Dunque il “dio primarie” si riaffaccia. È noto che nella sinistra italiana, cioè nel PD, le primarie sono una sorta di dogma. Un po’ come per noi cattolici, pur senza essere blasfemi, il significato della Trinità. Perché le primarie, va pur detto, fanno parte dell’atto costitutivo del Partito democratico. Più del progetto politico conta l’organizzazione e la celebrazione saltuaria delle sempreverdi primarie. Per carità, le primarie sono un ottimo strumento burocratico e protocollare della politica. Sono nate quando i partiti sono andati definitivamente in crisi, quando le classi dirigenti dei rispettivi partiti hanno abdicato ai compiti che spettano, appunto, al ceto dirigente per affidarsi qualunquisticamente a ciò che decide di volta in volta “la ggente”. Cioè alla selezione democratica dei gruppi dirigenti. E così è diventato del tutto normale che, tranne per i parlamentari dove la designazione è fatta brutalmente dall’alto senza alcun filtro democratico e partecipativo, per altri ruoli il tutto viene affidato qualunquisticamente a questo singolare e curioso strumento burocratico e protocollare.
E per entrare nello specifico, il nodo della scelta dei candidato a Sindaco in alcune grandi città in vista delle elezioni del prossimo ottobre è persin troppo emblematico. E il caso di Roma e di Torino ma non solo, al riguardo, lo confermano in modo plateale. Se a Roma prosegue il balletto attorno alla candidatura, o meno, di Zingaretti a Sindaco, a Torino dopo 8 mesi di estenuanti e ormai noiose e ripetitive discussioni su chi scegliere per la carica di Sindaco, si è poi deciso, come da copione, di ricorrere al dio primarie per sciogliere la sempre più intricata matassa. Perché il tema è sempre lo stesso, più volte evocato ma mai risolto per non rompere gli equilibri tra le molteplici e sempre crescenti correnti/bande del Partito democratico. E cioè, si deve privilegiare la “sintesi” condotta e guidata dal gruppo dirigente del partito oppure ci si affida alle virtù salvifiche e miracolistiche delle primarie? La risposta, come ovvio e scontato, è quasi sempre scontata. E quindi primarie siano!
Ora, quasi tutti conosciamo ormai i vizi e le virtù delle primarie. Da strumento democratico che alcuni lustri fa erano state palestre di partecipazione e di democrazia significative e di qualità, sono diventate progressivamente momenti di decadimento etico e politico. E cioè, truppe cammellate, voto clientelare, radicalizzazione dello scontro interno, difficoltà a ricomporre i mille contrasti politici e personali che si scatenano puntualmente dopo ogni consultazione e, purtroppo, anche svariate denunce per come viene condotta concretamente la campagna elettorale…. Tutto ciò, come tutti sanno, accompagna purtroppo il concreto svolgimento delle primarie in giro per l’Italia.
Insomma, non si può fare a meno delle primarie. Ma perché, comunque sia, il partito principale della sinistra italiana continua a rinunciare alla capacità di fare “sintesi”, cioè a scegliere direttamente la propria classe dirigente assumendosi anche e soprattutto la responsabilità di decidere? Del resto, i grandi e qualificati gruppi dirigenti dei partiti democratici del passato – quando i partiti esistevano ancora, com’è ovvio… – avevano il coraggio e la capacità di selezionare la propria classe dirigente. È così difficile ripristinare oggi quel meccanismo senza limitarsi a parlare di quote, di genere, di equilibri tra le correnti e di come conservare il solo potere interno? Forse ne uscirebbero rafforzati i partiti e ne guadagnerebbe, probabilmente, la stessa democrazia.
E per entrare nello specifico, il nodo della scelta dei candidato a Sindaco in alcune grandi città in vista delle elezioni del prossimo ottobre è persin troppo emblematico. E il caso di Roma e di Torino ma non solo, al riguardo, lo confermano in modo plateale. Se a Roma prosegue il balletto attorno alla candidatura, o meno, di Zingaretti a Sindaco, a Torino dopo 8 mesi di estenuanti e ormai noiose e ripetitive discussioni su chi scegliere per la carica di Sindaco, si è poi deciso, come da copione, di ricorrere al dio primarie per sciogliere la sempre più intricata matassa. Perché il tema è sempre lo stesso, più volte evocato ma mai risolto per non rompere gli equilibri tra le molteplici e sempre crescenti correnti/bande del Partito democratico. E cioè, si deve privilegiare la “sintesi” condotta e guidata dal gruppo dirigente del partito oppure ci si affida alle virtù salvifiche e miracolistiche delle primarie? La risposta, come ovvio e scontato, è quasi sempre scontata. E quindi primarie siano!
Ora, quasi tutti conosciamo ormai i vizi e le virtù delle primarie. Da strumento democratico che alcuni lustri fa erano state palestre di partecipazione e di democrazia significative e di qualità, sono diventate progressivamente momenti di decadimento etico e politico. E cioè, truppe cammellate, voto clientelare, radicalizzazione dello scontro interno, difficoltà a ricomporre i mille contrasti politici e personali che si scatenano puntualmente dopo ogni consultazione e, purtroppo, anche svariate denunce per come viene condotta concretamente la campagna elettorale…. Tutto ciò, come tutti sanno, accompagna purtroppo il concreto svolgimento delle primarie in giro per l’Italia.
Insomma, non si può fare a meno delle primarie. Ma perché, comunque sia, il partito principale della sinistra italiana continua a rinunciare alla capacità di fare “sintesi”, cioè a scegliere direttamente la propria classe dirigente assumendosi anche e soprattutto la responsabilità di decidere? Del resto, i grandi e qualificati gruppi dirigenti dei partiti democratici del passato – quando i partiti esistevano ancora, com’è ovvio… – avevano il coraggio e la capacità di selezionare la propria classe dirigente. È così difficile ripristinare oggi quel meccanismo senza limitarsi a parlare di quote, di genere, di equilibri tra le correnti e di come conservare il solo potere interno? Forse ne uscirebbero rafforzati i partiti e ne guadagnerebbe, probabilmente, la stessa democrazia.
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