160 anni di Unità



Aldo Novellini    17 Marzo 2021       0

Dovrebbe essere tra le nostre feste in calendario e invece non vi compare. Strano destino quello del 17 marzo, giorno in cui nel 1861 venne proclamato il Regno d’Italia. Eppure, a ben vedere, l’unità nazionale è il presupposto per tutto il resto: dalla Liberazione (25 aprile) alla nascita della Repubblica (2 giugno). Senza uno Stato unitario nulla avrebbe senso.

Dietro questa trascuratezza - che negli ultimi anni sta venendo in qualche modo emendata – può forse scorgersi la reticenza di dover ammettere il ruolo di casa Savoia nella straordinaria vicenda risorgimentale che ha portato all’Unità o chissà cos'altro.

Sia come sia, questa è la nostra storia e fermarsi a riflettere sui suoi principali momenti è doveroso e necessario. Doveroso perché ci fa ricordare chi siamo e da dove veniamo; necessario perché fornisce un senso al nostro cammino futuro che peraltro, è ormai intimamente legato, e non potrebbe essere diverso, al grande percorso di integrazione europea.

In ogni modo 160 anni fa veniva proclamato il regno d’Italia affidandone la corona a Vittorio Emanuele. E qui sorse subito un problema. Il Re volle mantenere il titolo di “secondo”, in segno di continuità dinastica, invece che assumere quello di “primo”, come avrebbe richiesto la solennità del momento: la nascita di uno Stato italiano unitario dopo quindici secoli di divisioni.

Alla completa unità certo mancava il Veneto, Roma non era ancora capitale e per raggiungere le frontiere naturali, con il Trentino e la Venezia Giulia, si sarebbe dovuto aspettare più di mezzo secolo. Però, può dirsi che il più era fatto. A pensarci quasi un miracolo che in appena due anni - tanti ne corrono tra la Seconda guerra di indipendenza del 1859 e il marzo 1861 – si sia potuta compiere un’opera di questa levatura. Un’eccezionale sequenza di eventi aveva condotto quello che, doveva essere un semplice allargamento del regno Sardo alla sola Lombardia addirittura all’unificazione di tutta la penisola. Uno dopo l’altro gli stati dell’Italia centrale chiesero infatti l’annessione al Piemonte sabaudo e poi Garibaldi con l’impresa dei Mille fece il resto, regalando a Vittorio Emanuele tutto il Mezzogiorno.

Certo erano immensi i problemi irrisolti, da un’economia arretrata a comunicazioni scadenti ad un analfabetismo di massa. Il processo risorgimentale, guidato dalla borghesia non aveva coinvolto in alcun modo le masse popolari e, per di più, i cattolici, stragrande maggioranza del Paese, risultarono quasi del tutto estranei alla vicenda. L’Italia liberale nasceva elitaria e tale sarebbe rimasta per lunghi decenni: uno Stato non sentito come proprio da ampi strati della popolazione. Carenze e lacune che soltanto le istituzioni democratiche hanno consentito di colmare. E forse neppure completamente.

Al di là di tutti i suoi limiti - al tempo stesso politici, economici e culturali - l’unificazione segna non solo il momento fondante della nostra storia ma anche un importante caposaldo per il continente europeo. In quel 1861 un nuovo Stato si affacciava sullo scacchiere europeo, del quale Francia, Austria ed Inghilterra erano i pezzi maestri, e la sua presenza avrebbe mutato i futuri equilibri del continente. Per noi fu l’inizio di un lungo cammino che da Paese arretrato ci ha portato a divenire una delle nazioni più sviluppate del mondo. Un cammino di cui essere orgogliosi.


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