Pubblichiamo questo interessante commento all’epilogo del ddl Zan che esprime il pensiero di mondi a sinistra del PD, a dir poco perplessi sull’intransigenza di Enrico Letta & C. nel difendere il concetto di identità di genere, riferibile all’individualismo libertario e radicale piuttosto che alla cultura di sinistra.
Cari e care compagni e compagne, amici e amiche del fronte progressista fermate il cammino autolesionista intrapreso sin dall’avvio della discussione alla Camera del Disegno di Legge Zan e accelerato dopo lo stop al Senato alla sua seconda lettura. Ai danni derivanti dalla sconfitta, state aggiungendo ancora maggiori danni con i commenti e i propositi post sconfitta.
Il ddl, nella versione approvata dalla Camera a novembre scorso, contiene, oltre alle sacrosante misure di rafforzamento delle norme contro le discriminazioni verso le persone LGBTQI+, anche una visione antropologica. Mi riferisco all’identità di genere, introdotta e definita all’art. 1, lett. d) e richiamata negli articoli successivi.
Che vuol dire “identità di genere”? Secondo il testo del ddl “si intende l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione”. È un concetto complesso, distillato della teoria gender, legittima e dibattuta nella letteratura filosofica, ma profondamente divisiva, finanche nelle comunità omosessuali e transessuali, iper-minoritaria, imposta surrettiziamente e senza alcun confronto nelle aule del Parlamento e ignorata dalla stragrande maggioranza di sinceri e convinti sostenitori degli interventi anti-discriminatori.
Per descriverla, in sintesi, ricorro agli scritti di Francesca Izzo, una femminista storica, ex parlamentare del PD: “Innanzitutto tale dicitura non serve affatto a definire meglio i crimini che questa legge vuole perseguire e combattere. Basterebbe ‘identità transessuale’ e tutto il quadro delle discriminazioni e violenze che colpiscono le persone trans verrebbe completamente coperto. L’espressione ‘identità di genere’ introduce e legittima nel nostro ordinamento costituzionale e legislativo un profilo non previsto, ovvero l’identità sessuale sulla base dell’autopercezione e della sola manifestazione della volontà soggettiva. L’identità transessuale e l’identità di genere sono due formulazioni che significano cose diverse. La prima indica la condizione, a volte dolorosa e drammatica, delle persone trans, la seconda veicola una visione o un progetto politico-culturale: quello di negare il fatto che l’umanità sia composta di due sessi affermando invece che l’identità si fonda solo sul ‘genere’ (meglio, sui generi tanti e vari), un puro costrutto storico-sociale.”
Riflessioni analoghe sono state ripetutamente proposte da altre femministe storiche come Marina Terragni, Ida Dominijanni, Cristina Gramolini (Presidente di Arcilesbica) e tante altre. Sull’abominio giuridico di potenziali risvolti penali conseguenti ad affermazioni fuori “linea gender” sono intervenuti, tra gli altri, giuristi democratici e progressisti del calibro di Giovanni Maria Flick (ex Presidente della Corte Costituzionale e già Ministro prodiano della Giustizia) e Natalino Irti (illustre accademico liberale).
L’intero universo non soltanto della gerarchia cattolica, ma dei movimenti cattolici si sono pronunciati radicalmente contro, anche i movimenti progressisti, “cattocomunisti” avremmo detto un tempo, fedeli discepoli dello straordinario magistero di papa Francesco, da noi quotidianamente richiamati per le nostre iniziative e mobilitazioni per la giustizia sociale, la transizione ecologica, l’accoglienza dei migranti.
Abbandonato l’obiettivo implicito di perseguire un preciso progetto politico-culturale, estraneo e ostile alle correnti profonde dell’umanesimo cristiano e laico, tessuto morale connettivo anche della nostra nazione, la lettera d) dell’art. 1 poteva essere eliminata, conseguentemente poteva essere eliminata la dicitura “identità di genere” dagli altri articoli, senza ridurre di un epsilon il rafforzamento delle norme del codice civile a le conseguenti maggiori sanzioni dei comportamenti discriminatori.
