Il nuovo “maccartismo” del ddl Zan



Paolo Girola    12 Luglio 2021       2

La ragione ci comanda ben più imperiosamente di un maestro, perché disobbedendo a lui si è sventurati, e disobbedendo all’altra si è stolti, Blaise Pascal.

Metto in testa a questo scritto la frase di uno dei più grandi pensatori e matematici (non solo cattolici) per entrare, un’ultima volta, nel dibattito sul tema che – a ondate – monopolizza le prime pagine dei mezzi di informazione : quello sul disegno di legge Zan.

Lo faccio di malavoglia soltanto per sottolineare che questo ddl (che mi pare abbastanza sgangherato e ideologico) sembra oscurare altri e ben più gravi problemi in cui siamo immersi a cominciare da quelli sociali ed economici. E ribadisco di condividere le critiche della vecchia sinistra comunista a una certa sinistra radical, di scaricare le battaglie sociali vere per dedicarsi a battaglie più innocue: quelle dei desideri invece di quelle dei bisogni.

Dedico innanzitutto la frase di Pascal al segretario del PD Letta (che non capisco se sia più superficiale o più cinico) evidenziando brevemente le questioni principali che secondo me (e mi confortano i pensieri di molte altre personalità cattoliche e laiche, le ultime in ordine di tempo Giovanni Maria Flick e il matematico Odifreddi) pone a tutte le menti libere da pregiudiziali ideologiche o calcoli politici. A queste importanti obiezioni sento dai sostenitori del ddl Zan nessuna, o incerta, o infastidita risposta.

La prima obiezione è che, secondo me , il testo di legge ha in sé i germi della violazione di una delle principali libertà personali: la libertà di espressione, questione evidentemente considerata di poco conto da chi continua a ripetere: “Va approvato così com’è”.

La seconda è nella definizione di genere. E per uscire dall’ambito cattolico cito quanto scritto, fra gli altri, da un intellettuale sicuramente laico : “La legge decreterebbe una cesura tra la percezione psicologica di un individuo e la sua realtà fisiologica: la prima dev’essere naturalmente tutelata e difesa, perché ciascuno ha diritto di avere le opinioni e i sentimenti che desidera, ma la seconda non può semplicemente essere negata o rimossa, perché anche i fatti hanno i loro diritti… E non è un caso che gli scienziati si secchino, perché sanno che i fatti ci sono eccome, e che le interpretazioni non vanno affatto tutte bene, se li negano o li rimuovono” (Dario Odifreddi, “La Stampa” 24 giugno). Ebbene, queste teorie fumose verrebbero diffuse nelle scuole.

La terza per me fondamentale obiezione, che mi impedisce di condividere il ddl Zan (e non solo questo), è l’idea della necessità di continui aggravamenti di pena in un’ ottica di deterrenza, per reati già puniti dalla legge. Idea che, al suo apice, dà ragione ai sostenitori della pena di morte, che da questo punto di vista è il massimo della deterrenza. Per non dire che a forza di leggi di “protezione speciale”, alla lunga si snatura il principio dell’eguaglianza di fronte alla legge. E mi stupisco della mancanza di spirito critico di una certa intellighenzia “progressista”, bacchettona e conformista, che continua a richiedere leggi di “speciale protezione” su varie categorie (donne, omosessuali, neri, immigrati ecc.) che denotano una scarsa stima per queste categorie e possono addirittura provocare, come ha scritto il costituzionalista Michele Ainis su “Repubblica”, un calo di autostima da parte delle stesse.

Fatte le obiezioni, una considerazione preoccupata e amara che parte dal ringraziamento ad Alessandro Risso per aver dato spazio su questo sito alle voci non piegate al conformismo e al “politicamente corretto” (diverse persone mi hanno manifestato condivisione e apprezzamento per quanto ho scritto e le ringrazio).

