Non saranno gli applausi della Scala a modificare l’atteggiamento di Mattarella. L’uomo appartiene all’universo della sicilianità orgogliosa e risoluta, in parte mitigata dall’educazione ricevuta da ragazzo, a Roma, all’Istituto San Leone Magno diretto dai Padri gesuiti, un tempo sulla Nomentana. Il suo pensiero è chiaro, la sua volontà ancora più chiara: dopo sette anni il Presidente della Repubblica non deve aspirare alla rielezione e quindi, in vista della scadenza, urge che si accinga ai preparativi del trasloco. Ha fatto anche sapere di un appartamento già preso in affitto, così da evitare l’ansia di frettolose incombenze dell’ultimo minuto.
Questo sul piano personale, come cifra di moralità che permea la coscienza di un cattolico con indubbio senso dello Stato; poi c’è la politica, un certo culto del diritto, la conoscenza dei Palazzi e quindi del potere, con le sue insidie, spesso occulte. C’è l’istintiva riluttanza a subire l’onta di compromessi poco nobili, per contrattare all’occorrenza la rielezione a termine, con l’idea di legare il mandato presidenziale a una scadenza comandata da future convenienze. Di chi, si vedrà. No, chiedere questo a Mattarella sfiora l’offesa, anzi la contempla e la propone spudoratamente.
Ora, se la platea milanese del tempio della musica, alla prima del Macbeth, si alza in piedi e applaude, non è per nulla un fatto secondario o, per così dire, incidentale. Non è fortuito che lasci risuonare un “bis” semplice e inequivocabile. Mattarella ha conquistato la fiducia di un Paese che pure viene dal contagio di un populismo abbarbicato alla rabbia antipolitica. Rappresenta la controspinta della nazione che ripudia la propaganda e la rassegnazione, vuole riprendere dimestichezza con un potere misurato ed efficace, spera di partecipare alla bella risalita dopo la caduta nel tormento sociale e sanitario della pandemia. Attorno al Presidente della Repubblica si respira l’aria pulita di un’Italia volenterosa, pronta a rimboccarsi le mani, a fare squadra.
Per questo occorre ringraziare Mattarella. È stato fedele a una missione che ha significato, innanzitutto, la custodia e la promozione dei valori della Carta costituzionale. Meriterebbe di essere rieletto…lui malgré.
(Tratto da www.ildomaniditalia.eu)
Questo sul piano personale, come cifra di moralità che permea la coscienza di un cattolico con indubbio senso dello Stato; poi c’è la politica, un certo culto del diritto, la conoscenza dei Palazzi e quindi del potere, con le sue insidie, spesso occulte. C’è l’istintiva riluttanza a subire l’onta di compromessi poco nobili, per contrattare all’occorrenza la rielezione a termine, con l’idea di legare il mandato presidenziale a una scadenza comandata da future convenienze. Di chi, si vedrà. No, chiedere questo a Mattarella sfiora l’offesa, anzi la contempla e la propone spudoratamente.
Ora, se la platea milanese del tempio della musica, alla prima del Macbeth, si alza in piedi e applaude, non è per nulla un fatto secondario o, per così dire, incidentale. Non è fortuito che lasci risuonare un “bis” semplice e inequivocabile. Mattarella ha conquistato la fiducia di un Paese che pure viene dal contagio di un populismo abbarbicato alla rabbia antipolitica. Rappresenta la controspinta della nazione che ripudia la propaganda e la rassegnazione, vuole riprendere dimestichezza con un potere misurato ed efficace, spera di partecipare alla bella risalita dopo la caduta nel tormento sociale e sanitario della pandemia. Attorno al Presidente della Repubblica si respira l’aria pulita di un’Italia volenterosa, pronta a rimboccarsi le mani, a fare squadra.
Per questo occorre ringraziare Mattarella. È stato fedele a una missione che ha significato, innanzitutto, la custodia e la promozione dei valori della Carta costituzionale. Meriterebbe di essere rieletto…lui malgré.
(Tratto da www.ildomaniditalia.eu)
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