Numerosi e sempre interessanti gli articoli ospitati su “Il Domani d’Italia” in tema di impegno politico dei cattolici. Motu proprio o tirati per la giacca dalle sollecitazioni delle gerarchie della Chiesa (ultima quella di Mons. Galantino ma non dimentichiamo quelle dei Card. Bagnasco e Ruini, per fermarsi all’ieri o all’altro ieri), molti si esprimono con una pluralità di idee e valutazioni che significano fermento, ricchezza culturale, desiderio latente, legittima consapevolezza di un bisogno che sta nei cassetti della storia o nelle corde delle analisi politiche e sociali del nostro. tempo. Trovo che queste considerazioni abbiano il pregio della coerenza dei valori che non ci sono più e di quelli che dovrebbero sostituire il caravanserraglio della partitocrazia nazionale, con una spinta che nasca dal basso, dai bisogni della gente, della partecipazione popolare per troppo tempo conculcata.
In un Paese in cui si votano parlamentari già designati dai proprietari dei partiti – coloro che mettono nome e ipoteca sui simboli elettorali – dove l’astensionismo si avvia a superare i voti espressi, la riduzione di deputati e senatori, voluta da un referendum improvvido e demagogico, legittimerà il passaggio dalla democrazia virtuale alla oligarchia sostanziale. Basta osservare le manovre in atto a Montecitorio e a Palazzo Madama per capacitarsi del fatto che ogni congettura sul prossimo inquilino del Quirinale sottende l’implicito non detto: “esserci”, “restare”, “trovare uno spazio” per sopravvivere alla falcidie del taglio prossimo venturo.
Ad essere realisti, osservando la mappa attuale degli schieramenti, lo sparigliamento dei gruppi specie al centro – da sempre determinante per alleanze, bilanciamenti e quorum necessari – potrebbe scoraggiare il più audace teorico di una nuova rappresentanza politica identitaria del cattolicesimo social-liberale: il rassemblement che si va configurando per fare spazio ad un tertium genus politico è luogo di incroci, provenienze e identità diverse, convergenze ispirate da temperante moderazione. Si tratta di un centro che è già affollato e lo sarà ancora di più: tutti si stanno muovendo in questa direzione, c’è dunque spazio tra gli opposti populismi di destra e sinistra.
Con una rappresentanza parlamentare ridotta, compressa ed eterodiretta dalle segreterie dei partiti, il centro sopravvive se si ricompatta: poco importa se questo avviene per una spinta alla sopravvivenza autoreferenziale, si smussano gli angoli, si attenuano gli attriti, si persegue l’istinto federatore. I dettagli che dividevano ora potrebbero unire. L’esistente è già ampiamente debordante rispetto alle potenzialità ricettive degli scranni parlamentari: basta osservare la variegata presenza, ufficiale o occultata dentro partiti più consistenti, per rendersi conto di quanti inquilini attuali vogliano rinnovare il contratto di locazione. UDC, Coraggio Italia, Italia viva, Azione e +Europa, Maie-PSI-Facciamo Eco, Minoranze linguistiche, gruppo misto, Centro democratico, Noi con l’Italia, Rinascimento-USEI,-ADC, Alternativa, Democrazia Cristiana, senza contare deputati e senatori non iscritti ad alcun gruppo ma in attesa di più sicura collocazione.
Si aggiungano aggregazioni attualmente non rappresentate ma foriere di nuove adesioni – come ‘Noi di centro’ di Mastella, a cui guardano futuri adepti (ma lui che si dichiara copernicano, cioè inclusivo, non accetterebbe ad esempio Calenda definito tolemaico) in un rimescolamento dove conteranno più i numeri delle idee. C’è poi chi spinge per convergere nelle aggregazioni che si compongono per accorpamenti scissioni e fissioni: molti guardano con interesse ad iniziative come Insieme o Base Italia di Marco Bentivogli, ex FLM CISL,, mentre si affacciano nuovi o vecchi coaguli, come Cambiamo, Idea, il Popolo della famiglia, i Popolari di Giovanardi, il CDU di Mario Tassone. Il fermento è notevole, segno di vitalità e coraggio, fedeltà ai valori tramandati dagli esempi del passato. Ma con questo sistema elettorale si resta o si entra solo se ci si unisce: la storia parlamentare dal Risorgimento ai giorni nostri insegna che “navigare necesse est”, una volta dentro, poi, il rimescolamento di carte e appartenenze è assoggettato a variabili empiriche imprevedibili e altrimenti spiegabili.
