Qualche tempo fa, prima che i 5 Stelle si trasmutassero in una “risorsa” dello schieramento progressista, mi è capitato di leggere critiche demolitrici nei confronti della democrazia diretta da loro esaltata. C'è stato chi si è spinto fino a definirla una “non-democrazia”. Ma tale critica investiva proprio le istituzioni che avevano caratterizzato nel mondo ellenico le forme di governo delle poleis sorte a partire dal VI secolo a.C., ignorando che proprio per tali istituzioni fu creato il termine “democrazia”. Trovo pertanto assurdo giungere a mettere in campo affermazioni e giudizi che disconoscono la storia.
Posso concordare che nel mondo attuale la democrazia diretta non sia proponibile, ma chiediamoci il perché, in quanto si tratta di una questione importante che va oltre le beghe interne ancora presenti in materia nel movimento grillino.
In genere, il primo argomento introdotto, per negarne l'attualità, riguarda la dimensione degli Stati moderni rispetto alle poleis elleniche. Già Aristotele diceva che, oltre ad una certa dimensione, la democrazia non è possibile. Tuttavia, questo non è l'ostacolo principale all'esercizio della democrazia diretta.
Ha scritto Cornelius Castoriadis che, nell'Atene di Pericle, il numero di cittadini (maschi adulti) atti a partecipare alle assemblee era di oltre 40.000, corrispondente a una popolazione di più di 200.000 abitanti. Oggi, in Europa, la più parte dei municipi ha un numero di abitanti inferiore a tale quantità. Inoltre, i mezzi informatici odierni possono consentire di trovare soluzioni adatte al fine di gestire una “agorà” di grande dimensione. In teoria, sarebbe quindi possibile, almeno in certi ambiti, superare l'ostacolo costituito dal fattore dimensionale.
Un altro argomento, talora introdotto per mostrare i limiti della democrazia diretta, fa riferimento alla funzione formativa ed educativa svolta, nelle democrazie rappresentative, dai partiti mediante il dibattito che caratterizza la loro vita interna, e quello che accompagna le periodiche campagne elettorali. In realtà, questa esigenza di formare il cittadino alla vita politica non è una caratteristica della sola democrazia rappresentativa: vale e può essere assolta in ogni tipo di democrazia, sia essa rappresentativa o diretta. Purtroppo oggi le persone restano lontane dalla politica, e il dibattito langue: ci sono sempre meno luoghi in cui svolgerlo (sezioni di partito, strutture sindacali, club con interessi politici, ecc.), mentre ciò che avviene nei “social media” non ha nulla a che fare con il dibattito, o con un confronto di idee.
Comunque, credo anch'io che oggi la democrazia diretta non sia proponibile, e il motivo continua ad essere quello già individuato, quasi due secoli fa, da Benjamin Constant quando confronta la libertà degli antichi a quella dei moderni.
Nelle poleis elleniche, tutti i cittadini (maschi) erano impegnati nella gestione della città-stato (dalle attività militari ai comuni problemi quotidiani). Era un compito molto pesante che assorbiva in larga misura le energie dei cittadini. Ma questi si sentivano realizzati proprio nella partecipazione alla vita della comunità, i cui interessi prevalevano su quelli personali.
Con la modernità, si è affermata una radicale distinzione tra sfera pubblica e sfera privata, e l’attenzione prevalente dei cittadini riguarda la seconda: non c’è più la comunità entro cui la persona si realizzava come essere umano integrale; ciascuno è preso dal proprio personale progetto di vita, e non intende impegnare le proprie forze e il proprio tempo nella soluzione dei problemi della società, sempre meno sentiti come problemi comuni. Non a caso la difesa è diventata compito di soldati di mestiere, e la politica è riservata a professionisti: in particolare riguardo a quest'ultima, quando scendono in campo i dilettanti, i risultati lasciano a desiderare...
Ci sono poi altri aspetti da considerare che spiegano l'inattualità della democrazia diretta.
