Se c’è un modo altamente probabile di consegnare il Paese a Salvini, dopo la parentesi Draghi, è quello suggerito da Paolo Mieli nel suo ultimo articolo di fondo che ha firmato sul “Corriere della sera” del 22 marzo.
Avanti tutta e con il maggioritario a go-go. Infiliamoci in una riedizione del bipolarismo asfissiante di cui abbiamo goduto fin qui. Anzi, se possibile, anche più rissoso e muscolare, dato che questa volta la contesa non sarebbe più giocata dai due poli insistendo prevalentemente sulle rispettive estreme, ma più vicino alla linea di demarcazione tra i due schieramenti – insomma a ridosso di quel fatidico “centro” che campeggia nei sogni di molti – e, quindi, potrebbe risolversi in un corpo a corpo anche più furioso.
Mieli plaude alla “gradita sorpresa” del cenno di Letta al Mattarellum, immaginando che ciò indichi – ma è ancora tutto da dimostrare ed infatti il Nostro sollecita chiarimenti – come il PD abbia cambiato non solo il segretario, ma anche la linea politica. Con Zingaretti era attestata sul proporzionale, come da intese intervenute con il Movimento 5Stelle, per compensare, in qualche modo, gli effetti della riduzione del numero dei parlamentari.
Il maggioritario, per quanto invocato in nome della governabilità e della stabilizzazione del nostro sistema politico, salutato addirittura come approdo finalmente compiuto di quella “democrazia incompiuta” che abbiamo ereditato dalla prima Repubblica, in effetti non ha mantenuta nessuna delle promesse e delle attese per le quali ci è stato propinato. Basti considerare quanti governi si siano succeduti dalla metà degli anni Novanta ad oggi, per rendersi conto, ad esempio, che la loro durata media non ha affatto migliorato lo standard che ha contraddistinto i decenni precedenti.
Eppure, c’è chi continua a ritenere che la rappresentanza, anziché esprimersi secondo il libero, pieno e incondizionato dispiegarsi della sovranità popolare, debba essere, poco o tanto, sacrificata alla governabilità; per lo meno accompagnata per mano dentro l’alveo obbligato di due campi elettorali che riducono il confronto politico a una contrapposizione pregiudiziale, fondata su una reciproca delegittimazione e incapace di dar conto della realtà viva di un Paese che tutto è, nella ricca articolazione che lo caratterizza, meno che bipolare.
Senonché, è vero piuttosto che in una democrazia in piena salute sia la governabilità ad essere funzione della rappresentanza e non viceversa, come vorrebbero i cultori del maggioritario a tutti i costi.
“Matteo Salvini ha raccolto il guanto di sfida…” esulta Mieli ed ora per il PD, che non può essere da meno, “si rendono necessari passi altrettanto decisi”. Insomma, Salvini e Letta sono invitati a “militarizzare” fin d’ora i rispettivi campi, secondo l’invalso costume tale per cui appena fatto un governo, già si pensa a preparare il terreno per ciò che verrà dopo.
Escludendo, dunque, a priori che il governo Draghi possa rappresentare una salutare boccata d’ossigeno, un momento “politico” di pausa e di riflessione per forze politiche che hanno tutte manifestamente bisogno di ripensare a fondo se stesse, maturando una visione più larga delle prospettive che devono essere offerte al Paese, senza ricadere nella coazione a ripetere errori inveterati, che offuscano l’autorevolezza della politica come tale, a prescindere dal prevalere dell’uno o dell’altro schieramento, lasciando, in tal modo, libero campo all’affermarsi di altre influenze e altri equilibri.
È talmente accorata – quasi da pedagogo, più che da osservatore – la preoccupazione di Mieli per il maggioritario da indurlo – pur concedendo che se così non dovesse essere, perfino l’aborrito proporzionale sarebbe meglio dell’attuale sistema che “assomma i difetti del proporzionale e del maggioritario” – a derubricare come “estemporaneo”, dunque non attendibile, un non meglio precisato accenno del segretario PD che potrebbe essere interpretato in senso contrario a quanto fin qui auspicato.
È necessario – anziché trattenerla nelle spire di un gioco incrociato tra parti del tutto avverse, meno che in ordine alla reciproca utilità di un sistema artatamente preordinato – restituire, senza ipocrisie, l’Italia agli italiani, investendo sulla loro autonomia di giudizio, sulla personale capacità critica di ognuno.
Occorre un atto di fiducia nella sovranità che la Costituzione conferisce al popolo, anche a quell’alta percentuale di elettori che non si recano più alle urne e, peraltro, non possiamo regalare all’inerzia cui li ha condotti l’ignavia di un sistema politico bloccato nelle forme di una sorta di democrazia “contratta”.
Avanti tutta e con il maggioritario a go-go. Infiliamoci in una riedizione del bipolarismo asfissiante di cui abbiamo goduto fin qui. Anzi, se possibile, anche più rissoso e muscolare, dato che questa volta la contesa non sarebbe più giocata dai due poli insistendo prevalentemente sulle rispettive estreme, ma più vicino alla linea di demarcazione tra i due schieramenti – insomma a ridosso di quel fatidico “centro” che campeggia nei sogni di molti – e, quindi, potrebbe risolversi in un corpo a corpo anche più furioso.
Mieli plaude alla “gradita sorpresa” del cenno di Letta al Mattarellum, immaginando che ciò indichi – ma è ancora tutto da dimostrare ed infatti il Nostro sollecita chiarimenti – come il PD abbia cambiato non solo il segretario, ma anche la linea politica. Con Zingaretti era attestata sul proporzionale, come da intese intervenute con il Movimento 5Stelle, per compensare, in qualche modo, gli effetti della riduzione del numero dei parlamentari.
