Può darsi che Enrico Letta non abbia tutti i torti quando enuncia una sua “dottrina” sulle relazioni internazionali: «Quello che è accaduto a Kabul dimostra – ha detto in una intervista il segretario del Pd – che si possono avere le migliori tecnologie, i soldi, le truppe, i droni, ma alla fine ci sono Paesi nei quali questo non basta a impiantare i valori democratici». Per cui, la conclusione è che «la democrazia non si esporta con la guerra». È stato uno degli abbagli successivi alla caduta del muro di Berlino, insieme alla teoria della fine della storia.
Certo il conflitto in Afghanistan era divenuto, dopo vent’anni, una sorta di guerra di Troia moderna in cui gli assediati, però, non erano i talebani, ma le truppe “liberatrici”. Gli americani si sono comportati come una multinazionale che cambia strategia sul mercato globale (in questo caso geopolitico) e decide di ritirarsi dall’investimento che si è rivelato inutilmente dispendioso e non produttivo.
Gli Stati Uniti non hanno dismesso il ruolo di “gendarmi del mondo”, ma hanno deciso di riposizionare i loro presidi secondo quelli che sono sembrati più adatti nel nuovo scenario mondiale. Può essere che si tratti di una scelta sbagliata, che favorisca – come si dice – l’espansionismo cinese e quindi divenga presto una vera e propria eterogenesi dei fini perseguiti dall’Amministrazione Biden in linea di continuità con quella precedente.
Sono comunque sotto gli occhi attoniti dell’opinione pubblica mondiale le modalità con cui si sta dando attuazione al piano di evacuazione, che si è trasformato in pochi giorni in una marcia trionfale dei talebani ed in un “si salvi chi può” di quanti cercavano di sloggiare (compreso il contingente militare Stati Uniti, che, per avere garantita la possibilità di ritirarsi in condizioni di relativa sicurezza, ha avuto la necessità di ricevere consistenti rinforzi).
È indubbio che si siano commessi tragici errori di analisi e di organizzazione dei piani di sgombero, con conseguenze drammatiche delle quali non si conoscono neppure gli esiti. L’Italia ha ben poco da rimproverarsi: per vent’anni il Parlamento ha garantito i necessari finanziamenti alla missione in Afghanistan, che si è ritirata all’ultimo momento, senza abbandonare (a quanto si dice) il personale che aveva collaborato con essa in tutti questi anni.
Per tanti altri Paesi che sono stati a guardare o che si sono defilati il prima possibile, diventa difficile criticare gli Stati Uniti. Tuttavia, chiunque potrebbe chiedere a Joe Biden come mai ad uno Stato che ha proprie truppe in ogni zona critica del pianeta pesasse tanto mantenere un distaccamento di duemilacinquecento soldati che non bastavano certo a vincere una guerra, ma riuscivano a porre un argine all’espansione dei talebani e a fare la guardia in difesa delle zone liberate.
In proposito facciamo qualche esempio: nella base navale di Guantanamo nell’Isola di Cuba (in affitto agli Stati Uniti dal 1903) sono dislocati da tempo immemorabile quasi 10mila tra marinai e marines. Mentre nelle Filippine gli Stati Uniti non intendono affatto accettare lo sfratto dalla base di Subic Bay (all’interno della quale lavorano tanti filippini).
Tornando però alla “dottrina” Letta sarà anche vero che non si esporta la democrazia, ma è sicuramente certo che si importano il terrorismo, il fondamentalismo, la teocrazia, il fanatismo religioso, la Sharia e quant’altro. In Afghanistan l’Occidente non ha imposto la democrazia a un popolo che – molto infelice l’apprezzamento di Biden – non è stato capace di difenderla neppure per breve tempo (ma all’inizio della Seconda Guerra mondiale il fronte francese considerato inespugnabile non cadde in tre settimane?).
Tra quei sassi e quelle montagne i soldati occidentali difendevano una sola democrazia: la nostra. Oggi a rischio non sono solo gli afghani in balia, con le loro donne, del dominio dei talebani. I nemici veri siamo noi, gli occidentali, gli infedeli, coloro che vanno sterminati non per quello che fanno ma per quello che sono. E non è vero, come dice Letta, che le migliori tecnologie, i soldi, le truppe, i droni alla fine non consentono di raggiungere e consolidare gli obiettivi di libertà e sicurezza.
