Complicazioni (inutili) al Terzo settore



Francesco Farri    9 Dicembre 2021       1

In sede di conversione in legge del “decreto fiscale” n. 164 del 21 ottobre 2021, il Governo ha posto la fiducia nel primo passaggio in Senato con un emendamento interamente sostitutivo del testo rispetto a quello dell’originario decreto: con esso, ha introdotto, fra le altre, una norma che interessa direttamente una serie di prestazioni delle associazioni del Terzo settore, in precedenza considerate “fuori campo IVA”. Adesso esse divengono “esenti” IVA, ma ciò comporta che – ferma la non applicazione dell’imposta – siano operativi gli obblighi strumentali (fatturazione, registrazione contabile, dichiarazione), ordinariamente applicabili per le operazioni commerciali ai fini IVA. L’intervento ha carattere complesso e strutturale: lo scritto di Francesco Farri, avvocato e professore associato di diritto tributario all’Università di Genova, lo esamina, da un lato nel suo versante oggettivo, e dall’altro lato quanto agli effetti che può causare.

1. Sotto il profilo oggettivo, le operazioni interessate sono quelle effettuate nei confronti dei soci delle associazioni non profit, verso corrispettivo specifico o maggiorazione del contributo associativo.

1.1. Nel dettaglio, il sistema precedente prevedeva l’esclusione da IVA delle cessioni di beni e prestazioni di servizi nei confronti di soci, associati o partecipanti, ancorché rese verso pagamento di corrispettivi specifici, o di contributi supplementari determinati in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali danno diritto, allorché effettuate in conformità alle finalità istituzionali da associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali, sportive dilettantistiche, di promozione sociale e di formazione extra-scolastica della persona, anche se rese nei confronti di associazioni che svolgono la medesima attività e che per legge, regolamento o statuto fanno parte di un’unica organizzazione locale o nazionale, nonché dei rispettivi soci, associati o partecipanti e dei tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali.

Inoltre, il sistema precedente prevedeva l’esclusione da IVA delle cessioni di pubblicazioni delle medesime tipologie di associazioni, nonché l’esclusione da IVA delle cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate in occasione di manifestazioni propagandistiche dai partiti politici rappresentati nelle Assemblee nazionali e regionali.

L’esclusione da IVA spettava a condizione che fossero rispettate alcuni requisiti, attinenti alla struttura dell’ente: divieto di distribuzione degli utili, obbligo di devoluzione del patrimonio dell’ente a enti benefici con finalità analoghe, disciplina uniforme del rapporto associativo, obbligo di redazione del rendiconto economico, libera eleggibilità degli organi amministrativi e principio democratico, intrasmissibilità della quota salvo per causa di morte. Tali requisiti, come noto, sono stati attenuati per le associazioni religiose riconosciute dalle confessioni, con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese, nonché alle associazioni politiche, sindacali e di categoria; per esse, in particolare, non era necessaria la disciplina uniforme del rapporto associativo, la libera eleggibilità degli organi amministrativi e il principio democratico.

1.2. Con l’odierno intervento, l’impianto oggettivo viene mantenuto per la maggior parte immutato mentre, come si dirà, viene mutato il versante della qualificazione giuridica delle operazioni, direttamente incidente sugli adempimenti IVA.

Oltre alla sistematizzazione dei profili IVA relativi alle associazioni sportive dilettantistiche, sotto il profilo oggettivo sono tre gli aspetti di maggior distanza rispetto al regime precedente.

(a) Il non assoggettamento a IVA delle predette operazioni è espressamente subordinato alla condizione che esse non provochino distorsioni della concorrenza a danno delle imprese commerciali soggette all’IVA: l’introduzione di tale requisito introduce un pericoloso elemento di discrezionalità nella valutazione della spettanza del regime IVA agevolato. Questo elemento di discrezionalità pone problemi tanto maggiori se esso verrà valutato sulla base di criteri analoghi a quelli utilizzati dalla Commissione UE e dalla Corte di Giustizia UE in materia di divieto di aiuti di Stato. Al contrario, sarà necessario che, per escludere l’applicazione delle fattispecie in parola, le distorsioni alla concorrenza siano provate positivamente da parte degli enti accertatori, e non presunte o ritenute meramente probabili.

