La vicenda finale del ddl Zan è la plateale conferma che nel sistema politico italiano la cosiddetta “cultura della mediazione” o della “politica del confronto”, per citare una terminologia squisitamente democratico cristiana, si sono per il momento inabissati. E questo fa giustizia anche di tutte le corbellerie e gli sproloqui che comunemente si sciupano quando si parla della Democrazia cristiana, delle sue scelte programmatiche e, soprattutto, del suo “metodo” politico. Perché di questo si tratta. Un tempo le teste pensanti della DC – anche se non sono mai mancati da quelle parti gli integralisti e i clericali – denunciavano apertamente gli atteggiamenti che si richiamavano a un contrasto irriducibile tra i “guelfi” e i ghibellini”. Altri tempi ma anche altri leader politici e altri statisti. E questo perché proprio la mediazione e la ricerca di una sintesi erano il faro che illuminava l’azione politica di quel grande partito popolare, interclassista, riformista e soprattutto con una spiccata cultura di governo. E quando furono fatti errori clamorosi – come quello sul referendum del divorzio – fu l’intera DC a pagarla pesantemente. In termini politici, culturali e anche elettorali.
Certo, nei tempi dominati dal populismo grillino, dalla demagogia salviniana, dall’antipolitica e dal massimalismo della sinistra è quasi inevitabile che tutto diventi scontro frontale e battaglia sino all’ultimo istante. E questo perché il tema di fondo non è quasi mai il merito concreto della questione in discussione ma la volontà di delegittimare prima moralmente e poi politicamente l’avversario. Che poi è sempre e solo il nemico da annientare. Altroché la “cultura della mediazione” e la “strategia del confronto” di morotea memoria che sono stati la cifra distintiva della lunga esperienza politica, culturale e di governo della Democrazia cristiana. E questo è un altro elemento di richiede ed invoca la presenza di un partito/movimento/soggetto di centro che sappia recuperare ed inverare, oggi, nella concreta dialettica politica quelle costanti che, da sempre, caratterizzano una politica democratica e costituzionale. E la lunga vicenda del dibattito e poi del voto finale sul ddl Zan non sono che l’epilogo inevitabile di questa sciagurata gestione politica. Quello che dispiace, al di là delle dichiarazioni propagandistiche e goliardiche di alcuni partiti, è che resta sul tappeto l’assenza di una legge che poteva essere una ghiotta opportunità per ripristinare una vera politica dei diritti. Di tutti. Superando pregiudiziali ideologiche e le ridicole aggressioni verbali gli uni contro gli altri.
E questo è il punto vero della crisi della politica contemporanea. Perché sin quando il populismo, il massimalismo e la demagogia sono i punti di riferimento dell’azione politica di molti partiti, è del tutto inevitabile che non si raggiungeranno mai risultati politici di spessore e di qualità. O meglio, saranno sempre e solo scelte che vengono individuate e vissute come una sorta di clava per colpire l’avversario/nemico. Che, come ovvio, va annientato e liquidato anche a livello morale. Prima ancora che politico. Si tratta, quindi, di cercare di invertire profondamente la rotta. Non è più tollerabile una politica e una prassi che hanno come unico se non esclusivo obiettivo politico quello di distruggere l’avversario. Perché se questo atteggiamento dovesse proseguire, non potremmo che arrivare alla conclusione che la politica è solo scontro. Religioso – finto ed ipocrita ovviamente – politico, culturale, programmatico se non addirittura di civiltà. Avevamo appena archiviato la solita e scontata polemica sul fascismo e sull’antifascismo – che, di norma, scoppia sempre nell’ultima settimana di campagna elettorale per poi scomparire, altrettanto puntualmente, all’indomani di ciò che dicono concretamente le urne – che si ripropone l’ormai fisiologica polemica frontale e senza esclusione di colpi.
Ecco perché, forse, è arrivato il momento per riproporre uno “stile” e un “metodo” politico che hanno fatto grande il nostro Paese nel passato e che lo riporta, invece, nel tunnel della crisi ogniqualvolta la politica entra in crisi o sprofonda in un campo fatto di aggressioni verbali, di delegittimazioni morali e politiche e di attacchi personali e sfrontati. Perché senza la “cultura della mediazione” e del metodo del “confronto” continuo e permanente la politica continuerà ad essere dominata dal populismo, dal massimalismo e dalla demagogia. Verrebbe da dire, adesso anche basta.
