Si può davvero esportare la democrazia?



Oreste Calliano    5 Settembre 2021       1

In queste settimane politologi, filosofi, economisti e giornalisti tuttologi si sono dilettati di dibattere il tema della esportabilità della democrazia a livello mondiale o quanto meno in Paesi non occidentali. Non ho letto, né sentito molte opinioni di giuristi specialisti di diritto islamico o di diritto tradizionale che abbiano preso posizioni così nette o dicotomiche come quelle espresse.

Da giurista comparatista (a suo tempo mi occupai anche di diritto moderno dei Paesi islamici) ritengo che occorra fare alcune precisazioni al riguardo.

1) La cosiddetta democrazia occidentale – da distinguersi dalla demos-cratia greca, che era in realtà una oligarchia che periodicamente sfociava in tirannia (potere dato a un dittatore al fine di garantire la difesa o la pace interna) e che per modalità decisionali e tecniche di rotazione degli incarichi era assai differente dai modelli moderni – nasce nel Regno di Inghilterra nel 1215 quando re Giovanni Senza Terra fu costretto da un gruppo di nobili ribelli, in cambio di ulteriori tributi dovuti per pagare la pace con i francesi, a firmare l’accordo detto della Magna Carta Libertatum, che previde tra l’altro l’Habeas Corpus, che impediva al Re di agire senza un processo di pari contro i baroni, né di imprigionare alcuni, servi compresi, senza motivazione legale. L’altro momento di passaggio è la Gloriosa Rivoluzione inglese del 1668 quando, dopo il turbolento periodo di Cromwell, il re Giacomo II Stuart manifestò tendenze autoritarie: a seguito della reazione dei due nascenti partiti tory ( conservatori) e whig ( progressisti) venne deposto. La corona fu proposta a uno straniero Gugliemo d’Orange con il patto che regnasse, ma lasciasse il governo al Parlamento in cui i due partiti sedevano a destra e a sinistra dello speaker.

La democrazia nasce quindi come un compromesso tra poteri, o meglio una creazione di contropoteri, limite al potere assoluto. E così si diffuse prima in Stati Uniti, dove i checks and balances tra Stati federati e Stato federale, tra Presidente e Camera dei Rappresentanti-Senato, vigilata dalla Corte Suprema federale, ha fatto evolvere il modello verso nuove prospettive diffusesi in Europa dopo la crisi degli Stati nazionalistici. È quindi, la democrazia, gius-politicamente intesa, una serie di tecniche costituzionali volte a limitare i poteri assoluti e a garantire la salvaguardia dei diritti individuali e comunitari.

2) L’Islam, inteso come Umma, cioè la comunità globale dei credenti in Allah, è stato un mito, atteso che sin dalla morte di Maometto, ponendosi il problema della sua successione una parte (sciiti da schi’a, fazione) scelse Alì, genero del Profeta, mentre la parte maggioritaria, che seguiva la sunnah (tradizione della comunità islamica) scelsero un Emiro (poi Califfo) non con metodo successorio. Emersero quindi due modelli: uno successorio, l’altro elettivo (poi dinastico) che si fronteggiano tuttora. Il vero problema dei Paesi islamici oggi, come ci insegnò Maxime Rodinson nel suo Islam e capitalismo, del 1968, è conseguente al fatto che l’interpretazione del Corano, risalente al VII secolo, è stata relativamente congelata. Corrisponderebbe alla nostra interpretazione del governo delle comunità all’epoca di Carlo Magno e successori. In Europa si sono susseguiti i Comuni, la Riforma e Controriforma, le guerre di religione, la nascita degli Stati nazionali, le guerre coloniali, le guerre mondiali per giungere a una democrazia costituzionale compiuta e all’affermazione dei Diritti universali dell’uomo (e della donna).

3) Quindi la domanda “Si può esportare la democrazia nei Paesi non occidentali?” è a mio avviso mal posta. Lo affermai a Bruxelles ad un Convegno promosso dal Parlamento europeo, in cui analoga domanda era stata posta ad accademici provenienti da tutta Europa, all’inizio della guerra combattuta dagli USA contro l’Iraq. La domanda corretta è, a mio avviso: “ L’esperienza occidentale in tema di equilibrio tra poteri è un modello attuale e accettabile in altri Paesi?”.

Gli Stati nordafricani e medio orientali stanno facendo percorsi autonomi. Ma occorre constatare che vivono fasi diverse: Marocco e Tunisia si sono occidentalizzate, Algeria e Turchia sono in fase nazionalistico-militare, l’Iran ha dimostrato che l’occidentalizzazione può essere una patina superficiale. In altri Paesi (non Stati nazionali, peraltro creati artificialmente in epoca post-coloniale) siamo ancora in realtà tribali o claniche in cui vige la legge della sopraffazione da parte di chi conquista o riceve, dai neocolonialisti, il potere.

Intervenire? Stare ad osservare? Riaffermare i nostri valori? Credo che la strada, lunga, sia quella della diffusione dei valori legati ai diritti fondamentali per “prestigio”, non per imposizione.

Non utilizziamo però soltanto le categoria geo-politiche, perché, come la storia recente insegna non sempre le potenze imperiali sanno intravedere i moral spirits che animano gli individui e i popoli: il Vietnam e l’Afghanistan insegnano.


1 Commento

  1. Finché l’occidente (leggasi, ahimè, gli storicamente e antropologicamente sprovveduti USA) si illuderà di avere in mano “il volante della storia” per delega divina (“(Deus) coepta annuit – novus ordo saeculorum” recita, un po’ arrogantemente, il gran sigillo di stato degli Stati Uniti) gli storicamente e antropologicamente ben motivati ragionamenti di Oreste Calliano non potranno certamente sfondare nella cultura occidentale.

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