I vaccini funzionano, anche le evidenze empiriche di questi mesi lo dimostrano, e sono sicuri: gli effetti avversi a breve termine nelle fasce di popolazione per i quali i vaccini ad oggi sono stati autorizzati, sono rarissimi, in genere per tutti i vaccini introdotti. Gli effetti collaterali a lunga distanza – ossia a distanza di anni, argomento caro alla propaganda cospirazionista – non saranno verificabili se non con il tempo: con il caveat che in medicina più è il tempo che intercorre tra terapia somministrata e evento collaterale, maggiore è la probabilità che non sia tecnicamente possibile ascrivere una determinata causa all’evento osservato (sono tali e tanti i fattori che possono intercorrere e gli eventi che possono succedersi nel corso degli anni che un legame diretto di causalità non è quasi mai dimostrabile).
Quasi l’85% degli italiani con età superiore ai 12 anni ha ricevuto una dose di vaccino, ossia oltre 46.000.000 di cittadini hanno accettato di vaccinarsi.
In base ai dati ufficiali noti, dall’inizio della pandemia sono stati oltre 4.500.000 gli italiani di cui c’è certezza che abbiano contratto il virus Sars-cov2: circa l’8% di Italiani ha contratto la malattia nel corso degli ultimi 20 mesi, con una progressione del numero dei contagiati ad “ondate” successive.
Secondo molti esperti, è verosimile che il numero reale dei contagiati sia significativamente superiore a quello ufficiale, specie nelle fasce di popolazione più giovani che possono aver contratto il virus in forma paucisintomatica, cioè blanda, o asintomatica.
Il numero dei morti per i quali è stata accertata la presenza della malattia Covid-19 è di oltre 131.000. Il calcolo della mortalità per una data malattia è un processo complesso e per essere attendibile deve attenuare il più possibile le possibili distorsioni di calcolo.
L’ISS ha scelto di calcolare questa dato riferendosi esclusivamente ai dati ufficiali di morte legati al covid e alla popolazione di cui si è avuta certezza cha abbia contratto la malattia: la sigla utilizzata è CFR (Case Fatality Rate), ossia la percentuale dei morti accertati per una data malattia rispetto a tutti gli ammalati accertati per la medesima malattia.
Altri studi utilizzano metodi di calcolo che assumono dati di stima ottenuti attraverso procedimenti di calcolo più complessi: in acronimo IFR (Infection Fatality Rate).
Nel primo caso il rischio è una sovrastima del calcolo della mortalità, se non si ha esatta contezza di tutte le persone che hanno contratto il virus, mentre nel secondo caso il rischio è una sottostima perché la analisi è condotta su campioni di popolazione assunti come rappresentativi dell’intero insieme di popolazione.
I dati ufficiali dell’ISS (CFR) del gennaio 2021 parlano di una mortalità complessiva del 3,42%, con differenze elevatissime per fasce di popolazione: fino ai 60 anni di età il tasso di mortalità era inferiore allo 0,6% e sotto i 50 anni era praticamente trascurabile, anche se, sui grandi numeri, il numero di morti attese è comunque importante anche con tasso di mortalità molto basso. Nei mesi successivi, il tasso di mortalità è stato stimato in discesa, attestandosi al 2,7% , con un picco impressionante sempre negli over 80.
In base ai dati attuali, circa il 3% di chi si ammala ha una sintomatologia importante, e questa prevalenza probabilmente segue l’andamento per fasce di età del tasso di mortalità. Ad oggi, sono oltre 5.200.000 le persone non vaccinate nella fascia di età tra i 30 e i 70 anni, ossia in età lavorativa: il rischio di mortalità è molto basso al di sotto dei 60 anni e assolutamente trascurabile al di sotto dei 40 anni; la numerosità dei lavoratori over 60 anni non vaccinata è di circa 800.000 persone.