Qui è stato, sin dall’inizio l’errore politico del PD. Errore politico e anche istituzionale perché quando si interviene sul delicato terreno dei diritti civili è necessario il dialogo, l’ascolto e la ricerca della massima convergenza possibile in Parlamento e con stakeholder ampiamente rappresentativi della comunità, come sono gli intellettuali espressione di radicati e larghi filoni di pensiero filolosofico, politico e giuridico confluiti nella nostra Costituzione e come sono tanti movimenti cattolici, essenziali per allargare il campo della solidarietà e dell’umanesimo, anche laburista, in un fase di sfide difficilissime per il bene comune.
Mi è chiaro che le destre cercavano lo scontro. Mi è chiara anche la strumentalità di Matteo Renzi, tanto più nel tornante decisivo per l’elezione del prossimo Presidente della Repubblica. E quindi? Perseveriamo su una strada sbagliata per non riconoscere un dato di realtà? È ora chiaro che dopo le interessanti dinamiche di disarticolazione del centrodestra indotte dai risultati delle recenti elezioni amministrative, ora si sono ricompattati gli avversari e allontanato qualche potenziale alleato? È ora chiaro che con l’intransigenza su punti critici veri si è rinsaldato il legame culturale e politico della destra con settori di opinione pubblica che avevano guardato dalla nostra parte o che, comunque, con l’astensione dal voto per i sindaci, avevano incominciato a dubitare dell’affidabilità delle destre?
I commenti arrivati in particolare dal PD mi hanno fatto tornare in mente l’ultimo libro di Sahra Wagenknecht, ex co-leader della Linke, messa all’angolo dalla larga maggioranza cosmopolita del partito con i risultati visti alle elezioni di fine settembre scorso (dimezzamento dei voti: da oltre il 10% di 4 anni fa, a meno del 5%). Il libro si intitola Die Selbstgerechten. Marco Bascetta su “Il Manifesto” del 15 maggio scorso lo traduce con “I presuntuosi”, “I compiaciuti”, “I pieni di sé”.
Data la pluralità culturale e politica di voci critiche, insisto anche fuori dal Parlamento, sulla versione del ddl Zan uscita dalla Camera, come si possono definire altrimenti i giudizi arrivati dai piani alti del Nazareno? “È la destra peggiore di sempre, dalla parte sbagliata della storia. Non hanno voltato le spalle al PD, ma all’Italia migliore”... “Chiunque osservi dall’estero ci vede come noi guardiamo a Polonia e Ungheria”. In sostanza, viene ammucchiata con Meloni e Salvini anche larga parte della “nostra” Italia. È “Il frutto della presunzione” per citare il titolo dell’amaro ma condivibilissimo editoriale del direttore di “Avvenire”, Marco Tarquinio.
Dobbiamo fare tesoro dell’errore politico e istituzionale compiuto, sia per riprendere il lavoro su un ddl Zan emendato dalle inutili forzature divisive, sia per imparare ad essere meno presuntuosi, compiaciuti e pieni di sé ed evitare una deriva minoritaria e subalterna. Ripeto in conclusione, quanto osservai a giugno scorso prima del rinvio della discussione in aula al Senato del ddl Zan: “La sinistra, non soltanto il PD, dovrebbe puntare a ricostruire l’autonomia culturale e la credibilità politica sui diritti sociali, non inseguire derive transumaniste sui diritti civili”.
(Tratto da www.huffinghtonpost.it)
Cari e care compagni e compagne, amici e amiche del fronte progressista fermate il cammino autolesionista intrapreso sin dall’avvio della discussione alla Camera del Disegno di Legge Zan e accelerato dopo lo stop al Senato alla sua seconda lettura. Ai danni derivanti dalla sconfitta, state aggiungendo ancora maggiori danni con i commenti e i propositi post sconfitta.
Il ddl, nella versione approvata dalla Camera a novembre scorso, contiene, oltre alle sacrosante misure di rafforzamento delle norme contro le discriminazioni verso le persone LGBTQI+, anche una visione antropologica. Mi riferisco all’identità di genere, introdotta e definita all’art. 1, lett. d) e richiamata negli articoli successivi.
