I “centristi” europei di fronte alla Cina



Giuseppe Sacco    13 Luglio 2021       0

Ai primi di luglio, cioè meno di un mese dopo la tournée promozionale di Biden in Europa, sono riemersi – in occasione di una video conferenza trilaterale tra il Presidente cinese Xi Jinping, la Cancelliera Angela Merkel, e un Macron del quale le elezioni regionali hanno molto raffreddato i bellicosi progetti europei – i veri sentimenti dei due Paesi che costituiscono “l’asse” dell’Unione Europea. E si è visto subito che, sotto la guida di due leader che ne rappresentano il rispettivo “centro politico”, questi sentimenti sono piuttosto diversi da quelli degli USA, soprattutto per una maggiore disponibilità a cooperare con la Cina. Del resto, già al vertice NATO, la Merkel aveva esortato gli alleati ad un atteggiamento più “equilibrato” nei confronti del gigante dell’Asia, e Macron si era esplicitamente dichiarato “non ostile” a Pechino.

Questo incontro a tre assume tuttavia particolare importanza alla luce delle tensioni che si sono manifestate nei rapporti di Pechino con Bruxelles, dove sembra che cominci a dominare il chiasso provocato da un gruppo di “partners” comunitari dell’ultima ora, talora piccoli Paesi appena nati dal dissolvimento dell’URSS; gruppo politicamente eterogeneo, ma che pure il 20 scorso è addirittura riuscito – approfittando della Presidenza dell’insignificante Davide Sassoli – a impedire che il Parlamento europeo discutesse dei rapporti tra Europa e Cina.

Pechino e le due capitali europee dove sono al potere governi centristi, hanno infatti deciso di continuare a lavorare congiuntamente su alcuni temi essenziali, e di interesse comune: non solo sulla lotta alla pandemia e ai cambiamenti climatici, ma anche sulla protezione del sistema commerciale internazionale e, sulla possibilità de rimettere in carreggiata il cosiddetto JCPoA (Joint Comprehensive Plan of Action), l’accordo stipulato a Vienna nel 2015 sulle attività dell’Iran nel campo del nucleare civile e sull’abolizione delle sanzioni internazionali contro Teheran. Cioè sui due principali temi sui quali forze estremiste operanti dentro e fuori degli Stati Uniti cercano di imbastire non solo una nuova guerra fredda, ma anche il casus belli che la potrebbe far deflagrare.

Nel corso della videoconferenza a tre di lunedì 5 luglio, infatti sia Macron che Angela Merkel e Xi Jinping hanno dichiarato di vedere nel fatto che gli Stati Uniti e l’Iran abbiano lo scorso aprile – l’ultimo momento prima che il tema anti-cinese diventasse predominante a Washington – avviato colloqui indiretti per un accordo sul nucleare iraniano, una “finestra di opportunità” da non lasciarsi sfuggire. Detto in altri termini, i centristi europei, stanno anche tentando di dare un appoggio al Presidente americano nello scontro interno con quelli che lo storico Agostino Giovagnoli ha indicato come i nuovi “falchi”, a proposito di un accordo che – se raggiunto – eviterebbe che l’Iran per esportare e sopravvivere sia costretto, come sta accadendo, a legarsi mani a piedi a Pechino.

Merkel e Macron non hanno, in questa occasione, certo smesso di incalzare Pechino sul tema dei diritti umani. Ma il risultato sostanziale della videochiamata è che si è aperto anche uno spiraglio per rilanciare un altro importante accordo, questa volta tra la Cina e la UE nel suo complesso, accordo che da circa due mesi – e soprattutto dopo la visita di Biden – sembrava destinato, per le pressioni di Washington, a restare indefinitamente sospeso: il Trattato tendente a facilitare gli investimenti reciproci che i leader cinesi ed europei avevano concordato in linea di principio già alla fine del 2020, e a proposito del quale la Cancelliera tedesca aveva apertamente dichiarato di “sperare che fosse approvato il più rapidamente possibile”.

Ed è proprio contro questa aspirazione dei governi centristi di Berlino e Parigi, cioè delle due maggiori componenti della UE, che punta l’azione delle forze che vorrebbero guastare in maniera permanente i rapporti tra Bruxelles e Pechino, (e, sia detto en passant, ancora di più tra Bruxelles e Mosca). Queste forze tendono infatti a giocare la UE contro i suoi più importanti Stati membri, sfruttando a fini strategici i trasferimenti di competenze – effettuati in questi anni in materia di commercio internazionale – dalle diplomazie alla burocrazia comunitaria, riducendo così il ruolo politico dei Paesi centristi, e più moderati, Germania e Francia, per trasformare il post-pandemia in un nuovo anteguerra.

Nella videoconferenza a tre della settimana scorsa, Xi Jinping – pur senza fare un riferimento esplicito agli Stati Uniti come propugnatori di una nuova guerra fredda” – ha perciò fatto appello alla l’UE perché ritrovi una propria “autonomia strategica”, e a Merkel e a Macron perché mantengano con la Cina un rapporto come quello, reciprocamente vantaggioso, che si è venuto a creare nell’ultimo decennio, e in generale a partire dal 2008, anziché avventurarsi in “giochi a somma zero”, cioè in giochi dai quali una delle due parti può ottenere come risultato positivo solo quello che viene perduto dall’altra parte.

Un’ostilità, quella verso i “giochi a somma zero”, tradizionalmente cara ai fautori del commercio internazionale e del libero scambio. Eppure un’ostilità che Xi Jinping ha fatto propria nel discorso pronunciato in televisione, davanti a tutta l’opinione pubblica del suo Paese, in occasione del centenario della fondazione del Partito comunista cinese.

(Tratto da www.politicainsieme.com)


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