Certo, nei tempi dominati dal populismo grillino, dalla demagogia salviniana, dall’antipolitica e dal massimalismo della sinistra è quasi inevitabile che tutto diventi scontro frontale e battaglia sino all’ultimo istante. E questo perché il tema di fondo non è quasi mai il merito concreto della questione in discussione ma la volontà di delegittimare prima moralmente e poi politicamente l’avversario. Che poi è sempre e solo il nemico da annientare. Altroché la “cultura della mediazione” e la “strategia del confronto” di morotea memoria che sono stati la cifra distintiva della lunga esperienza politica, culturale e di governo della Democrazia cristiana. E questo è un altro elemento di richiede ed invoca la presenza di un partito/movimento/soggetto di centro che sappia recuperare ed inverare, oggi, nella concreta dialettica politica quelle costanti che, da sempre, caratterizzano una politica democratica e costituzionale. E la lunga vicenda del dibattito e poi del voto finale sul ddl Zan non sono che l’epilogo inevitabile di questa sciagurata gestione politica. Quello che dispiace, al di là delle dichiarazioni propagandistiche e goliardiche di alcuni partiti, è che resta sul tappeto l’assenza di una legge che poteva essere una ghiotta opportunità per ripristinare una vera politica dei diritti. Di tutti. Superando pregiudiziali ideologiche e le ridicole aggressioni verbali gli uni contro gli altri.
E questo è il punto vero della crisi della politica contemporanea. Perché sin quando il populismo, il massimalismo e la demagogia sono i punti di riferimento dell’azione politica di molti partiti, è del tutto inevitabile che non si raggiungeranno mai risultati politici di spessore e di qualità. O meglio, saranno sempre e solo scelte che vengono individuate e vissute come una sorta di clava per colpire l’avversario/nemico. Che, come ovvio, va annientato e liquidato anche a livello morale. Prima ancora che politico. Si tratta, quindi, di cercare di invertire profondamente la rotta. Non è più tollerabile una politica e una prassi che hanno come unico se non esclusivo obiettivo politico quello di distruggere l’avversario. Perché se questo atteggiamento dovesse proseguire, non potremmo che arrivare alla conclusione che la politica è solo scontro. Religioso – finto ed ipocrita ovviamente – politico, culturale, programmatico se non addirittura di civiltà. Avevamo appena archiviato la solita e scontata polemica sul fascismo e sull’antifascismo – che, di norma, scoppia sempre nell’ultima settimana di campagna elettorale per poi scomparire, altrettanto puntualmente, all’indomani di ciò che dicono concretamente le urne – che si ripropone l’ormai fisiologica polemica frontale e senza esclusione di colpi.
Ecco perché, forse, è arrivato il momento per riproporre uno “stile” e un “metodo” politico che hanno fatto grande il nostro Paese nel passato e che lo riporta, invece, nel tunnel della crisi ogniqualvolta la politica entra in crisi o sprofonda in un campo fatto di aggressioni verbali, di delegittimazioni morali e politiche e di attacchi personali e sfrontati. Perché senza la “cultura della mediazione” e del metodo del “confronto” continuo e permanente la politica continuerà ad essere dominata dal populismo, dal massimalismo e dalla demagogia. Verrebbe da dire, adesso anche basta.
Carissimo Giorgio, hai centrato il problema, da vecchio ed attivo militante della DC Ho sempre ricercato la mediazione nel corso dei confronti politici locali ottenendo risultati a volte insperati. Nelle tue parole che condivido appieno sta il vero significato della Politica con la P maiuscola, la bocciatura del dal Zan per testardaggine di qualcuno nel rifiutare il confronto ha privato il Paese di una legge che avrebbe garantito diritti non più rinviabili.
Placet, placet, ma non va dimenticato che per far politica occorre un certo grado di capacità intellettuale e di razionalità che da anni sappiamo non essere abbondante negli attuali vertici di quel partito che vorrebbe, almeno in parte, essere la continuazione di un’esperienza che ha, nonostante le troppe critiche, caratterizzato positivamente la seconda metà del secolo scorso e ha saputo focalizzare il proprio impegno sui maggiori problemi del paese.