(b) Il non assoggettamento a IVA delle cessioni di beni effettuate nei confronti di soci verso corrispettivo specifico dalle associazioni non profit in conformità alle loro finalità istituzionali è subordinato alla stretta connessione di esse con prestazioni di servizi: anche l’introduzione di tale requisito di “stretta connessione” introduce un pericoloso elemento di discrezionalità nella valutazione della spettanza dell’agevolazione, se si sol considera come analogo requisito è stato interpretato dalla giurisprudenza in relazione all’art. 6 del d.P.R. n. 601/1973 (dove peraltro esso non era neppure espressamente previsto dalla legge), fino al punto di rendere sostanzialmente inoperante la norma stessa già prima che il legislatore l’abrogasse.

(c) Viene espunta la previsione di non assoggettamento a IVA delle cessioni di pubblicazioni da parte delle associazioni non profit prevalentemente ai propri associati e viene contestualmente estesa a tutte le menzionate associazioni non profit la previsione originariamente stabilita per le organizzazioni politiche, contemplando così il non assoggettamento a IVA delle cessioni di beni e prestazioni di servizi effettuate in occasione delle loro “manifestazioni propagandistiche”: si inserisce tuttavia, al riguardo, la condizione che tali manifestazioni siano organizzate “a loro esclusivo profitto”. Al di là dell’infelice formulazione – qualificare gli incontri organizzati dalle associazioni religiose come “manifestazioni propagandistiche” richiama gli aggettivi che Peppone adoperava verso le iniziative di Don Camillo -, evidente appare anche qui la discrezionalità della condizione introdotta: chi abbia un minimo di dimestichezza con la prassi dell’amministrazione finanziaria non avrà difficoltà a immaginare quali possano esserne gli esiti.

1.3. L’ambito dell’intervento non incide, invece, sulle prestazioni effettuate in assenza di corrispettivo specifico, per le quali continuano a valere i principi generali in materia di IVA. In particolare:

(a) la cessione di denaro continuerà a rimanere sempre fuori campo IVA ai sensi dell’art. 2 co. 3, lett. a) del d.P.R. n. 600/1973;

(b) le donazioni di beni continueranno a essere escluse dal campo di applicazione dell’IVA, perché carenti dell’elemento strutturale della corrispettività delle operazioni: soltanto nel caso in cui le assegnazioni di beni avvengano nei confronti dei soci (art. 2 co. 2 lett. 6 del d.P.R. n. 633/1972) si porrà il problema dell’imponibilità qualora non ricorra la fattispecie di esenzione, di cui si è detto sopra, per stretta connessione con prestazioni di servizi rese dagli enti benefici nei confronti dei propri associati;

(c) le prestazioni gratuite di servizi continueranno a essere escluse dal campo di applicazione dell’IVA, perché carenti dell’elemento strutturale della corrispettività delle operazioni. Non sussiste al riguardo norma analoga a quella sopra vista per le cessioni di beni, che consideri in generale imponibili anche prestazioni rese verso i soci di un’associazione in assenza di corrispettivo: una norma del genere esiste solo per particolari tipologie di prestazioni di servizio. Per questo, salvi casi particolari (locazioni) i servizi resi gratuitamente dagli enti non profit continueranno a essere esclusi dal campo di applicazione dell’IVA sia quando resi nei confronti dei soci, sia quando resi nei confronti di esterni.

