Non credo al “primato democratico” di un sistema elettorale rispetto ad un altro.
E non credo che il maggioritario, adottato dopo la crisi di sistema degli anni 90, sia stato – come molti dicono – la causa di tutti i mali.
Le ragioni vere delle contraddizioni e della fragilità del sistema politico italiano sono ben più profonde.
Sono da ricercare piuttosto nella ferita inferta al processo di evoluzione democratica con l’assassinio di Aldo Moro; nella incerta e talvolta balbettante strategia delle riforme istituzionali; nella gracile ed opaca trama di connessione tra sfera politica e sfera degli interessi diffusi.
In altre parole, nella difficoltà con la quale il nostro Paese ha affrontato, dagli anni 70 in poi, il percorso verso una democrazia “adulta”, innervata dalla “religione civile” della responsabilità, ad ogni livello pubblico, privato e collettivo.
I sistemi elettorali sono strumenti che, nel rispetto dei principi costituzionali, hanno il compito di ricercare nelle varie condizioni storiche il miglior equilibrio possibile tra rappresentanza e governo della comunità.
Occorre dunque valutarli con una certa dose di laicità.
Detto questo, nella contingenza storica nella quale siamo, credo che i possibili vantaggi di un sistema di tipo proporzionale con soglia significativa di sbarramento sarebbero maggiori dei possibili rischi, che pur ci sono.
Non mi pare abbia però fondamento la tesi di chi auspica il proporzionale perché così si aprirebbero più spazi (tutti da dimostrare) per un eventuale “centro” equidistante dalla destra e dalla sinistra.
La crisi del “centro” in Italia non è stata conseguenza, ma semmai con-causa della stagione maggioritaria così come si è realizzata.
Sono propenso a ritenere che un efficiente sistema proporzionale, con soglia non inferiore al 5 per cento, in questa fase storica, sia preferibile – piuttosto – perché favorirebbe la trasparente riorganizzazione delle diverse aree politiche e renderebbe più realistica, dopo il voto, la ricerca di una maggioranza riformatrice/trasformatrice (con un linguaggio oggi fuori moda, che infatti non uso, si potrebbe definire di “centro”-“sinistra”, ma qualcuno potrebbe chiamarla “Ursula”).
E ciò potrebbe avvenire senza la presa in giro degli elettori: tutti gli ultimi governi sono stati composti da forze politiche che si erano presentate come reciprocamente alternative nella richiesta del consenso.
È una questione che interessa molto le forze politiche di ispirazione popolare e liberal democratica. O – meglio – le loro attuali start up, peraltro purtroppo ancora disperse, frammentate anche dentro i rispettivi perimetri identitari ed incapaci di vero dialogo tra loro.
Eppure (ove decidessero di passare ad una fase adulta e meno auto referenziale) potrebbero avere un ruolo fondamentale di riferimento.
La scommessa contenuta nel Piano di Ripresa e Resilienza varato dal Governo e approvato dal Parlamento va ben al di là della durata della attuale Legislatura o della scadenza del settennio di Sergio Mattarella (al quale occorrerà provare a chiedere, temo, di rivedere la sua comprensibile indisponibilità ad un secondo parziale mandato).
La “Stagione Draghi” non può durare lo spazio di un mattino, perché si fonda su impegni precisi di trasformazione del Paese, che comportano cambiamenti culturali oltre che economici, sociali e istituzionali di portata rilevante. E che richiedono continuità di rotta per un periodo non certo breve.
Oggi il Governo Draghi si fonda su una maggioranza “non politica”, ma emergenziale.
Soluzione utile e necessaria per la fase finale di questa Legislatura, ma non proponibile come soluzione “ordinaria”.
Il passaggio del voto democratico del popolo nel 2023 sarà dunque decisivo e metterà tutti difronte alle proprie responsabilità: considerare il sentiero virtuoso tracciato da Draghi come un artificio di furbizia per ottenere i fondi europei (col rischio di non ottenerli, peraltro) oppure come scelta di medio-lungo periodo per la definitiva affermazione di un Paese più maturo, moderno, efficiente e responsabile.
Se esiste oggi una “missione” prioritaria per chi si richiama alla cultura politica del Popolarismo, essa consiste nel dare il proprio contributo di continuità e di spessore a questo sforzo di radicale trasformazione del Paese, tutelando il rispetto e la valorizzazione di una visione comunitaria e solidale della democrazia ed il suo radicamento nella prospettiva europea.
Così poste le cose, non sarà difficile capire come conciliare il giusto “principio ontologico” della “autonomia” (un soggetto politico esiste perché ha una identità, una rappresentanza ed un progetto, non in quanto alleato o satellite di qualcuno) con il “principio politico” della coalizione tra diversi ma compatibili, a servizio del bene comune, che è stata una costante della cultura politica democratico cristiana da Degasperi in poi.
E non credo che il maggioritario, adottato dopo la crisi di sistema degli anni 90, sia stato – come molti dicono – la causa di tutti i mali.
Le ragioni vere delle contraddizioni e della fragilità del sistema politico italiano sono ben più profonde.
Sono da ricercare piuttosto nella ferita inferta al processo di evoluzione democratica con l’assassinio di Aldo Moro; nella incerta e talvolta balbettante strategia delle riforme istituzionali; nella gracile ed opaca trama di connessione tra sfera politica e sfera degli interessi diffusi.