Che vuol dire “identità di genere”? Secondo il testo del ddl “si intende l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione”. È un concetto complesso, distillato della teoria gender, legittima e dibattuta nella letteratura filosofica, ma profondamente divisiva, finanche nelle comunità omosessuali e transessuali, iper-minoritaria, imposta surrettiziamente e senza alcun confronto nelle aule del Parlamento e ignorata dalla stragrande maggioranza di sinceri e convinti sostenitori degli interventi anti-discriminatori.
Per descriverla, in sintesi, ricorro agli scritti di Francesca Izzo, una femminista storica, ex parlamentare del PD: “Innanzitutto tale dicitura non serve affatto a definire meglio i crimini che questa legge vuole perseguire e combattere. Basterebbe ‘identità transessuale’ e tutto il quadro delle discriminazioni e violenze che colpiscono le persone trans verrebbe completamente coperto. L’espressione ‘identità di genere’ introduce e legittima nel nostro ordinamento costituzionale e legislativo un profilo non previsto, ovvero l’identità sessuale sulla base dell’autopercezione e della sola manifestazione della volontà soggettiva. L’identità transessuale e l’identità di genere sono due formulazioni che significano cose diverse. La prima indica la condizione, a volte dolorosa e drammatica, delle persone trans, la seconda veicola una visione o un progetto politico-culturale: quello di negare il fatto che l’umanità sia composta di due sessi affermando invece che l’identità si fonda solo sul ‘genere’ (meglio, sui generi tanti e vari), un puro costrutto storico-sociale.”
Riflessioni analoghe sono state ripetutamente proposte da altre femministe storiche come Marina Terragni, Ida Dominijanni, Cristina Gramolini (Presidente di Arcilesbica) e tante altre. Sull’abominio giuridico di potenziali risvolti penali conseguenti ad affermazioni fuori “linea gender” sono intervenuti, tra gli altri, giuristi democratici e progressisti del calibro di Giovanni Maria Flick (ex Presidente della Corte Costituzionale e già Ministro prodiano della Giustizia) e Natalino Irti (illustre accademico liberale).
L’intero universo non soltanto della gerarchia cattolica, ma dei movimenti cattolici si sono pronunciati radicalmente contro, anche i movimenti progressisti, “cattocomunisti” avremmo detto un tempo, fedeli discepoli dello straordinario magistero di papa Francesco, da noi quotidianamente richiamati per le nostre iniziative e mobilitazioni per la giustizia sociale, la transizione ecologica, l’accoglienza dei migranti.
Abbandonato l’obiettivo implicito di perseguire un preciso progetto politico-culturale, estraneo e ostile alle correnti profonde dell’umanesimo cristiano e laico, tessuto morale connettivo anche della nostra nazione, la lettera d) dell’art. 1 poteva essere eliminata, conseguentemente poteva essere eliminata la dicitura “identità di genere” dagli altri articoli, senza ridurre di un epsilon il rafforzamento delle norme del codice civile a le conseguenti maggiori sanzioni dei comportamenti discriminatori.
Qui è stato, sin dall’inizio l’errore politico del PD. Errore politico e anche istituzionale perché quando si interviene sul delicato terreno dei diritti civili è necessario il dialogo, l’ascolto e la ricerca della massima convergenza possibile in Parlamento e con stakeholder ampiamente rappresentativi della comunità, come sono gli intellettuali espressione di radicati e larghi filoni di pensiero filolosofico, politico e giuridico confluiti nella nostra Costituzione e come sono tanti movimenti cattolici, essenziali per allargare il campo della solidarietà e dell’umanesimo, anche laburista, in un fase di sfide difficilissime per il bene comune.
Mi è chiaro che le destre cercavano lo scontro. Mi è chiara anche la strumentalità di Matteo Renzi, tanto più nel tornante decisivo per l’elezione del prossimo Presidente della Repubblica. E quindi? Perseveriamo su una strada sbagliata per non riconoscere un dato di realtà? È ora chiaro che dopo le interessanti dinamiche di disarticolazione del centrodestra indotte dai risultati delle recenti elezioni amministrative, ora si sono ricompattati gli avversari e allontanato qualche potenziale alleato? È ora chiaro che con l’intransigenza su punti critici veri si è rinsaldato il legame culturale e politico della destra con settori di opinione pubblica che avevano guardato dalla nostra parte o che, comunque, con l’astensione dal voto per i sindaci, avevano incominciato a dubitare dell’affidabilità delle destre?