Non deve ritenersi applicabile agli enti benefici la fattispecie che considera imponibili le cessioni di beni e prestazioni di servizi avvenute a titolo gratuito, ma per finalità estranee all’esercizio dell’impresa. Invero, e a prescindere da ogni considerazione in merito al fatto che tali enti possano o meno considerarsi come “impresa” a questi specifici fini, la conformità di tali destinazioni gratuite alle finalità dell’associazione risulta in re ipsa, talché non appare integrata la clausola di imponibilità suddetta. Così, ad esempio, le somme e i beni che gli enti benefici distribuiranno ai bisognosi da essi assistiti, al pari dei servizi che a essi erogheranno, continueranno a rimanere radicalmente e totalmente esclusi dal circuito applicativo dell’IVA.

Scarsamente comprensibile, in questa prospettiva, è l’inserimento – tra le prestazioni esenti – della somministrazione di alimenti e bevande nei confronti di indigenti dalle associazioni di promozione sociale ricomprese tra gli enti di cui all’articolo 3 co. 6 lett. e) della legge 25 agosto 1991 n. 287, se tale attività di somministrazione è strettamente complementare a quelle svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali, ed effettuata nelle sedi in cui viene svolta l’attività.

Nel sistema precedente, tali prestazioni venivano considerate fuori campo IVA specificando che l’esclusione valesse anche laddove esse fossero svolte “verso pagamento di corrispettivo specifico”: questa specificazione dava senso alla previsione, per il resto essendo ovvio che i pasti offerti gratuitamente ai poveri da chicchessia dovessero considerarsi completamente esclusi dal circuito applicativo dell’IVA. Adesso, l’inciso “verso pagamento di corrispettivo specifico” viene espunto da un Governo travestito da Legislatore quanto meno “disattento”, ma esso deve continuare a considerarsi ugualmente operante, sicché le somministrazioni di pasti ai poveri effettuate dagli enti menzionati saranno esenti IVA, secondo la nuova normativa, quando effettuate verso corrispettivo (ancorché presumibilmente ridotto rispetto a quello di mercato), mentre continueranno a essere radicalmente fuori campo IVA quelle effettuate da chiunque quando erogate gratuitamente.

2. Così ricostruito il profilo oggettivo della novella, va osservato che, sotto il profilo degli effetti, rimane fermo, sul piano sostanziale, che non si applica l’IVA sulle prestazioni oggetto della modifica legislativa: cioè, in sintesi, le operazioni effettuate nei confronti dei soci delle associazioni non profit, verso corrispettivo specifico o maggiorazione del contributo associativo. Tuttavia, il passaggio dalla qualificazione di tali operazioni da “fuori campo IVA” ad “esenti” produce una serie di conseguenze di peso non lieve.

Anzitutto, le operazioni esenti rientrano a tutti gli effetti nel circuito applicativo dell’IVA, con la conseguenza che dovranno essere rispettati gli obblighi strumentali di fatturazione (elettronica), tenuta contabilità e dichiarazione. Ciò salva l’applicabilità di regimi speciali, quali ad esempio quello forfetario per le associazioni di promozione sociale (a.p.s.) e le organizzazioni di volontariato (o.d.v.) (art. 86 co. 7 ss. del d.lgs. n. 117/2017) e il simile regime temporaneo stabilito dal comma 15-ter della novella stessa. Tale regime temporaneo, valevole esclusivamente ai fini IVA, consente ad alcune tipologie di enti benefici – le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale che non abbiano conseguito ricavi superiori a 65.000 euro annui – di applicare il regime c.d. forfetario per i piccoli imprenditori e professionisti di cui all’art. 1 co. 58 ss. della legge n. 190/2014, il quale prevede una significativa attenuazione degli obblighi strumentali ai fini IVA.

In secondo luogo, le operazioni “esenti” incidono sul pro-rata di detrazione dell’IVA, nel senso di limitare la percentuale dell’IVA detraibile riferita agli acquisti effettuati dall’ente e afferenti a eventuali attività commerciali dal medesimo svolte, ai sensi degli articoli 19 e seguenti del d.P.R. n. 633/1972. In precedenza si creavano due circuiti distinti, da un lato quello delle operazioni fuori campo, escluse dall’applicazione dell’IVA e conseguentemente non legittimanti la detrazione dell’IVA sugli acquisti effettuati per porre in essere tali attività fuori campo, dall’altro lato quello delle operazioni commerciali, cui si applica l’IVA e che consente la detrazione integrale (salvo casi particolari) dell’IVA versata sugli acquisti effettuati per porre in essere le operazioni stesse: adesso i due circuiti sono sovrapposti, con la conseguenza che la detrazione dell’IVA sugli acquisti complessivamente compiuti dall’ente sarà consentita soltanto nella percentuale di incidenza delle operazioni imponibili rispetto a quelle commerciali.

