Il 16 agosto del 1931 si spense definitivamente la fiaccola della libertà interiore che animava Giuseppe Donati. Con don Luigi Sturzo e Francesco Luigi Ferrari, il personaggio più eminente dell’emigrazione dei popolari antifascisti. L’uomo che aveva fondato Il Popolo e che, nel 1924, aveva denunciato il generale De Bono quale mandate del delitto Matteotti, in realtà dipendente dal mandante principale, Benito Mussolini, .
Quell’atto giudiziario, però, non costituiva solamente una denuncia formale di un reato specifico, ma un generale atto d’accusa e di rigetto di un intero sistema, di un modo di portare la violenza nella politica, di utilizzare le istituzioni a vantaggio di una fazione totalitaria, di porsi al servizio dei ricchi e dei potenti contro i più deboli, di manipolare le pubblica opinione a scapito del riconoscimento di ogni verità.
Il fascismo è stato, subito, soprattutto violenza e sopraffazione. Donati questo elemento lo colse immediatamente e con l’ingresso nel Partito popolare, dopo che a lungo ne era rimasto fuori, la sua divenne soprattutto un’azione di stimolo e di sprone per i cattolici democratici perché, con nettezza e chiarezza, scegliessero una posizione di aperta contrarietà ad una dottrina totalitaria e intrisa di violenza.
Donati fu “intransigente” sui valori ispiratori cristiani nella fede ma che non lo rinchiudeva in un recinto. Anzi, lo spingeva ad essere aperto intellettualmente. Così fu a lungo frequentatore degli ambienti socialisti e liberali. Forte il legame culturale ed umano con Gaetano Salvemini, da un lato, e con Piero Gobetti, dall’altro. Consuetudini di relazioni e rapporti che succedevano a quelli intrattenuti con molti partecipi dell’esperienza de La Voce di Giuseppe Prezzolini e di Giovanni Papini.
Ogni 16 agosto c’è stato modo di ricordare quest’uomo vivace, semplice e coraggioso, nel corso della Prima guerra mondiale restò ferito e fu decorato, le cui vicende umane furono tutt’uno con quelle sue politiche e culturali. Dopo le prime fasi di un esilio subito per sfuggire alle vendette fasciste, il suo permanere al di là dei confini del Paese fu costellato da fasi di miseria e di solitudine, appena appena alleviati dall’ospitalità che gli offriva Giuseppe Stragliati, altro popolare italiano che trasferitosi a Parigi vi aveva aperto un bistrot in cui Donati faceva il cameriere, e dagli aiuti venuti da don Luigi Sturzo e da Gaetano Salvemini.
È proprio questo aspetto che vorrei particolarmente affrontare in occasione del novantesimo anniversario della morte, cui non assistette nessuno se non i due coniugi Stragliati che lo ospitarono morente nel loro bistrot di Parigi.
Giuseppe Donati è una di quelle rare figure che si oppongono a quella di Nicodemo, emblema di quanti si conformano alle idee correnti per opportunismo e per viltà e non hanno il coraggio della coerenza e della conseguenzialità.
Oggi avremmo bisogno di tanti Giuseppe Donati, cioè di quanti posti di fronte a come vanno le cose del mondo scelgono per un impegno pubblico generoso perché fortemente motivato anche moralmente. Non è un caso che secondo Donati il fascismo non sarebbe stato superato solo grazie a una “contrapposizione di forza a forza”, ma solo attraverso un “rinnovamento radicale dell’intelligenza e della coscienza, che deve effettuarsi, prima di tutto, in coloro che lo combattono”.
Il riferimento a questa troppo dimenticata immagine del popolarismo italiano vale molto per quanti credono nella possibilità di dare corso alla ripresa di una iniziativa politica nuova, capace di avviare la “trasformazione” in cui crediamo. Un’iniziativa che coinvolge tra i primi, ma non solo essi, i cattolici intenzionati a far riscoprire all’intera società italiana il valore della solidarietà e della ricerca della Giustizia sociale. Per fare questo è necessario che i tanti “nicodemo” rifugiatisi in recinti altrui, che siano di centrodestra o di centrosinistra poco cambia, superino gli schemi seguiti negli anni della diaspora e si decidano a impegnarsi apertamente per partecipare a un progetto nuovo di rigenerazione.