La democrazia diretta si basava sull'omogeneità delle comunità politiche che l'avevano espressa: persone che provenivano da uno stesso ceppo, etnia, cultura e dallo stesso suolo, persone che avevano valori comuni. Questo fatto si traduceva in una visione condivisa del bene della comunità, e consentiva l'unità della decisione politica. Nel mondo moderno, non c'è più omogeneità culturale, sociale, economica, ma la società è formata da persone, gruppi, categorie sovente di diversa cultura o religione, con differenti esigenze e modalità di vita. Le decisioni politiche devono tenere conto delle aspettative espresse da una società complessa e diversificata.
Inoltre, nelle poleis, le decisioni politiche riguardavano le sole scelte tese a realizzare il bene della città. Gli interessi particolari (di persone, gruppi ecc.) non erano considerati. Secondo Aristotele (dice ancora Castoriadis), nelle leggi ateniesi, c'era una disposizione che, sulla decisione se fare o meno la guerra contro una città limitrofa, non consentiva ai cittadini abitanti nella zona di frontiera di partecipare al voto, perché non potevano votare onestamente, dimenticando che i loro possedimenti sarebbero stati distrutti, e mettendo così il proprio interesse personale davanti agli interessi della collettività. Nella moderna democrazia, la politica invece deve trovare soluzioni di compromesso tra le differenti esigenze dei vari gruppi, delle differenti categorie, dei molti territori che fanno parte dello Stato. I rappresentanti che siedono nel Parlamento sono principalmente rappresentanti di interessi particolari. Un fatto ritenuto positivo poiché nasce dalla convinzione che gli interessi conflittuali, presenti normalmente nella società, portati nelle sedi deliberative, possano essere negoziati per giungere a soluzioni di compromesso utili per l'intera società. Il risultato tuttavia può essere la situazione attuale in cui sempre più spesso gli interessi particolari hanno il sopravvento su quelli di ordine generale.
Se la democrazia diretta non è oggi proponibile, non di meno nella società si fa sempre più marcata la domanda di partecipazione, una domanda legittima che potrebbe colmare il divario oggi esistente tra cittadini e istituzioni. Non si tratta di sostituire la democrazia rappresentativa con altro, ma di integrarla. Per realizzare tale obiettivo, i principali strumenti consistono nei referendum, nel decentramento con il potenziamento delle autonomie locali, nella sussidiarietà, nella concertazione con i corpi intermedi, nel dialogo con le varie associazioni di cittadini. La Svizzera già oggi è un buon esempio di Paese avviato verso la democrazia partecipativa.
Ma la partecipazione dei cittadini alla vita politica e alla gestione della cosa pubblica nelle forme sopraindicate non è un obiettivo condiviso da tutti. Ci sono infatti quanti ritengono che non abbia senso cercare di realizzare una maggiore partecipazione dei cittadini, coinvolgendoli nelle decisioni, se la loro attenzione è rivolta prevalentemente ai propri personali progetti di vita, ciò che non dà spazio all'impegno politico. Per altri, ogni processo partecipato rallenta le decisioni, e questo non è sopportabile in un Paese dove i tempi operativi sono già lunghissimi. Oggi, inoltre, a seguito dei contrasti tra Ministero della sanità e autorità sanitarie regionali emersi nel corso della pandemia, si fa diffusamente sentire la domanda di un ritorno al centralismo, una soluzione che soffocherebbe ogni possibilità di partecipazione.
Posizioni miopi, perché appare evidente che ci sono problemi che condizionano la vita delle persone, affrontabili solo con iniziative in grado di coinvolgerle.
