Dopo il voto, Germania in stallo



Aldo Novellini    4 Ottobre 2021       1

Il recente voto in Germania ci consegna un quadro politico frammentato nel quale ci vorrà del tempo per comporre una maggioranza. Sotto questo aspetto il risultato delle urne è inequivocabile. Certo, emerge un vincitore, i socialdemocratici della Spd, saliti al 25 per cento, ma quelli che vengono ritenuti i sicuri perdenti, ovvero i democristiani della Cdu, si collocano tutto sommato al 24. Appena un'incollatura sotto. In termini di seggi la Spd ne ottiene 206 a la Cdu 196. Se volessero, potrebbero rimettere in piedi una Grande coalizione, questa volta a trazione socialdemocratica. Ipotesi, in realtà, già scartata da entrambi i partner, ma che potrebbe tornare in auge qualora venissero a frantumarsi tutte le altre possibili coalizioni.

A ruota dei due grandi partiti - che però insieme, ed è la prima volta, non raggiungono neanche la soglia del 50 per cento dei votanti – si situano gli ecologisti 14,9 per cento (118 seggi) e i liberali della Fdp, all'11 per cento (92 seggi).

La nascita di una maggioranza parlamentare, che richiede 368 seggi sui 735 totali del Bundestag, può seguire tre strade. Innanzi tutto, come si diceva prima, una riedizione della Grande coalizione Cdu-Spd. Messa da parte questa opzione, restano in campo restano due altre possibilità nel segno di un'intesa tripartita: autentica novità per un Paese come la Germania dove a governare sinora si erano trovate al massimo due diverse formazioni.

Si prospettano quindi due diversi tripartiti: Spd-liberali-ecologisti, coalizione rosso, giallo, verde, ribattezzata “semaforo”, e Cdu-liberali-ecologisti, intesa nero, giallo, verde, denominata “Giamaica”. Sembra però difficile tener fuori da un'alleanza di governo la Spd fresca di un successo nelle urne. Olaf Scholz, leader socialdemocratico, ex ministro delle Finanze nella Grande coalizione con Angela Merkel, ha dunque buone probabilità di diventare il prossimo cancelliere. In ogni caso il leader della Cdu, Armin Laschet si è premurato di ricordare che non sempre la guida del governo è toccata al primo partito. In effetti dal 1969 al 1982, sebbene la Cdu fosse la formazione politica più votata, il cancelliere fu espresso dalla Spd in alleanza con i liberali. Difficile che adesso possa riprodursi uno scenario simile ma la cosa non è del tutto da escludere.

Intanto si sono avviati i primi contatti tra i diversi partiti. Particolarmente atteso quello tra ecologisti e liberali. Già i primi conciliaboli hanno evidenziato molte più differenze che non tratti in comune. La Fdp, fedele alla classica impostazione liberale vuole ridurre le imposte e dare ampio spazio al mercato; i verdi sono invece puntano ad accrescere gli investimenti pubblici, soprattutto in materia ambientale nell'ottica della decarbonizzazione. Di certo un'intesa capeggiata dalla Spd, ovvero la coalizione del “semaforo”, favorirebbe le istanze ecologiste, mentre qualora dovesse tornare in ballo l'opzione giamaicana con la Cdu, sarebbero allora i liberali ad avere molta più influenza nell'esecutivo. Tutto dipenderà da come si accorderanno le terze forze, mai come oggi arbitre dei destini del Paese.

Restano due aspetti da sottolineare. La Cdu del dopo Merkel tornerà probabilmente a situarsi su posizioni più conservatrici di quanto non fosse con la Cancelliera, col rischio che venga riesumato un approccio economico poco disposto a politiche comuni a livello europeo. Al tempo stesso è meglio non farsi troppe illusioni sul fatto che la Spd abbandoni del tutto una linea di rigore nel bilancio comunitario. Si può star certi che i liberali nell'esecutivo saranno gli arcigni guardiani dei conti pubblici.

In ogni caso adesso le trattative sono in corso, ne sapremo qualcosa di più nelle prossime settimane. Nell'attesa che a Berlino qualcosa si muova, sulla scena continua ad esserci ancora Angela Merkel, sperando che il successore, chiunque sia, non ce ne faccia sentire la mancanza.


1 Commento

  1. Io temo un ritorno al rigorismo economico e fiscale: nonostante il Covid, l’emergenza, la necessità di un rilancio in senso keynesiano delle politiche economiche a cui l’Unione europea è sembrata aprirsi negli ultimi tempi.

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