3. Nel complesso, l’intervento recato dall’emendamento del Governo approvato in prima lettura al Senato si presenta iniquo e inopportuno.

Soltanto esteriormente esso può essere collegato alla funzione di rendere la normativa interna più conforme alla formulazione dell’art. 132 della direttiva IVA n. 112/2006/CE. Infatti, a ben vedere, la normativa europea non distingue tra operazioni fuori campo ed esenti, con la conseguenza che le operazioni de quibus avrebbero potuto continuare a essere ritenute fuori campo IVA come erano sempre state. In particolare, l’art. 221, par. 3 della direttiva consente espressamente agli Stati membri di escludere l’obbligo di emissione della fattura per le operazioni di cui all’art. 132 cit., tra cui rientrano quelle di cui si discute nella presente sede, sicché la scelta di aggravare burocraticamente le attività degli enti non profit appare imputabile esclusivamente al Governo Italiano.

Nell’ipotesi in cui le nuove disposizioni divengano legge, sarà opportuno estendere alle nuove fattispecie la previsione dell’art. 22 co. 1 n. 6) del d.P.R. n. 633/1972, che esclude l’obbligo di fatturazione IVA (salvo espressa richiesta del cliente) per una serie di operazioni esenti.

In questa prospettiva, va ribadita la pericolosità, in termini di aggravio dell’incertezza del diritto, della clausola inserita sulla scorta dell’art. 132 della direttiva IVA, nel senso di subordinare la qualificazione delle operazioni in questione come esenti al fatto che esse non incidano sulla concorrenza; e ciò specie laddove, come si è accennato, venga data a essa una lettura analoga a quella conferita ad altri fini a formule similari da parte delle autorità europee. Qualora l’intervento voglia essere mantenuto saranno pertanto necessarie chiare istruzioni da parte degli organi dell’amministrazione finanziaria, al fine di vincolare gli Uffici accertatori ad applicare in modo corretto e ragionevole la clausola in questione, al pari di quelle già esaminate nel precedente par. 1.2.

L’iniquità della novità inserita nel decreto fiscale appare evidente se si considera che esso finirà per gravare una serie di enti benefici di piccole dimensioni di obblighi organizzativi di natura fiscale sproporzionati rispetto ad essi. Il trend, già iniziato con il codice del Terzo settore, concepito per le grandi associazioni non-profit, sul modello delle charities americane, piuttosto che per il prezioso tessuto di piccole realtà associative tipiche del contesto italiano, risulta portato a termine col decreto in questione. Anche se non opteranno per essere iscritte al registro del Terzo settore, a motivo di tutti gli oneri organizzativi che tale iscrizione comporta, tali piccole realtà benefiche saranno d’ora in poi gravate di obblighi fiscali ben più consistenti di quelli che avevano in precedenza e ragionevolmente del tutto irrilevanti a fini della lotta all’evasione.

L’inopportunità dell’intervento risiede in una molteplicità di circostanze. Anzitutto, esso risulta scoordinato rispetto al codice del Terzo settore. In particolare, non è chiarito se le nuove definizioni delle attività in questione come commerciali ancorché esenti sia o meno derogata, per le a.p.s. e per gli o.d.v., dalle previsioni del codice del Terzo settore. La risposta sembra essere positiva, nel senso che per tali entità, laddove iscritte al registro degli enti del Terzo settore, dovranno considerarsi non commerciali, e quindi ancora fuori campo IVA le prestazioni indicate nei commi del codice del Terzo settore per le quali (cfr. in particolare gli art. 84 co. 1 e 85 co. 1 del d.lgs. n. 117/2017) i commi stessi non specifichino che le loro definizioni valgono esclusivamente ai fini delle imposte sui redditi.