La democrazia (che Tocqueville vedeva avanzare con forza travolgente) oggi appare in fase di indebolimento, come svuotata del suo elemento più vitale, la fiducia dei cittadini. A determinare tale declino, ci sono fattori di ordine generale. Fra questi: il prevalere delle motivazioni economiche (fino a diventare il riferimento esclusivo) nella definizione delle scelte nei più svariati ambiti; uno sviluppo tecnico-scientifico mosso dalla sola razionalità strumentale che produce effetti e situazioni sempre meno controllabili e gestibili. Inoltre, la democrazia non può essere separata dall'esercizio della sovranità che compete a ogni ente di governo, lo Stato in primis. Questa può riguardare la dimensione nazionale o essere delegata, in una qualche misura, ad organismi sovraordinati (ad esempio la UE) purché siano in grado di esercitarla effettivamente, dotandosi degli strumenti necessari, e senza piegarsi a quei poteri che operano in un mondo senza confini e al di fuori di ogni controllo. Dall'insieme di tali fattori, emerge che, ad imporsi, sono sempre più il mercato e la tecnica facendo della politica e quindi della democrazia parole vuote di significato.
Poi, a peggiorare la situazione, ci mette del suo anche la politica-partitica. Si sta assistendo a una crescente polarizzazione della società. che conduce al deterioramento dei processi democratici. Lo scontro tra partiti sta spegnendo il confronto fra progetti e proposte, uccide il dialogo o il semplice dibattito argomentato. Viene meno, in tal modo, la corretta dialettica fra governo e opposizione, e lo scontro investe anche le relazioni tra potere centrale e istituzioni periferiche, quando rette da forze politiche in minoranza nel Parlamento nazionale. Secondo Sabino Cassese, lo scontro tra partiti diventa uno scontro tra enti pubblici (Stato, Regioni, Municipi).
Non deve stupire che tra la gente si diffonda l'idea, o la una sensazione, che le istituzioni democratiche si siano dimostrate impotenti nei confronti di una pandemia che le ha colte impreparate ad affrontarla. In questa situazione, viene da chiedersi come si potrà mai riprendere il controllo di quel “bisonte impazzito” che nell'immagine di Anthony Giddens rappresenta l'insieme delle criticità determinatesi nella postmodernità.
Se vogliamo contrastare il declino della democrazia, dovremmo concentrare l'attenzione su quei fattori ora descritti che ne provocano l'indebolimento, piuttosto che su aspetti tutto sommato marginali (come, ad esempio, il sistema elettorale), ai quali è invece rivolta prevalentemente l'attenzione del mondo politico e mediatico.
Posso concordare che nel mondo attuale la democrazia diretta non sia proponibile, ma chiediamoci il perché, in quanto si tratta di una questione importante che va oltre le beghe interne ancora presenti in materia nel movimento grillino.
In genere, il primo argomento introdotto, per negarne l'attualità, riguarda la dimensione degli Stati moderni rispetto alle poleis elleniche. Già Aristotele diceva che, oltre ad una certa dimensione, la democrazia non è possibile. Tuttavia, questo non è l'ostacolo principale all'esercizio della democrazia diretta.
Ha scritto Cornelius Castoriadis che, nell'Atene di Pericle, il numero di cittadini (maschi adulti) atti a partecipare alle assemblee era di oltre 40.000, corrispondente a una popolazione di più di 200.000 abitanti. Oggi, in Europa, la più parte dei municipi ha un numero di abitanti inferiore a tale quantità. Inoltre, i mezzi informatici odierni possono consentire di trovare soluzioni adatte al fine di gestire una “agorà” di grande dimensione. In teoria, sarebbe quindi possibile, almeno in certi ambiti, superare l'ostacolo costituito dal fattore dimensionale.
Un altro argomento, talora introdotto per mostrare i limiti della democrazia diretta, fa riferimento alla funzione formativa ed educativa svolta, nelle democrazie rappresentative, dai partiti mediante il dibattito che caratterizza la loro vita interna, e quello che accompagna le periodiche campagne elettorali. In realtà, questa esigenza di formare il cittadino alla vita politica non è una caratteristica della sola democrazia rappresentativa: vale e può essere assolta in ogni tipo di democrazia, sia essa rappresentativa o diretta. Purtroppo oggi le persone restano lontane dalla politica, e il dibattito langue: ci sono sempre meno luoghi in cui svolgerlo (sezioni di partito, strutture sindacali, club con interessi politici, ecc.), mentre ciò che avviene nei “social media” non ha nulla a che fare con il dibattito, o con un confronto di idee.