Ora io credo che chi convintamente si esprime in questa effervescente fucina di idee che sono i magazine di ispirazione cattolica – e tra questi “Il Domani d’Italia” catalizza interventi autorevoli – sia animato da sentimenti onesti e da intendimenti coerenti con il passato: ricorrono i nomi di Sturzo, De Gasperi, La Pira, Dossetti, Moro, Donat Cattin, Zaccagnini, Martinazzoli e mi scuso per le omissioni non volute per ragioni di spazio. Credo inoltre che chi scrive mettendoci la faccia tenga conto delle sollecitazioni della Chiesa ad una presenza politica incisiva, ispirata ai valori del Vangelo, al fondamento cristiano e cattolico delle idee, pur nel grande contenitore della laicità dello Stato, un ‘valore’, una ‘conquista’ di cui la Chiesa stessa ha preso atto. Personalmente, genovese di nascita e di formazione politica, debbo a Paolo Emilio Taviani questo rigoroso insegnamento che è la base fondativa di un partito che guardi alla società civile e plurale.
La percezione prevalente – tuttavia – è che le redini del gioco saranno tenute dai politici attuali, coloro che siedono in Parlamento, molti di lungo corso, altri dotati di raffinata lungimiranza tattica, specie al centro del centro parlamentare, sostenendo il metodo e la rotta intrapresi da Mario Draghi. Scrivere a lungo su teoremi ipotetici in cantiere non costa nulla, ma temo possa essere alla fin fine ininfluente. Come al solito prevarranno la scelta dei capi carismatici e il saltare alla svelta sul carro vincente, perché in fondo si tratta anche di risveglio preelettorale.
Solo un sistema proporzionale puro potrebbe anche in un Parlamento ridotto, consentire di aspirare a una pur minima rappresentanza. Ma se l’obiettivo non è il potere ma il radicamento territoriale, l’ispirazione ideale, la difesa di valori a rischio di estinzione, il “corto raggio” e la filiera politica del fiduciariato locale potrebbero concorrere a rivitalizzare il Paese, metodo peraltro indicato dal recente Rapporto Censis, e con esso anche la presenza del cattolicesimo sociale innervato nei gangli e nei cenacoli dell’associazionismo che sopravvive alle derive di omologazione di basso profilo culturale.
(Tratto da www.ildomaniditalia.eu)
In un Paese in cui si votano parlamentari già designati dai proprietari dei partiti – coloro che mettono nome e ipoteca sui simboli elettorali – dove l’astensionismo si avvia a superare i voti espressi, la riduzione di deputati e senatori, voluta da un referendum improvvido e demagogico, legittimerà il passaggio dalla democrazia virtuale alla oligarchia sostanziale. Basta osservare le manovre in atto a Montecitorio e a Palazzo Madama per capacitarsi del fatto che ogni congettura sul prossimo inquilino del Quirinale sottende l’implicito non detto: “esserci”, “restare”, “trovare uno spazio” per sopravvivere alla falcidie del taglio prossimo venturo.
Ad essere realisti, osservando la mappa attuale degli schieramenti, lo sparigliamento dei gruppi specie al centro – da sempre determinante per alleanze, bilanciamenti e quorum necessari – potrebbe scoraggiare il più audace teorico di una nuova rappresentanza politica identitaria del cattolicesimo social-liberale: il rassemblement che si va configurando per fare spazio ad un tertium genus politico è luogo di incroci, provenienze e identità diverse, convergenze ispirate da temperante moderazione. Si tratta di un centro che è già affollato e lo sarà ancora di più: tutti si stanno muovendo in questa direzione, c’è dunque spazio tra gli opposti populismi di destra e sinistra.