Se applichiamo i numeri fin qui condivisi, possiamo stimare che l’8% dei soggetti non vaccinati in età 30/70 anni, ossia circa 410.000 persone, potrebbero ammalarsi nelle prossime settimane (se le condizioni di diffusione del virus rimangono identiche a quelle dei mesi scorsi), mentre le persone nella fascia 50/ 70 anni che, ammalandosi, potrebbero avere sintomi che necessitano di un ricovero si stima possano essere poco più di 5000: e probabilmente un centinaio potrebbero non superare la malattia.
Non c’è dubbio che le cifre prima ipotizzate – sono stime solo di massima – sono significative: è altrettanto evidente che la situazione ipotizzata è di gran lunga meno drammatica di quella vissuta nei mesi scorsi: ad esempio in aprile 2021 erano oltre 23.000 i ricoverati per Covid e oltre 3000 i ricoverati in terapia intensiva, mentre nella settimana appena conclusa i ricoveri ospedalieri erano quasi 2700 mentre erano “solo” 370 quelli in terapia intensiva.
Il decreto sull’obbligo del green pass per accedere al posto di lavoro diventa operativo nei suoi effetti tangibili oggi 15 ottobre.
Il numero delle persone da sollecitare verso la vaccinazione è senza dubbio molto più basso rispetto a qualche mese fa e quindi anche la gestione delle eventuali sanzioni per chi non si allinea appare più agevole: impossibile un obbligo green pass così esteso, ad esempio, nel giugno scorso.
Non si tratta di valutare la legittimità di tale provvedimento: è un provvedimento legittimo sia sul piano giuridico – come ribadito da tutte le sentenze – che su quello politico. Dubbi rimangono sul piano della opportunità politica e sul piano strettamente epidemiologico e sanitario, senza che per questo qualcuno sia autorizzato ad annoverare chi tenta di riflettere su questioni complesse, tra i sostenitori di quelle forme di contestazione al provvedimento che, anche prima degli scontri di sabato scorso, erano fuori misura nel merito e nel metodo.
Probabilmente una parte del dissenso alla vaccinazione non è legata a convincimenti no-vax o alla paura degli effetti collaterali: forse è dovuto al fastidio di sentirsi vincolati a una decisione che è vissuta come limitante la propria libertà di scelta: da qui la fortuna dello slogan urlato nelle piazze che ha associato la difesa della libertà individuale alla ribellione al green pass.
Senza dubbio la vaccinazione si inserisce nella sfera delle scelte vissute come “private”, ossia inerenti le proprie scelte individuali, all’interno delle quali da decenni si è imposta una cultura che è ostile a qualsiasi intrusione rispetto al diritto di autodeterminazione: vale per le droghe, vale per l’aborto o il divorzio, vale per l’eutanasia, vale per le scelte di cura, vale per la sessualità e le forme di religiosità.
E non è facile far passare il concetto di “bene comune”, quando questo “vale” solo in limitatissime occasioni: si può far leva solo sulla paura, una emozione che, una volta innescata a livello sociale, non sempre si riesce a controllare.
Curiosamente e quasi parallelamente è molto cresciuto il convincimento che invece quando si tratta di questioni pubbliche o di rilevanza pubblica, è opportuna o quantomeno tollerata la sottomissione alle indicazioni di un capo o leader, sia esso aziendale o politico, meglio senza troppe discussioni o confronti: chi osa protestare in simili situazioni?
Viviamo in una società confusa e senza meta che vaga dietro a miti e miraggi, spesso innescati da fenomeni mediatici, e così impaurita da non avere il coraggio di protestare contro le numerose forme di sfruttamento esistenti sul lavoro o nella vita sociale: solo in una minoranza chiassosa e anche strumentalizzata si avvertono rigurgiti di contestazione e solo quando qualcuno osa scalfire i cosiddetti “diritti individuali”, specie quelli che sono presentati come tali attraverso ben congegnate campagne mediatiche.