Comunque, credo anch'io che oggi la democrazia diretta non sia proponibile, e il motivo continua ad essere quello già individuato, quasi due secoli fa, da Benjamin Constant quando confronta la libertà degli antichi a quella dei moderni.
Nelle poleis elleniche, tutti i cittadini (maschi) erano impegnati nella gestione della città-stato (dalle attività militari ai comuni problemi quotidiani). Era un compito molto pesante che assorbiva in larga misura le energie dei cittadini. Ma questi si sentivano realizzati proprio nella partecipazione alla vita della comunità, i cui interessi prevalevano su quelli personali.
Con la modernità, si è affermata una radicale distinzione tra sfera pubblica e sfera privata, e l’attenzione prevalente dei cittadini riguarda la seconda: non c’è più la comunità entro cui la persona si realizzava come essere umano integrale; ciascuno è preso dal proprio personale progetto di vita, e non intende impegnare le proprie forze e il proprio tempo nella soluzione dei problemi della società, sempre meno sentiti come problemi comuni. Non a caso la difesa è diventata compito di soldati di mestiere, e la politica è riservata a professionisti: in particolare riguardo a quest'ultima, quando scendono in campo i dilettanti, i risultati lasciano a desiderare...
Ci sono poi altri aspetti da considerare che spiegano l'inattualità della democrazia diretta.
La democrazia diretta si basava sull'omogeneità delle comunità politiche che l'avevano espressa: persone che provenivano da uno stesso ceppo, etnia, cultura e dallo stesso suolo, persone che avevano valori comuni. Questo fatto si traduceva in una visione condivisa del bene della comunità, e consentiva l'unità della decisione politica. Nel mondo moderno, non c'è più omogeneità culturale, sociale, economica, ma la società è formata da persone, gruppi, categorie sovente di diversa cultura o religione, con differenti esigenze e modalità di vita. Le decisioni politiche devono tenere conto delle aspettative espresse da una società complessa e diversificata.
Inoltre, nelle poleis, le decisioni politiche riguardavano le sole scelte tese a realizzare il bene della città. Gli interessi particolari (di persone, gruppi ecc.) non erano considerati. Secondo Aristotele (dice ancora Castoriadis), nelle leggi ateniesi, c'era una disposizione che, sulla decisione se fare o meno la guerra contro una città limitrofa, non consentiva ai cittadini abitanti nella zona di frontiera di partecipare al voto, perché non potevano votare onestamente, dimenticando che i loro possedimenti sarebbero stati distrutti, e mettendo così il proprio interesse personale davanti agli interessi della collettività. Nella moderna democrazia, la politica invece deve trovare soluzioni di compromesso tra le differenti esigenze dei vari gruppi, delle differenti categorie, dei molti territori che fanno parte dello Stato. I rappresentanti che siedono nel Parlamento sono principalmente rappresentanti di interessi particolari. Un fatto ritenuto positivo poiché nasce dalla convinzione che gli interessi conflittuali, presenti normalmente nella società, portati nelle sedi deliberative, possano essere negoziati per giungere a soluzioni di compromesso utili per l'intera società. Il risultato tuttavia può essere la situazione attuale in cui sempre più spesso gli interessi particolari hanno il sopravvento su quelli di ordine generale.
Se la democrazia diretta non è oggi proponibile, non di meno nella società si fa sempre più marcata la domanda di partecipazione, una domanda legittima che potrebbe colmare il divario oggi esistente tra cittadini e istituzioni. Non si tratta di sostituire la democrazia rappresentativa con altro, ma di integrarla. Per realizzare tale obiettivo, i principali strumenti consistono nei referendum, nel decentramento con il potenziamento delle autonomie locali, nella sussidiarietà, nella concertazione con i corpi intermedi, nel dialogo con le varie associazioni di cittadini. La Svizzera già oggi è un buon esempio di Paese avviato verso la democrazia partecipativa.