Al di là del merito di un disegno di legge che presenta molti lati criticabili, il dibattito attorno a un tema come questo mi ha confermato in un’idea (sempre un po’ eretica come le mie ultimamente) che siamo di fronte, in Europa e negli USA, a una nuova forma di “maccartismo”, di caccia alle streghe, che indossa la maschera del politicamente corretto. E mi torna alla mente il grande Tom Wolfe che inventò la definizione “radical chic” in un lungo articolo che ridicolizzava i partecipanti a una cena newyorkese a casa del maestro Leonard Bernstein, del giugno 1970, intitolato (appunto) Radical Chic, That Party at Lenny’s. Un party organizzato dai Bernstein nel loro lussuoso appartamento di Park Avenue con tanto di camerieri in livrea (ma bianchi per non offendere gli ospiti di colore) al fine di raccogliere fondi in favore dell'organizzazione rivoluzionaria afroamericana Black Panthers.

Il giornalista del progressista “New York Magazine” avvertiva quanto di ridicolo, ma anche di pericoloso andava profilandosi a partire dagli anni Settanta negli USA , e lo manifestò anche nel suo romanzo più famoso, Il falò delle vanità. La trama potrebbe essere quanto mai attuale, con quel protagonista, newyorkese ricco e vanesio, che una sera piovosa e buia, in auto con l’amante, sbaglia strada e si ritrova nel Bronx. Si deve fermare per un copertone in mezzo alla via, mentre scende per rimuoverlo, due giovani di colore gli si avvicinano, forse per rapinarlo. La donna salta al volante per fuggire e in retromarcia uccide uno dei due neri. L’uomo vorrebbe chiamare la polizia, ma l’amante non ne vuole sapere per paura che il marito scopra la sua infedeltà. E i due fuggono. Da qui una serie di vicissitudini e di personaggi meschini che sfruttano la storia per far carriera e soldi, buttandola pesantemente sul razzismo. L’uomo è condannato soprattutto in quanto bianco e ricco e, prima che si scopra la verità (non era lui al volante), finisce vittima di un’apartheid moralista che lo distrugge fino a ridurlo come un “ barbone”.

Infine un accenno alla tanto discussa nota vaticana, che ha motivazioni nel merito (il rispetto di un trattato internazionale), ma che, a mio avviso, fa più male che bene al dibattito, spostando l’attenzione sul piano, diciamo, diplomatico. Anche se fanno ridere, per non dire piangere, le alzate di scudi di tanti politici, per altro confortati da personaggi autorevoli del mondo dello spettacolo come quel tal Fedez, il quale, di fronte alle “ingerenze” vaticane, diffonde in rete messaggi a sostegno de ddl Zan del tipo: “Ma cos’è ‘sto Concordato? Voi avete concordato qualcosa? Perché il Vaticano impedisce alla giustizia italiana di processare i preti pedofili?”. E torno a un campione dell’anticlericalismo, il matematico Piergiorgio Odifreddi, che prendendone le distanze afferma (sempre “La Stampa” 24 giugno): “Il Vaticano si preoccupa che la legge Zan possa obbligare le scuole a insegnare l’identità di genere, e paradossalmente non ha tutti i torti…”.

Io penso che la nota vaticana metta in evidenza la scarsa rilevanza di troppi laici cattolici impegnati in politica e nel campo intellettuale, incapaci di articolare critiche a una disegno di legge il cui scopo principale, come è evidente, è di diffondere un credo unico, di far tacere le voci dissonanti con minacce di azioni giudiziarie e con l’ostracismo che sarà dato in tutte le sedi a chi è contrario alla sua impostazione culturale.


2 Commenti

  1. Egr. P. Girola,
    tutte condivisibili pienamente le sue osservazioni sul perverso ddl Zan. Qualche nota personale in aggiunta alle sue. Enrico Letta è uno stolido, sciocco prigioniero di se stesso, della sua irrazionalità e di un’ideologia che come tutte le ideologie, rosse, nere, arancioni ecc., è liberticida, antidemocratica e mortifera. Ci voleva proprio il giullare della corte di Versailles per dare impulso a quel progetto! Ma quel che più mi rattrista da cattolico è che un tal personaggio, come quei politici ed intellettuali incapaci di critiche, trovi spazio in certi ambienti dell’alta gerarchia cattolica e dei suoi organi di informazione.

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