Il fatto è che gli eserciti dei Paesi democratici combattono con “una mano legata dietro la schiena” perché non possono usare il loro potenziale distruttivo se non in minima parte. La ragione è piuttosto banale ma decisiva: le democrazie sono controllate da un’opinione pubblica sempre pronta a indignarsi se considera violati i diritti umani dei propri nemici.
(Tratto da www.linkiesta.it)
Certo il conflitto in Afghanistan era divenuto, dopo vent’anni, una sorta di guerra di Troia moderna in cui gli assediati, però, non erano i talebani, ma le truppe “liberatrici”. Gli americani si sono comportati come una multinazionale che cambia strategia sul mercato globale (in questo caso geopolitico) e decide di ritirarsi dall’investimento che si è rivelato inutilmente dispendioso e non produttivo.
Gli Stati Uniti non hanno dismesso il ruolo di “gendarmi del mondo”, ma hanno deciso di riposizionare i loro presidi secondo quelli che sono sembrati più adatti nel nuovo scenario mondiale. Può essere che si tratti di una scelta sbagliata, che favorisca – come si dice – l’espansionismo cinese e quindi divenga presto una vera e propria eterogenesi dei fini perseguiti dall’Amministrazione Biden in linea di continuità con quella precedente.
Sono comunque sotto gli occhi attoniti dell’opinione pubblica mondiale le modalità con cui si sta dando attuazione al piano di evacuazione, che si è trasformato in pochi giorni in una marcia trionfale dei talebani ed in un “si salvi chi può” di quanti cercavano di sloggiare (compreso il contingente militare Stati Uniti, che, per avere garantita la possibilità di ritirarsi in condizioni di relativa sicurezza, ha avuto la necessità di ricevere consistenti rinforzi).
È indubbio che si siano commessi tragici errori di analisi e di organizzazione dei piani di sgombero, con conseguenze drammatiche delle quali non si conoscono neppure gli esiti. L’Italia ha ben poco da rimproverarsi: per vent’anni il Parlamento ha garantito i necessari finanziamenti alla missione in Afghanistan, che si è ritirata all’ultimo momento, senza abbandonare (a quanto si dice) il personale che aveva collaborato con essa in tutti questi anni.
Per tanti altri Paesi che sono stati a guardare o che si sono defilati il prima possibile, diventa difficile criticare gli Stati Uniti. Tuttavia, chiunque potrebbe chiedere a Joe Biden come mai ad uno Stato che ha proprie truppe in ogni zona critica del pianeta pesasse tanto mantenere un distaccamento di duemilacinquecento soldati che non bastavano certo a vincere una guerra, ma riuscivano a porre un argine all’espansione dei talebani e a fare la guardia in difesa delle zone liberate.
In proposito facciamo qualche esempio: nella base navale di Guantanamo nell’Isola di Cuba (in affitto agli Stati Uniti dal 1903) sono dislocati da tempo immemorabile quasi 10mila tra marinai e marines. Mentre nelle Filippine gli Stati Uniti non intendono affatto accettare lo sfratto dalla base di Subic Bay (all’interno della quale lavorano tanti filippini).
Tornando però alla “dottrina” Letta sarà anche vero che non si esporta la democrazia, ma è sicuramente certo che si importano il terrorismo, il fondamentalismo, la teocrazia, il fanatismo religioso, la Sharia e quant’altro. In Afghanistan l’Occidente non ha imposto la democrazia a un popolo che – molto infelice l’apprezzamento di Biden – non è stato capace di difenderla neppure per breve tempo (ma all’inizio della Seconda Guerra mondiale il fronte francese considerato inespugnabile non cadde in tre settimane?).
Tra quei sassi e quelle montagne i soldati occidentali difendevano una sola democrazia: la nostra. Oggi a rischio non sono solo gli afghani in balia, con le loro donne, del dominio dei talebani. I nemici veri siamo noi, gli occidentali, gli infedeli, coloro che vanno sterminati non per quello che fanno ma per quello che sono. E non è vero, come dice Letta, che le migliori tecnologie, i soldi, le truppe, i droni alla fine non consentono di raggiungere e consolidare gli obiettivi di libertà e sicurezza.
Il fatto è che gli eserciti dei Paesi democratici combattono con “una mano legata dietro la schiena” perché non possono usare il loro potenziale distruttivo se non in minima parte. La ragione è piuttosto banale ma decisiva: le democrazie sono controllate da un’opinione pubblica sempre pronta a indignarsi se considera violati i diritti umani dei propri nemici.
(Tratto da www.linkiesta.it)
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