Con una rappresentanza parlamentare ridotta, compressa ed eterodiretta dalle segreterie dei partiti, il centro sopravvive se si ricompatta: poco importa se questo avviene per una spinta alla sopravvivenza autoreferenziale, si smussano gli angoli, si attenuano gli attriti, si persegue l’istinto federatore. I dettagli che dividevano ora potrebbero unire. L’esistente è già ampiamente debordante rispetto alle potenzialità ricettive degli scranni parlamentari: basta osservare la variegata presenza, ufficiale o occultata dentro partiti più consistenti, per rendersi conto di quanti inquilini attuali vogliano rinnovare il contratto di locazione. UDC, Coraggio Italia, Italia viva, Azione e +Europa, Maie-PSI-Facciamo Eco, Minoranze linguistiche, gruppo misto, Centro democratico, Noi con l’Italia, Rinascimento-USEI,-ADC, Alternativa, Democrazia Cristiana, senza contare deputati e senatori non iscritti ad alcun gruppo ma in attesa di più sicura collocazione.
Si aggiungano aggregazioni attualmente non rappresentate ma foriere di nuove adesioni – come ‘Noi di centro’ di Mastella, a cui guardano futuri adepti (ma lui che si dichiara copernicano, cioè inclusivo, non accetterebbe ad esempio Calenda definito tolemaico) in un rimescolamento dove conteranno più i numeri delle idee. C’è poi chi spinge per convergere nelle aggregazioni che si compongono per accorpamenti scissioni e fissioni: molti guardano con interesse ad iniziative come Insieme o Base Italia di Marco Bentivogli, ex FLM CISL,, mentre si affacciano nuovi o vecchi coaguli, come Cambiamo, Idea, il Popolo della famiglia, i Popolari di Giovanardi, il CDU di Mario Tassone. Il fermento è notevole, segno di vitalità e coraggio, fedeltà ai valori tramandati dagli esempi del passato. Ma con questo sistema elettorale si resta o si entra solo se ci si unisce: la storia parlamentare dal Risorgimento ai giorni nostri insegna che “navigare necesse est”, una volta dentro, poi, il rimescolamento di carte e appartenenze è assoggettato a variabili empiriche imprevedibili e altrimenti spiegabili.
Ora io credo che chi convintamente si esprime in questa effervescente fucina di idee che sono i magazine di ispirazione cattolica – e tra questi “Il Domani d’Italia” catalizza interventi autorevoli – sia animato da sentimenti onesti e da intendimenti coerenti con il passato: ricorrono i nomi di Sturzo, De Gasperi, La Pira, Dossetti, Moro, Donat Cattin, Zaccagnini, Martinazzoli e mi scuso per le omissioni non volute per ragioni di spazio. Credo inoltre che chi scrive mettendoci la faccia tenga conto delle sollecitazioni della Chiesa ad una presenza politica incisiva, ispirata ai valori del Vangelo, al fondamento cristiano e cattolico delle idee, pur nel grande contenitore della laicità dello Stato, un ‘valore’, una ‘conquista’ di cui la Chiesa stessa ha preso atto. Personalmente, genovese di nascita e di formazione politica, debbo a Paolo Emilio Taviani questo rigoroso insegnamento che è la base fondativa di un partito che guardi alla società civile e plurale.
La percezione prevalente – tuttavia – è che le redini del gioco saranno tenute dai politici attuali, coloro che siedono in Parlamento, molti di lungo corso, altri dotati di raffinata lungimiranza tattica, specie al centro del centro parlamentare, sostenendo il metodo e la rotta intrapresi da Mario Draghi. Scrivere a lungo su teoremi ipotetici in cantiere non costa nulla, ma temo possa essere alla fin fine ininfluente. Come al solito prevarranno la scelta dei capi carismatici e il saltare alla svelta sul carro vincente, perché in fondo si tratta anche di risveglio preelettorale.
Solo un sistema proporzionale puro potrebbe anche in un Parlamento ridotto, consentire di aspirare a una pur minima rappresentanza. Ma se l’obiettivo non è il potere ma il radicamento territoriale, l’ispirazione ideale, la difesa di valori a rischio di estinzione, il “corto raggio” e la filiera politica del fiduciariato locale potrebbero concorrere a rivitalizzare il Paese, metodo peraltro indicato dal recente Rapporto Censis, e con esso anche la presenza del cattolicesimo sociale innervato nei gangli e nei cenacoli dell’associazionismo che sopravvive alle derive di omologazione di basso profilo culturale.
(Tratto da www.ildomaniditalia.eu)
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