Inopportuna risulta, altresì, la delimitazione della previsione di un regime semplificato al solo periodo di attesa della piena operatività del codice del Terzo settore (cfr. comma 15-ter). Da quel momento, infatti, sembra di capire che soltanto gli enti benefici iscritti al registro del Terzo settore potranno fruire di regimi contabili semplificati; ma così rimarrà fuori dalle possibilità di semplificazione proprio quella rete di piccole associazioni, le quali, proprio per evitare gli aggravi organizzativi richiesti dal codice, avrà deciso di non iscriversi al registro e di continuare a fruire dei regimi previsti dall’ordinamento generale. Al contrario, qualora non si intendano modificare le norme introdotte col maxiemendamento, sarà indispensabile confermare l’applicabilità anche a regime di un regime semplificato (ad esempio quello di cui all’art. 1, commi 58 ss. della l. n. 190/2014, già richiamato dal comma 15-ter): questo al fine di consentire di sopravvivere anche alle piccole associazioni che, per non soccombere di fronte agli oneri organizzativi e burocratici, decidano di non iscriversi formalmente al registro del Terzo settore

Scarsa consolazione costituisce, al riguardo, il chiarimento per cui tali riformulazioni avranno rilievo (per ora) soltanto ai fini IVA (cfr. co. 15-quater). Ai fini IRES, così, le prestazioni rese nei confronti dei soci da parte delle associazioni benefiche continueranno a considerarsi non commerciali ai sensi dell’art. 148 co. 3 del d.P.R. n. 917/1986 (Testo Unico delle Imposte sui Redditi, TUIR), ma le associazioni dovranno ugualmente ottemperare per esse a una serie di formalità contabili (in particolare, l’emissione della fattura, in generale con modalità elettronica), che ne aggraveranno non poco il funzionamento. Sempre ai fini IRES, le operazioni in questione continueranno a non essere considerate rilevanti ai fini della qualifica dell’ente come non commerciale (art. 149 del TUIR), e per la fruizione di eventuali regimi agevolativi che a ciò si connettano, in particolare quelli previsti dal codice del Terzo settore.

4. Tali rilievi di iniquità e inopportunità si prestano a tradursi anche in rilievi di incostituzionalità, nella misura in cui davvero non si ravvisano per questo intervento i requisiti di straordinaria necessità e urgenza costituzionalmente necessari per inserirlo in un decreto-legge. Vale semmai il contrario. In un momento come quello odierno, in cui il sostegno a molte persone fragili particolarmente colpite dall’emergenza sanitaria e dalle sue conseguenze economiche e sociali è portato avanti in modo significativo da queste realtà del Terzo settore, ingolfarne l’operato con aggravi burocratici appare un intervento particolarmente fuori tempo, fuori contesto e fuori mira.

Quanto da ultimo detto vale, tuttavia, non solo per l’odierno contesto, ma in generale. Con interventi come quello recato dalle modifiche al decreto fiscale, e che colpisce gli enti benefici, non si combatte l’evasione, ma la sussidiarietà orizzontale, lo spirito civico, la creatività benefica, la prossimità assistenziale che caratterizza l’identità del contesto italiano. Non è questo ciò di cui il nostro sistema fiscale ha bisogno. L’auspicio è dunque che la Camera riveda la modifica in esame, accantonandola.

(Tratto da www.centrostudilivatino.it)


1 Commento

  1. Il problema è che sotto la dizione Terzo settore sono nate migliaia di vere e proprie attività economiche che nulla hanno a che vedere con i fini encomiabili fondanti della legge. E’ il prezzo che si deve pagare per snidare gli evasori: vedi fantomatici circoli culturali che svolgono attività pressocchè esclusive economiche!

Lascia un commento

La Tua email non sarà pubblicata.


*