Ma la partecipazione dei cittadini alla vita politica e alla gestione della cosa pubblica nelle forme sopraindicate non è un obiettivo condiviso da tutti. Ci sono infatti quanti ritengono che non abbia senso cercare di realizzare una maggiore partecipazione dei cittadini, coinvolgendoli nelle decisioni, se la loro attenzione è rivolta prevalentemente ai propri personali progetti di vita, ciò che non dà spazio all'impegno politico. Per altri, ogni processo partecipato rallenta le decisioni, e questo non è sopportabile in un Paese dove i tempi operativi sono già lunghissimi. Oggi, inoltre, a seguito dei contrasti tra Ministero della sanità e autorità sanitarie regionali emersi nel corso della pandemia, si fa diffusamente sentire la domanda di un ritorno al centralismo, una soluzione che soffocherebbe ogni possibilità di partecipazione.
Posizioni miopi, perché appare evidente che ci sono problemi che condizionano la vita delle persone, affrontabili solo con iniziative in grado di coinvolgerle.
La democrazia (che Tocqueville vedeva avanzare con forza travolgente) oggi appare in fase di indebolimento, come svuotata del suo elemento più vitale, la fiducia dei cittadini. A determinare tale declino, ci sono fattori di ordine generale. Fra questi: il prevalere delle motivazioni economiche (fino a diventare il riferimento esclusivo) nella definizione delle scelte nei più svariati ambiti; uno sviluppo tecnico-scientifico mosso dalla sola razionalità strumentale che produce effetti e situazioni sempre meno controllabili e gestibili. Inoltre, la democrazia non può essere separata dall'esercizio della sovranità che compete a ogni ente di governo, lo Stato in primis. Questa può riguardare la dimensione nazionale o essere delegata, in una qualche misura, ad organismi sovraordinati (ad esempio la UE) purché siano in grado di esercitarla effettivamente, dotandosi degli strumenti necessari, e senza piegarsi a quei poteri che operano in un mondo senza confini e al di fuori di ogni controllo. Dall'insieme di tali fattori, emerge che, ad imporsi, sono sempre più il mercato e la tecnica facendo della politica e quindi della democrazia parole vuote di significato.
Poi, a peggiorare la situazione, ci mette del suo anche la politica-partitica. Si sta assistendo a una crescente polarizzazione della società. che conduce al deterioramento dei processi democratici. Lo scontro tra partiti sta spegnendo il confronto fra progetti e proposte, uccide il dialogo o il semplice dibattito argomentato. Viene meno, in tal modo, la corretta dialettica fra governo e opposizione, e lo scontro investe anche le relazioni tra potere centrale e istituzioni periferiche, quando rette da forze politiche in minoranza nel Parlamento nazionale. Secondo Sabino Cassese, lo scontro tra partiti diventa uno scontro tra enti pubblici (Stato, Regioni, Municipi).
Non deve stupire che tra la gente si diffonda l'idea, o la una sensazione, che le istituzioni democratiche si siano dimostrate impotenti nei confronti di una pandemia che le ha colte impreparate ad affrontarla. In questa situazione, viene da chiedersi come si potrà mai riprendere il controllo di quel “bisonte impazzito” che nell'immagine di Anthony Giddens rappresenta l'insieme delle criticità determinatesi nella postmodernità.
Se vogliamo contrastare il declino della democrazia, dovremmo concentrare l'attenzione su quei fattori ora descritti che ne provocano l'indebolimento, piuttosto che su aspetti tutto sommato marginali (come, ad esempio, il sistema elettorale), ai quali è invece rivolta prevalentemente l'attenzione del mondo politico e mediatico.
Chiedo alla redazione, previo il consenso dell’ autore, se non è possibile trasferire al patrimonio comune di INSIEME gli scritti dell’amico Ladetto, per il loro intrinseco valore didattico.