Non si può certo imputare al governo Draghi di far parte di qualche complotto mondiale: sarebbe ridicolmente offensivo. È semplicemente un governo allineato al pensiero culturale vigente che garantisce quei diritti individuali resi assoluti e indiscutibili dal comun sentire, in cambio di una sostanziale sottomissione alle leggi della economia e della finanza, altrettanto assolute e non discutibili, o al pensiero dominante altrimenti definibile politically correct.
Per concludere, una frase del compianto cardinale Biffi: “…degli idoli ci si libera solo innamorandosi dell’unico vero Dio”.
(Tratto da www.politicainsieme.com)
Quasi l’85% degli italiani con età superiore ai 12 anni ha ricevuto una dose di vaccino, ossia oltre 46.000.000 di cittadini hanno accettato di vaccinarsi.
In base ai dati ufficiali noti, dall’inizio della pandemia sono stati oltre 4.500.000 gli italiani di cui c’è certezza che abbiano contratto il virus Sars-cov2: circa l’8% di Italiani ha contratto la malattia nel corso degli ultimi 20 mesi, con una progressione del numero dei contagiati ad “ondate” successive.
Secondo molti esperti, è verosimile che il numero reale dei contagiati sia significativamente superiore a quello ufficiale, specie nelle fasce di popolazione più giovani che possono aver contratto il virus in forma paucisintomatica, cioè blanda, o asintomatica.
Il numero dei morti per i quali è stata accertata la presenza della malattia Covid-19 è di oltre 131.000. Il calcolo della mortalità per una data malattia è un processo complesso e per essere attendibile deve attenuare il più possibile le possibili distorsioni di calcolo.
L’ISS ha scelto di calcolare questa dato riferendosi esclusivamente ai dati ufficiali di morte legati al covid e alla popolazione di cui si è avuta certezza cha abbia contratto la malattia: la sigla utilizzata è CFR (Case Fatality Rate), ossia la percentuale dei morti accertati per una data malattia rispetto a tutti gli ammalati accertati per la medesima malattia.
Altri studi utilizzano metodi di calcolo che assumono dati di stima ottenuti attraverso procedimenti di calcolo più complessi: in acronimo IFR (Infection Fatality Rate).
Nel primo caso il rischio è una sovrastima del calcolo della mortalità, se non si ha esatta contezza di tutte le persone che hanno contratto il virus, mentre nel secondo caso il rischio è una sottostima perché la analisi è condotta su campioni di popolazione assunti come rappresentativi dell’intero insieme di popolazione.
I dati ufficiali dell’ISS (CFR) del gennaio 2021 parlano di una mortalità complessiva del 3,42%, con differenze elevatissime per fasce di popolazione: fino ai 60 anni di età il tasso di mortalità era inferiore allo 0,6% e sotto i 50 anni era praticamente trascurabile, anche se, sui grandi numeri, il numero di morti attese è comunque importante anche con tasso di mortalità molto basso. Nei mesi successivi, il tasso di mortalità è stato stimato in discesa, attestandosi al 2,7% , con un picco impressionante sempre negli over 80.
In base ai dati attuali, circa il 3% di chi si ammala ha una sintomatologia importante, e questa prevalenza probabilmente segue l’andamento per fasce di età del tasso di mortalità. Ad oggi, sono oltre 5.200.000 le persone non vaccinate nella fascia di età tra i 30 e i 70 anni, ossia in età lavorativa: il rischio di mortalità è molto basso al di sotto dei 60 anni e assolutamente trascurabile al di sotto dei 40 anni; la numerosità dei lavoratori over 60 anni non vaccinata è di circa 800.000 persone.
Se applichiamo i numeri fin qui condivisi, possiamo stimare che l’8% dei soggetti non vaccinati in età 30/70 anni, ossia circa 410.000 persone, potrebbero ammalarsi nelle prossime settimane (se le condizioni di diffusione del virus rimangono identiche a quelle dei mesi scorsi), mentre le persone nella fascia 50/ 70 anni che, ammalandosi, potrebbero avere sintomi che necessitano di un ricovero si stima possano essere poco più di 5000: e probabilmente un centinaio potrebbero non superare la malattia.