(Tratto da www.politicainsieme.com)
Quell’atto giudiziario, però, non costituiva solamente una denuncia formale di un reato specifico, ma un generale atto d’accusa e di rigetto di un intero sistema, di un modo di portare la violenza nella politica, di utilizzare le istituzioni a vantaggio di una fazione totalitaria, di porsi al servizio dei ricchi e dei potenti contro i più deboli, di manipolare le pubblica opinione a scapito del riconoscimento di ogni verità.
Il fascismo è stato, subito, soprattutto violenza e sopraffazione. Donati questo elemento lo colse immediatamente e con l’ingresso nel Partito popolare, dopo che a lungo ne era rimasto fuori, la sua divenne soprattutto un’azione di stimolo e di sprone per i cattolici democratici perché, con nettezza e chiarezza, scegliessero una posizione di aperta contrarietà ad una dottrina totalitaria e intrisa di violenza.
Donati fu “intransigente” sui valori ispiratori cristiani nella fede ma che non lo rinchiudeva in un recinto. Anzi, lo spingeva ad essere aperto intellettualmente. Così fu a lungo frequentatore degli ambienti socialisti e liberali. Forte il legame culturale ed umano con Gaetano Salvemini, da un lato, e con Piero Gobetti, dall’altro. Consuetudini di relazioni e rapporti che succedevano a quelli intrattenuti con molti partecipi dell’esperienza de La Voce di Giuseppe Prezzolini e di Giovanni Papini.
Ogni 16 agosto c’è stato modo di ricordare quest’uomo vivace, semplice e coraggioso, nel corso della Prima guerra mondiale restò ferito e fu decorato, le cui vicende umane furono tutt’uno con quelle sue politiche e culturali. Dopo le prime fasi di un esilio subito per sfuggire alle vendette fasciste, il suo permanere al di là dei confini del Paese fu costellato da fasi di miseria e di solitudine, appena appena alleviati dall’ospitalità che gli offriva Giuseppe Stragliati, altro popolare italiano che trasferitosi a Parigi vi aveva aperto un bistrot in cui Donati faceva il cameriere, e dagli aiuti venuti da don Luigi Sturzo e da Gaetano Salvemini.
È proprio questo aspetto che vorrei particolarmente affrontare in occasione del novantesimo anniversario della morte, cui non assistette nessuno se non i due coniugi Stragliati che lo ospitarono morente nel loro bistrot di Parigi.
Giuseppe Donati è una di quelle rare figure che si oppongono a quella di Nicodemo, emblema di quanti si conformano alle idee correnti per opportunismo e per viltà e non hanno il coraggio della coerenza e della conseguenzialità.
Oggi avremmo bisogno di tanti Giuseppe Donati, cioè di quanti posti di fronte a come vanno le cose del mondo scelgono per un impegno pubblico generoso perché fortemente motivato anche moralmente. Non è un caso che secondo Donati il fascismo non sarebbe stato superato solo grazie a una “contrapposizione di forza a forza”, ma solo attraverso un “rinnovamento radicale dell’intelligenza e della coscienza, che deve effettuarsi, prima di tutto, in coloro che lo combattono”.
Il riferimento a questa troppo dimenticata immagine del popolarismo italiano vale molto per quanti credono nella possibilità di dare corso alla ripresa di una iniziativa politica nuova, capace di avviare la “trasformazione” in cui crediamo. Un’iniziativa che coinvolge tra i primi, ma non solo essi, i cattolici intenzionati a far riscoprire all’intera società italiana il valore della solidarietà e della ricerca della Giustizia sociale. Per fare questo è necessario che i tanti “nicodemo” rifugiatisi in recinti altrui, che siano di centrodestra o di centrosinistra poco cambia, superino gli schemi seguiti negli anni della diaspora e si decidano a impegnarsi apertamente per partecipare a un progetto nuovo di rigenerazione.
(Tratto da www.politicainsieme.com)
Ottimo