Giuste considerazioni, opportuno oggetto di studio affinchè della democrazia diretta si possano approfondire effettivi singoli punti di realizzabilità. Ma occorre allo scopo ben altro approfondimento che la superficiale sloganistica facile e deludente del M5s e di altri. Sono per farne ampio oggetto di attenzione formativa, anche.
Il pezzo di Ladetto è di grandissimo interesse, si presterebbe a un dibattito molto utile, oltre che interessante. In fondo si tratta non di sconfessare la politica, anche se al punto in cui si è giunti il sentimento dell’uomo normale sarebbe quello di cancellare la politica (e i politici), ma di “aggiornare” l’esercizio della politica ai tempi attuali e senza smarrire per strada i valori insiti nel diritto di ogni persona. In pratica, oltre al dilemma, fondamentale, di orientare le regole su democrazia rappresentativa piuttosto che diretta, e tutto quanto vi è addentellato (come il sistema elettorale), si sente da sempre la carenza di autorevolezza dei primi attori della politica, ossia i partiti, e questa manca perchè non si è mai coagulato il minimo comune denominatore del dare a questi, i partiti, quelle regole democratiche che il Costituente ha sancito col famosissimo art.49 non mai attuato. Perchè? Si preferisce alle regole un far west che permetta di operare col solo obiettivo della propria convenienza e non volerne sapere di gareggiare, ogni partito, col bagaglio delle idee e delle posizioni che ogni gruppo politico matura al proprio interno con metodo democratico. Ma è mai possibile che chi ha la presunzione di guidare uno Stato democratico non eserciti la democrazia già dal proprio interno? Da che pulpito…. Assistiamo a dei capi partito che da un momento all’altro cambiano idea solo “guardandosi nello specchio”; e i loro iscritti? Devono accettare! Ormai è la regola! Non volere scientemente applicare ciò che la Costituzione vuole per i partiti, e tutti d’accordo, è una sorta di associazione a delinquere politica, e nessuno fa rivoluzioni. E’, questo dell’art.49 Costituzione, che anche il profondo testo di Ladetto non sfiora. Si pensa di poterne fare a meno? Sarebbe assai grave.
La democrazia diretta evidentemente non può che essere riservata ai pochissimi concetti basilari della vita di insieme. Giustamente la determinazione e la gestione delle aggiunte o modifiche delle regole è appannaggio dei referendum nazionali. Per tutto il resto rimane giusto la delega ai rappresentanti del popolo con apposite elezioni. Le istituzioni rappresentative attuali, però sono troppo frammentate sotto forma Parlamento, regioni, Città metropolitane (ex Province), Comuni, Circoscrizioni, ecc.: Poi ci sono, i Consorzi, comitati, ecc. Inoltre per i problemi tra Nazioni ci sono altre istituzioni europee, mondiali ecc. Commento: troppa gente per valutare e troppe valutazioni da gestire!
In ambito nazionale per gestire la cosa pubblica credo siano necessarie SOLO due istituzioni : Il Parlamento e i Comuni. Tutti gli altri dovrebbero essere eliminati e questo per garantire parità di trattamento a tutti i cittadini. Le Regioni in particolare , costituite all’epoca con solo 5 voti in più di maggioranza al referendum nazionale, ha portato a tentativi di spezzettamento nazionale e disparità di fruizione di servizi in relazione alle differenti capacità gestionale dei vari eletti Presidenti. Vedi Sanità, Scuola, Viabilità, ecc.
Mi unisco ai complimenti per l’ennesimo articolo di grande valore dell’amico Beppe Ladetto, una delle nostre firme più lette e apprezzate. Ne evidenzio però un inciso nel periodo di chiusura che non mi trova d’accordo, e su cui sarebbe utile un futuro approfondimento: il sistema elettorale non è per nulla marginale nella struttura del quadro politico. Ho al contrario maturato la convinzione che sia anche (non solo, ovviamente) il sistema elettorale a determinare la qualità della democrazia, come da ultimo ci dimostra il degrado della nostra politica dopo decenni di maggioritario e nominati.