Non c’è dubbio che le cifre prima ipotizzate – sono stime solo di massima – sono significative: è altrettanto evidente che la situazione ipotizzata è di gran lunga meno drammatica di quella vissuta nei mesi scorsi: ad esempio in aprile 2021 erano oltre 23.000 i ricoverati per Covid e oltre 3000 i ricoverati in terapia intensiva, mentre nella settimana appena conclusa i ricoveri ospedalieri erano quasi 2700 mentre erano “solo” 370 quelli in terapia intensiva.
Il decreto sull’obbligo del green pass per accedere al posto di lavoro diventa operativo nei suoi effetti tangibili oggi 15 ottobre.
Il numero delle persone da sollecitare verso la vaccinazione è senza dubbio molto più basso rispetto a qualche mese fa e quindi anche la gestione delle eventuali sanzioni per chi non si allinea appare più agevole: impossibile un obbligo green pass così esteso, ad esempio, nel giugno scorso.
Non si tratta di valutare la legittimità di tale provvedimento: è un provvedimento legittimo sia sul piano giuridico – come ribadito da tutte le sentenze – che su quello politico. Dubbi rimangono sul piano della opportunità politica e sul piano strettamente epidemiologico e sanitario, senza che per questo qualcuno sia autorizzato ad annoverare chi tenta di riflettere su questioni complesse, tra i sostenitori di quelle forme di contestazione al provvedimento che, anche prima degli scontri di sabato scorso, erano fuori misura nel merito e nel metodo.
Probabilmente una parte del dissenso alla vaccinazione non è legata a convincimenti no-vax o alla paura degli effetti collaterali: forse è dovuto al fastidio di sentirsi vincolati a una decisione che è vissuta come limitante la propria libertà di scelta: da qui la fortuna dello slogan urlato nelle piazze che ha associato la difesa della libertà individuale alla ribellione al green pass.
Senza dubbio la vaccinazione si inserisce nella sfera delle scelte vissute come “private”, ossia inerenti le proprie scelte individuali, all’interno delle quali da decenni si è imposta una cultura che è ostile a qualsiasi intrusione rispetto al diritto di autodeterminazione: vale per le droghe, vale per l’aborto o il divorzio, vale per l’eutanasia, vale per le scelte di cura, vale per la sessualità e le forme di religiosità.
E non è facile far passare il concetto di “bene comune”, quando questo “vale” solo in limitatissime occasioni: si può far leva solo sulla paura, una emozione che, una volta innescata a livello sociale, non sempre si riesce a controllare.
Curiosamente e quasi parallelamente è molto cresciuto il convincimento che invece quando si tratta di questioni pubbliche o di rilevanza pubblica, è opportuna o quantomeno tollerata la sottomissione alle indicazioni di un capo o leader, sia esso aziendale o politico, meglio senza troppe discussioni o confronti: chi osa protestare in simili situazioni?
Viviamo in una società confusa e senza meta che vaga dietro a miti e miraggi, spesso innescati da fenomeni mediatici, e così impaurita da non avere il coraggio di protestare contro le numerose forme di sfruttamento esistenti sul lavoro o nella vita sociale: solo in una minoranza chiassosa e anche strumentalizzata si avvertono rigurgiti di contestazione e solo quando qualcuno osa scalfire i cosiddetti “diritti individuali”, specie quelli che sono presentati come tali attraverso ben congegnate campagne mediatiche.
Non si può certo imputare al governo Draghi di far parte di qualche complotto mondiale: sarebbe ridicolmente offensivo. È semplicemente un governo allineato al pensiero culturale vigente che garantisce quei diritti individuali resi assoluti e indiscutibili dal comun sentire, in cambio di una sostanziale sottomissione alle leggi della economia e della finanza, altrettanto assolute e non discutibili, o al pensiero dominante altrimenti definibile politically correct.
Per concludere, una frase del compianto cardinale Biffi: “…degli idoli ci si libera solo innamorandosi dell’unico vero Dio”.
(Tratto da www.politicainsieme.com)
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