Il maggioritario, per quanto invocato in nome della governabilità e della stabilizzazione del nostro sistema politico, salutato addirittura come approdo finalmente compiuto di quella “democrazia incompiuta” che abbiamo ereditato dalla prima Repubblica, in effetti non ha mantenuta nessuna delle promesse e delle attese per le quali ci è stato propinato. Basti considerare quanti governi si siano succeduti dalla metà degli anni Novanta ad oggi, per rendersi conto, ad esempio, che la loro durata media non ha affatto migliorato lo standard che ha contraddistinto i decenni precedenti.
Eppure, c’è chi continua a ritenere che la rappresentanza, anziché esprimersi secondo il libero, pieno e incondizionato dispiegarsi della sovranità popolare, debba essere, poco o tanto, sacrificata alla governabilità; per lo meno accompagnata per mano dentro l’alveo obbligato di due campi elettorali che riducono il confronto politico a una contrapposizione pregiudiziale, fondata su una reciproca delegittimazione e incapace di dar conto della realtà viva di un Paese che tutto è, nella ricca articolazione che lo caratterizza, meno che bipolare.
Senonché, è vero piuttosto che in una democrazia in piena salute sia la governabilità ad essere funzione della rappresentanza e non viceversa, come vorrebbero i cultori del maggioritario a tutti i costi.
“Matteo Salvini ha raccolto il guanto di sfida…” esulta Mieli ed ora per il PD, che non può essere da meno, “si rendono necessari passi altrettanto decisi”. Insomma, Salvini e Letta sono invitati a “militarizzare” fin d’ora i rispettivi campi, secondo l’invalso costume tale per cui appena fatto un governo, già si pensa a preparare il terreno per ciò che verrà dopo.
Escludendo, dunque, a priori che il governo Draghi possa rappresentare una salutare boccata d’ossigeno, un momento “politico” di pausa e di riflessione per forze politiche che hanno tutte manifestamente bisogno di ripensare a fondo se stesse, maturando una visione più larga delle prospettive che devono essere offerte al Paese, senza ricadere nella coazione a ripetere errori inveterati, che offuscano l’autorevolezza della politica come tale, a prescindere dal prevalere dell’uno o dell’altro schieramento, lasciando, in tal modo, libero campo all’affermarsi di altre influenze e altri equilibri.
È talmente accorata – quasi da pedagogo, più che da osservatore – la preoccupazione di Mieli per il maggioritario da indurlo – pur concedendo che se così non dovesse essere, perfino l’aborrito proporzionale sarebbe meglio dell’attuale sistema che “assomma i difetti del proporzionale e del maggioritario” – a derubricare come “estemporaneo”, dunque non attendibile, un non meglio precisato accenno del segretario PD che potrebbe essere interpretato in senso contrario a quanto fin qui auspicato.
È necessario – anziché trattenerla nelle spire di un gioco incrociato tra parti del tutto avverse, meno che in ordine alla reciproca utilità di un sistema artatamente preordinato – restituire, senza ipocrisie, l’Italia agli italiani, investendo sulla loro autonomia di giudizio, sulla personale capacità critica di ognuno.
Occorre un atto di fiducia nella sovranità che la Costituzione conferisce al popolo, anche a quell’alta percentuale di elettori che non si recano più alle urne e, peraltro, non possiamo regalare all’inerzia cui li ha condotti l’ignavia di un sistema politico bloccato nelle forme di una sorta di democrazia “contratta”.
se la lite continua a essere maggioritario o non maggioritario non se ne esce
maggioritario vuol dir per un pò nessuno rompe e io faccio quel che voglio
non maggioritario vuol dire continuo a essere piccolo, ma se voglio rompo, quindi tenetemi in conto
la politica che si espone con un programma non c’è più, da quando i programmi avevano sempre il carattere di scontro ideologico
dunque?
separiamo politica e governo
si fa politica, si confrontano idee e programmi, si convince la maggioranza su un quadro che deve essere realizzato in un dato termine (scadenza elettorale) e il giorno dopo, mentre chi deve governare governa secondo mandato, si ricomincia a discutere, proporre, confrontare, formare maggioranze, ma senza rompere quotidianamente chi deve solo fare quel che gli è stato dato come mandato a termine
draghi sta facendo bene la sua parte: ci mettiamo sotto a rifondare un partito che serva per assumersi il vero ruolo politico (progettare, discutere, scegliere, preparare l’alternativa) senza esibirsi quotidianamente nel braccio di ferro con chi governa?
insisto: governare non è fare politica e fare politica viene prima del governare
è dai tempi della “costituente” che i due ruoli si sono sovrapposti e confusi:
ce la facciamo con questa e con la prossima generazione, o andiamo davvero tutti a catafascio ?
la storia si ripete. Chi sta al governo e teme di perdere propende per il proporzionale . Chi sta all’opposizione e pensa di avere i sondaggi a proprio favore pende per il maggioritario parziale o totale. Ora chi sta al governo vuole cambiare da maggioritario a proporzionale per cercare di prendere più seggi possibile. Nessuna valutazione, quindi, viene fatta per gli interessi della democrazia ma solo quello di parte. Quelli che attualmente credono di perdere cercheranno in tutti i modi di tornare al proporzionale a prescindere. Inutile dire che degli interessi dei cittadini non interessa un “fico secco”!
Se fosse vero che ognuno bada al proprio esclusivo interesse si dovrebbe comunque concludere che la destra sa fare davvero il proprio interesse (ad es. non ha mai voluto neanche parlare di maggioritario a doppio turno!) mentre la sinistra non sa fare neppure questo.