Beppe Andreis, cattolico-democratico “integrale”



Giuseppe Davicino    23 Dicembre 2021       1

Beppe Andreis, un amico e un maestro, anche per molti Popolari, è stata una figura integrale di cattolico democratico, impegnato nel sociale, nella Chiesa, nel politico, nell’economia (con un’azienda agricola nel campo dell’eccellenza enologica piemontese e del turismo culturale ed enogastronomico). Integrale, non certo integralista, bensì nel senso della completezza. Non un politico, o un dirigente associativo di professione, pur avendo rivestito molti e importanti ruoli nelle ACLI, ma un impegno civile continuo contrassegnato da tante e diverse esperienze, da quella municipale a quella del Terzo settore e di corpi sociali di diversa natura. Una vita di molti fatti, di idee, di proposte e di parole misurate e pregnanti.

Questa sua straordinaria versatilità gli ha permesso di attraversare sempre in prima linea le diverse fasi della vita politica e sociale del Paese, ancorato alla missione, che ha svolto in maniera esemplare, della rappresentanza del territorio, della sua Piossasco, della Provincia Granda, del Piemonte e del Paese.

Nella crisi politico-istituzionale degli anni Novanta, quando personalmente ho iniziato a conoscerlo nelle ACLI e tra i Popolari, aveva ben chiaro quale fosse la posta in gioco: non, o non solo, la questione morale ma, con quel pretesto, una profonda operazione di rimodellamento, di reset, del sistema politico italiano che passò dalla cancellazione della Democrazia cristiana per aprire la strada a un bipolarismo ottenuto con l’ingegneria delle eleggi elettorali, anziché con la pazienza della politica, mirante a semplificare e impoverire la rappresentanza a vantaggio della chimera del bipartitismo.

Netta fu la sua contrarietà all'elezione diretta dei presidenti di Regione. Una critica che formulò nei seguenti termini su “Il Popolo” del 10 novembre 1999: “A nessuno può sfuggire che l’elezione diretta del Presidente della Regione rappresenti il passo decisivo verso l’ultima tappa del percorso italiano al presidenzialismo, un ulteriore balzo in avanti della personalizzazione della politica, un altro passo indietro nei compiti propri dei partiti, da associazione di uomini volontariamente impegnati nell’agone politico a semplici comitati elettorali”. Giudizio che fotografava l’esatta evoluzione cui abbiamo assistito nel primo ventennio del terzo millennio.

L’obiettivo di quella crisi del sistema politico degli anni Novanta era, come allora scrisse a commento del fallimento del referendum del 18 aprile 1999 per l’abrogazione della quota proporzionale del Mattarellum, “lo stravolgimento del patto costituzionale e la trasformazione del progetto della democrazia partecipata e responsabile dei padri fondatori dell’Italia repubblicana”.

Il successivo cambiamento della qualità e del livello della politica nella cosiddetta Seconda Repubblica, accompagnato da un progressivo avanzamento nell’irrilevanza del cattolicesimo politico e sociale organizzato, e anche da una contestuale difficoltà della Chiesa a interloquire con la società, stimolò Andreis a cercare di decifrare questi nuovi segni dei tempi, insieme a un atteggiamento di realistica coscienza delle difficoltà e di umana comprensione, non giustificazione, delle miserie e delle debolezze umane di quella nuova fase politica che, lungi dall’essersi conclusa, sembra essersi protratta fino ai nostri giorni.

Il suo intrinseco appello, mai sbandierato ma che trapelava nei suoi interventi pubblici e soprattutto nelle discussioni con molti suoi autorevolissimi interlocutori, era volto a un realismo – che egli vedeva come l’esatto contrario della rassegnazione –, all’adeguamento del soggetto che opera nella storia alla realtà mutata, nella diversità e distinzione dei ruoli, sia nel caso della Chiesa, acquisendo consapevolezza di un ruolo e di un seguito che ha perso; come nel caso delle ACLI, prendendo atto della reale consistenza delle loro energie per l’elaborazione politica e la critica sociale, e del permanere di una importante rete di servizi; sia nel caso dello strumento partito, ormai non più capace di svolgere le proprie specifiche e insostituibili funzioni per la vita democratica.

Giuseppe Andreis è stato una personalità di cattolico democratico “integrale”, completo, anche per aver sempre mantenuto un costante e vivo interesse per la dimensione internazionale e per aver formulato sui nodi geopolitici globali giudizi approfonditi, di grande e lungimirante visione e di non comune saggezza. Penso, ad esempio, a quanto siano attuali le considerazione che faceva nel lontano 1999 sui Balcani e sulla Russia verso la quale forze irresponsabili tuttora rischiano di continuo di provocare l’irreparabile.

In un articolo per “Rinascita popolare” della primavera del 1999 scriveva: “Dare giustizia ai kosovari e ricostruire il Kosovo non deve quindi significare dimenticare le molte ragioni dei serbi e della Serbia, che devono e dovranno essere riconosciute senza esitazioni. Non dobbiamo pensare a un protettorato NATO sulla Serbia, ma, abbattuto Milosevic, credere nei serbi e anche nei russi”.

Dimostrava così profonda coscienza dell’inscindibilità della politica internazionale da quella interna, e riteneva la prima una chiave irrinunciabile per capire, analizzare e orientare la seconda.

Beppe ci lascia una grande eredità con la testimonianza d’impegno della sua vita nel lavoro, nella Chiesa, nella società e nella politica: una vita fruttuosa che nel contempo è stata anche una grande semina che sta, in primo luogo a chi ha avuto la fortuna di conoscerlo, fare in modo che possa dare i frutti che lui avrebbe desiderato.


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