutto poteva risolversi con largo anticipo. La prima ipotesi avrebbe potuto esser quella di puntare senza indugi su Mario Draghi accordandosi, entro la maggioranza che sostiene il governo, su un percorso che portasse a palazzo Chigi un nuovo premier. Tra i nomi cui affidare la guida dell' esecutivo per quest'ultimo anno di legislatura: la ministra della Giustizia, Marta Cartabia, il ministro dell'Economia, Daniele Franco o l'eterna riserva della Repubblica, Giuliano Amato.
Preso questo impegno, avendo in qualche modo definito il quadro per i prossimi dodici mesi, si poteva dare facilmente il via ad una presidenza Draghi. Tutto questo senza menomare in alcuna maniera le attribuzioni del futuro Presidente della Repubblica, poiché comunque, una volta aperta la crisi di governo, ed avviate le consultazioni, in quella sede i partiti avrebbero semplicemente riconfermato al nuovo Capo dello Stato, Draghi per l'appunto, quanto già deciso prima dell'elezione.
Seconda ipotesi, quella di lasciare Draghi a palazzo Chigi pensando però, già in anticipo, alla personalità da far salire al Quirinale. Anche in questo caso attraverso una preliminare intesa tra le forze politiche che sostengono il governo. Intesa di cui avrebbe anche potuto esser parte Fratelli d'Italia, visto che il tema non sarebbe stato l'appoggio all'esecutivo di unità nazionale ma la scelta del futuro Presidente della Repubblica. A quel punto si potevano indicare alcuni possibili candidati che lasciassero soddisfatti i due schieramenti e tali da essere poi votati in maniera unitaria. Una scelta non smaccatamente di parte, come l'insipida terna presentata dal centro-destra, ma un paio di nomi capaci di rappresentare tutte le forze politiche. Uno di questi, Mario Monti, un liberal-moderato non certo ascrivibile alla sinistra. In pratica, un percorso simile a quello che portò al Quirinale Ciampi, eletto grazie ad un preventivo accordo tra Pds e Forza Italia, tra Massimo D'Alema e Silvio Berlusconi.
Seguendo questa logica si sarebbe giunti al voto di questi giorni con la certezza di un'elezione immediata al primo turno. Il miglior segnale che si poteva dare al Paese e all'Europa, riguardo alla capacità della politica di saper far fronte alle sfide sanitarie ed economiche che ci stanno davanti.
Invece nulla di tutto ciò. Si è preferito attendere fino all'ultimo giorno, senza neanche rendere esplicite le strategie perseguite, ammesso che ve ne siano. Inevitabile l'impasse attuale. Adesso occorre muoversi superando veti e contrapposizioni, disegnando in poche manciate di ore quegli scenari che, per tempo, si sarebbero potuti delinare con molta maggior efficacia. In passato, molte volte, è mancata una politica di qualità. Adesso a mancare è la politica del tutto.
Ritengo migliore l’ipotesi di Draghi al Quirinale per avere una persona che l’Europa ci invidia, che, se dovesse essere bocciata, potrebbe dimettersi e rischieremmo guai per il futuro economico dell’Italia. La Borsa crollerebbe e i nostri risparmi rischierebbero e di brutto!
Ahimè, temo che il vero obbiettivo sia farsi fuori Draghi e il suo buonsenso. Il boccone dei finanziamenti del pnrr fa troppo gola.