I commenti arrivati in particolare dal PD mi hanno fatto tornare in mente l’ultimo libro di Sahra Wagenknecht, ex co-leader della Linke, messa all’angolo dalla larga maggioranza cosmopolita del partito con i risultati visti alle elezioni di fine settembre scorso (dimezzamento dei voti: da oltre il 10% di 4 anni fa, a meno del 5%). Il libro si intitola Die Selbstgerechten. Marco Bascetta su “Il Manifesto” del 15 maggio scorso lo traduce con “I presuntuosi”, “I compiaciuti”, “I pieni di sé”.
Data la pluralità culturale e politica di voci critiche, insisto anche fuori dal Parlamento, sulla versione del ddl Zan uscita dalla Camera, come si possono definire altrimenti i giudizi arrivati dai piani alti del Nazareno? “È la destra peggiore di sempre, dalla parte sbagliata della storia. Non hanno voltato le spalle al PD, ma all’Italia migliore”... “Chiunque osservi dall’estero ci vede come noi guardiamo a Polonia e Ungheria”. In sostanza, viene ammucchiata con Meloni e Salvini anche larga parte della “nostra” Italia. È “Il frutto della presunzione” per citare il titolo dell’amaro ma condivibilissimo editoriale del direttore di “Avvenire”, Marco Tarquinio.
Dobbiamo fare tesoro dell’errore politico e istituzionale compiuto, sia per riprendere il lavoro su un ddl Zan emendato dalle inutili forzature divisive, sia per imparare ad essere meno presuntuosi, compiaciuti e pieni di sé ed evitare una deriva minoritaria e subalterna. Ripeto in conclusione, quanto osservai a giugno scorso prima del rinvio della discussione in aula al Senato del ddl Zan: “La sinistra, non soltanto il PD, dovrebbe puntare a ricostruire l’autonomia culturale e la credibilità politica sui diritti sociali, non inseguire derive transumaniste sui diritti civili”.
(Tratto da www.huffinghtonpost.it)
Un plauso a Stefano Fassina, che stimo perché riconosco sempre onestà intellettuale in tutti i suoi interventi anche quando non condivido le sue tesi. In questo articolo, va al cuore del problema assai più dei molti che hanno avversato la legge in questione. Denuncia che la legge Zan ha come obiettivo principale il riconoscimento della teoria Gender, della quale mette in luce le caratteristiche divisive e pericolose. Purtroppo, pochi hanno il coraggio di denunciare il carattere antiscientifico ed aberrante di un pensiero che si è andato diffondendo nelle società occidentali fino a permeare la mentalità di chi si colloca ai piani alti del potere politico e del mondo dell’informazione.
Egr. Stefano Fassina,
non sono comunista, così come non sono fascista e ritengo le due ideologie ugualmente perverse e assassine. Il suo commento al comportamento di Enrico Letta e del PD è a mio avviso assolutamente sottoscrivibile. Non mi interessano gran che le sue osservazioni di tattica politica, ma ritengo molto importanti le ragioni culturali, logiche e morali del dissenso dal ddl Zan da Lei sottolineate. Esse dimostrano la enormità dell’errore della proposta Zan-PD e la protervia, l’arroganza e la sicumera dimostrate dal Letta nella circostanza e ancor più aggravate dal suo comportamento e dalle sue dichiarazioni post-bocciatura del Senato. Enrico Letta, chiamato a risanare il PD, dopo che il suo segretario si era dimesso vergognandosi del partito, ha dimostrato di essere assolutamente inadeguato politicamente, socialmente e culturalmente, incapace di una riflessione che tenga conto della realtà, un soggetto estraneo totalmente al paese, perciò pericoloso. Penso che per il futuro del PD sia necessario disfarsi di Letta al più presto, anche per non dar ragione a chi lo ha già definito “avanzo di Sorbona”.
Cercherò di diffondere la sua valutazione qui espressa.
Auguri