A Conte neanche l’onore delle armi



Aldo Novellini    10 Marzo 2021       4

Nei giorni in cui, si è celebrato l'approdo di Mario Draghi alla presidenza del Consiglio, non si è trovato il modo di salutare degnamente Giuseppe Conte in partenza da palazzo Chigi. All'uomo politico che ha guidato l'Italia in mezzo alla bufera pandemica non è stato neanche concesso l'onore delle armi. Eppure l'”avvocato del popolo” si è trovato a fronteggiare un'emergenza sanitaria, economica e sociale con la quale nessun altro capo del governo del passato ha dovuto confrontarsi.

Solo Alcide De Gasperi con la ricostruzione post bellica ha vissuto un contesto per alcuni versi analogo. E c'è da credere che ben pochi tra i premier di questo settantennio repubblicano (ma la considerazione vale anche per i decenni della monarchia sabauda) sarebbero stati capaci di fare davvero tanto meglio del giurista di Volturara Appula. Anzi, molti dei suoi predecessori, forse avrebbero fatto persino peggio.

Eppure ben poca è stata la considerazione per quanto affrontato dal premier giallo-rosso in quest'ultimo anno. Forse si è ritenuto che il suo secondo governo fosse una parentesi da chiudere prima possibile o che magari non si sarebbe neanche dovuta aprire. Sembra prevalere una volontà di rimuovere del tutto questa esperienza politica, relegandola ad esperimento da non ripetere. Stupisce questo atteggiamento. O meglio non stupisce affatto, in un Paese - come il nostro – dove si è sempre pronti a saltare sul carro dei vincitori, oggi rappresentato da quello, quanto mai affollato, di Mario Draghi.

Poi, certamente, di errori l'esecutivo giallo-rosso ne ha commessi. I banchi con le rotelle resteranno negli annali di una politica quanto meno approssimativa. Rimane poi misteriosa la fine del piano Colao, dapprima magnificato come un documento quasi rivoluzionario, sui problemi del Paese e sulle soluzioni per risolversli, e poi finito chissà come in fondo a qualche cassetto ministeriale.

Detto tutto questo va però anche preso in esame il contesto generale. Quello di una grave pandemia che ha assediato il Paese cambiando - da noi come in tutto il mondo - i connotati della normale politica. In ogni modo adesso i “dilettanti” in larga parte se ne sono andati, anche se alcuni di essi sono rimasti al loro posto. Segno che tanto scarsi non lo erano affatto.

Vediamo dunque cosa faranno i successori, forti peraltro di 209 miliardi di risorse europee ottenute soprattutto grazie all'impegno di Conte e del ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri. Fossimo in Draghi saremmo preoccupati delle enormi aspettative attorno al suo governo. Il rischio delusione è appena dietro l'angolo e chi oggi si prodiga in un mucchio di elogi sarà il primo a trasformarsi nel più arcigno dei censori.

Si può star certi che l'ex presidente della Bce, perfettamente aduso alle dinamiche della politica, sia ben conscio di come stanno le cose e c'è da sperare che l'unità nazionale – questa sì il vero e solo grande passo in avanti rispetto alla ristretta alleanza giallo-rossa – possa rappresentare un buon argine contro la demagogia di chi crede che il governo disponga sempre di una bacchetta magica.

Per questo è positivo che il leader leghista Matteo Salvini faccia parte della nuova maggioranza. Almeno non ascolteremo più - tutte le sere su tutti i telegiornali - la solita litania contro un Governo che dovrebbe dimettersi a prescindere.


4 Commenti

  1. Egr. A. Novellini,
    bisogna certamente riconoscere che Conte con il suo governo si è trovato di fronte ad una situazione, quella della pandemia, inaspettata, grave e compromettente tutte le attività del paese. Detto questo non mi sento però di dover riconoscere altri meriti a Conte, a parte quello di essersi abbarbicato al portiere. Il confronto con le situazioni del tutto sovrapponibili di altre nazioni, dentro e fuori dall’EU, è assolutamente impietoso e condannano Conte e il suo governo per inefficienza, impreparazione e incapacità gestionali. Quello in cui Conte e i suoi del governo hanno certamente eccelso è nell’abbondanza incontrollabile di parole e di promesse e di vanto. Ma appunto solo parole e promesse e vanti! Se un merito ha Renzi, e questo ce l’ha, sta proprio nell’aver provocato il licenziamento di Conte e di aver permesso al Presidente di affidare il paese a mani esperte, con grande credito internazionale e di capacità gestionali già dimostrate. Anche se purtroppo tardivamente credo che sai stata una gran fortuna dell’Italia aver mandato a casa Conte e aver a disposizione Draghi.
    Auguri

  2. Caro Daniele, hai pienamente ragione a dire che paragonare Conte a De Gasperi sarebbe fuori misura. Ma infatti io non ho paragonato le persone, lo statista trentino con l'”avvocato del popolo”, bensì la situazione in cui si sono trovati. Ed è fuori di dubbio che tra tutti i presidenti del Consiglio, solo Conte e De Gasperi hanno dovuto affrontare una vera e propria emergenza nazionale, rispettivamente la ricostruzione post bellica e, per l’appunto, il Covid.

  3. “La situazione” in cui un governante viene a trovarsi non dipende da lui. È il caso, le circostanze storiche, una serie di fatti concomitanti improvvisi e inaspettati che gli prospettano quella particolare situazione. De Gasperi non è ricordato come statista perché si è trovato davanti la situazione post-bellica, ma per come l’ha affrontata. Quando vedo, nella mia città, circolare dei “marcantoni” di venticinque-trent’anni, sprizzanti salute e spensieratezza da tutti i pori su quegli affari semoventi a due rotelle e penso a quelle categorie sociali che più hanno pagato e pagano il peso della pandemia… ecco il mio pensiero si rivolge affettuoso e riconoscente a Giuseppe Conte.

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