In altre parole, nella difficoltà con la quale il nostro Paese ha affrontato, dagli anni 70 in poi, il percorso verso una democrazia “adulta”, innervata dalla “religione civile” della responsabilità, ad ogni livello pubblico, privato e collettivo.
I sistemi elettorali sono strumenti che, nel rispetto dei principi costituzionali, hanno il compito di ricercare nelle varie condizioni storiche il miglior equilibrio possibile tra rappresentanza e governo della comunità.
Occorre dunque valutarli con una certa dose di laicità.
Detto questo, nella contingenza storica nella quale siamo, credo che i possibili vantaggi di un sistema di tipo proporzionale con soglia significativa di sbarramento sarebbero maggiori dei possibili rischi, che pur ci sono.
Non mi pare abbia però fondamento la tesi di chi auspica il proporzionale perché così si aprirebbero più spazi (tutti da dimostrare) per un eventuale “centro” equidistante dalla destra e dalla sinistra.
La crisi del “centro” in Italia non è stata conseguenza, ma semmai con-causa della stagione maggioritaria così come si è realizzata.
Sono propenso a ritenere che un efficiente sistema proporzionale, con soglia non inferiore al 5 per cento, in questa fase storica, sia preferibile – piuttosto – perché favorirebbe la trasparente riorganizzazione delle diverse aree politiche e renderebbe più realistica, dopo il voto, la ricerca di una maggioranza riformatrice/trasformatrice (con un linguaggio oggi fuori moda, che infatti non uso, si potrebbe definire di “centro”-“sinistra”, ma qualcuno potrebbe chiamarla “Ursula”).
E ciò potrebbe avvenire senza la presa in giro degli elettori: tutti gli ultimi governi sono stati composti da forze politiche che si erano presentate come reciprocamente alternative nella richiesta del consenso.
È una questione che interessa molto le forze politiche di ispirazione popolare e liberal democratica. O – meglio – le loro attuali start up, peraltro purtroppo ancora disperse, frammentate anche dentro i rispettivi perimetri identitari ed incapaci di vero dialogo tra loro.
Eppure (ove decidessero di passare ad una fase adulta e meno auto referenziale) potrebbero avere un ruolo fondamentale di riferimento.
La scommessa contenuta nel Piano di Ripresa e Resilienza varato dal Governo e approvato dal Parlamento va ben al di là della durata della attuale Legislatura o della scadenza del settennio di Sergio Mattarella (al quale occorrerà provare a chiedere, temo, di rivedere la sua comprensibile indisponibilità ad un secondo parziale mandato).
La “Stagione Draghi” non può durare lo spazio di un mattino, perché si fonda su impegni precisi di trasformazione del Paese, che comportano cambiamenti culturali oltre che economici, sociali e istituzionali di portata rilevante. E che richiedono continuità di rotta per un periodo non certo breve.
Oggi il Governo Draghi si fonda su una maggioranza “non politica”, ma emergenziale.
Soluzione utile e necessaria per la fase finale di questa Legislatura, ma non proponibile come soluzione “ordinaria”.
Il passaggio del voto democratico del popolo nel 2023 sarà dunque decisivo e metterà tutti difronte alle proprie responsabilità: considerare il sentiero virtuoso tracciato da Draghi come un artificio di furbizia per ottenere i fondi europei (col rischio di non ottenerli, peraltro) oppure come scelta di medio-lungo periodo per la definitiva affermazione di un Paese più maturo, moderno, efficiente e responsabile.
Se esiste oggi una “missione” prioritaria per chi si richiama alla cultura politica del Popolarismo, essa consiste nel dare il proprio contributo di continuità e di spessore a questo sforzo di radicale trasformazione del Paese, tutelando il rispetto e la valorizzazione di una visione comunitaria e solidale della democrazia ed il suo radicamento nella prospettiva europea.
Così poste le cose, non sarà difficile capire come conciliare il giusto “principio ontologico” della “autonomia” (un soggetto politico esiste perché ha una identità, una rappresentanza ed un progetto, non in quanto alleato o satellite di qualcuno) con il “principio politico” della coalizione tra diversi ma compatibili, a servizio del bene comune, che è stata una costante della cultura politica democratico cristiana da Degasperi in poi.
Difficile non condividere la linearità di quanto scritto, laddove soprattutto si marca l’autoreferenzialità delle nuove “forze popolari” che sembrano proprio non voler intendere di progredire insieme. A proposito, che ci si riferisse, tra gli altri, ad Insieme? Se così, buon “orticello” a tutti allora!
Premessa: la legge elettorale deve garantire la governabilità altrimenti è inutile. Ciò premesso non conosco una legge elettorale perfettamente neutra ad eccezione della proporzionale pura che però non garantisce la governabilità senza un patto di coalizione preventivo e la sfiducia costruttiva.
Un proporzionale corretto potrebbe salvarci dall’idea che le elezioni si trasformino in nomination di questo o quel personaggio. Ormai la gente dice “voto la Meloni” “Voto Salvini”… è la morte della politica. Battute e battutine a go go… ma la politica? Sembra sempre più al Grande Fratello