Sono trascorsi trentatré anni dalla morte di Gervasio Pagani, scomparso nel luglio 1987 a soli trentasette anni con la sua famiglia in un incidente stradale, al ritorno dalle vacanze. Egli fu esponente di una nuova – forse l’ultima – generazione di politici democristiani, che, pur formatasi secondo i canoni culturali del tempo, avvertì con lucidità i limiti e i pericoli di quella stagione e tentò (invano) di contrastarla promuovendo un rinnovamento radicale del partito. Di quella generazione Gervasio Pagani fu una promessa, un potenziale leader, e non a caso, a soli trentun anni, divenne a Brescia segretario provinciale del partito.
Michele Busi ha curato un volume che raccoglie alcuni suoi scritti del decennio 1977-1987, anno della sua scomparsa (Per un rinnovamento della politica. Scritti 1977-1987, GAM editrice, Rudiano 2020). Quarantuno articoli – introdotti da una pregevole introduzione in cui il curatore mette a fuoco il contesto di quegli anni – che spaziano dalla politica scolastica alle questioni sindacali, dalla situazione politica generale alle vicende interne, nazionali e locali, della Democrazia cristiana.
La breve, ma intensa, esperienza politica di Gervasio Pagani è coincisa con gli anni Settanta, segnati dal terrorismo rosso e nero e, poi, con buona parte degli anni Ottanta: anni in cui il Paese voltò sì pagina rispetto al decennio precedente, ma imboccando una strada – quella dell’esplosione del debito pubblico, della partitocrazia, del correntismo e del tatticismo politico esasperato; per non dire della corruzione, della concussione e del finanziamento pubblico ai partiti – che produsse nel Paese una forte crescita economica, ma nel contempo pose le premesse per la grave crisi politica e istituzionale degli anni Novanta, che, in qualche modo, stiamo vivendo ancora oggi.
Gervasio Pagani fu pienamente immerso nei problemi del suo tempo: un accordo congressuale, una battaglia sindacale, una nuova legislazione per la scuola; fu, nella sua militanza, fedele al suo partito e alle sue dinamiche. Questo tuttavia non gli impedì di percepire l’incedere a grandi passi della crisi dei partiti tradizionali, in un quadro nazionale e internazionale in rapida trasformazione, e di farsi interprete e promotore appassionato di una proposta di rinnovamento (da qui il titolo che il curatore ha scelto appropriatamente per titolare la raccolta di scritti). Egli combatté la sua battaglia per una Democrazia cristiana rinnovata, all’altezza delle aspettative popolari, libera da logiche di corrente e, perciò, capace di dialogare con la società civile: obiettivo essenziale per un partito popolare come la DC; e analogo atteggiamento riservò al sindacato, che conobbe in quegli anni – dopo la marcia dei 40.000 di Torino – una trasformazione radicale di cui non si percepiva ancora, a quel tempo, l’esito.
Sorprende, a distanza di decenni, la profondità di Gervasio Pagani nell’analizzare, senza reticenze e senza retorica, il contesto politico e i risvolti socio-economici.
E se è pur vero che, in alcuni passaggi, il suo linguaggio (in un’epoca, come l’attuale, della comunicazione social) sembra superato, tuttavia le pagine che Pagani ci ha lasciato rappresentano una testimonianza preziosa, oltre che, per alcuni profili, anche profetica, di un
modo di fare e di riflettere sulla politica – analitico, severo, attento ai problemi sociali della produzione, delle relazioni industriali e sindacali e della crescita economica – che i partiti di oggi sembrano aver perduto, ma il cui venir meno è ragione non secondaria della crisi che il sistema politico sta attraversando.
Sarebbe vano, oggi, illudersi di riproporre quel linguaggio e l’analisi politica che lo supportava. Mancano, innanzitutto, le motivazioni, il clima culturale, le occasioni per questo genere di riflessioni. E tuttavia la lezione di Gervasio Pagani proposta da Busi è ancora viva. Contiene infatti un monito: qualunque scorciatoia, qualunque semplificazione dei problemi complessi che la politica propone si traducono in populismo, demagogia e, a ben vedere, in una pericolosa minaccia alla democrazia.
Michele Busi ha curato un volume che raccoglie alcuni suoi scritti del decennio 1977-1987, anno della sua scomparsa (Per un rinnovamento della politica. Scritti 1977-1987, GAM editrice, Rudiano 2020). Quarantuno articoli – introdotti da una pregevole introduzione in cui il curatore mette a fuoco il contesto di quegli anni – che spaziano dalla politica scolastica alle questioni sindacali, dalla situazione politica generale alle vicende interne, nazionali e locali, della Democrazia cristiana.
La breve, ma intensa, esperienza politica di Gervasio Pagani è coincisa con gli anni Settanta, segnati dal terrorismo rosso e nero e, poi, con buona parte degli anni Ottanta: anni in cui il Paese voltò sì pagina rispetto al decennio precedente, ma imboccando una strada – quella dell’esplosione del debito pubblico, della partitocrazia, del correntismo e del tatticismo politico esasperato; per non dire della corruzione, della concussione e del finanziamento pubblico ai partiti – che produsse nel Paese una forte crescita economica, ma nel contempo pose le premesse per la grave crisi politica e istituzionale degli anni Novanta, che, in qualche modo, stiamo vivendo ancora oggi.
Gervasio Pagani fu pienamente immerso nei problemi del suo tempo: un accordo congressuale, una battaglia sindacale, una nuova legislazione per la scuola; fu, nella sua militanza, fedele al suo partito e alle sue dinamiche. Questo tuttavia non gli impedì di percepire l’incedere a grandi passi della crisi dei partiti tradizionali, in un quadro nazionale e internazionale in rapida trasformazione, e di farsi interprete e promotore appassionato di una proposta di rinnovamento (da qui il titolo che il curatore ha scelto appropriatamente per titolare la raccolta di scritti). Egli combatté la sua battaglia per una Democrazia cristiana rinnovata, all’altezza delle aspettative popolari, libera da logiche di corrente e, perciò, capace di dialogare con la società civile: obiettivo essenziale per un partito popolare come la DC; e analogo atteggiamento riservò al sindacato, che conobbe in quegli anni – dopo la marcia dei 40.000 di Torino – una trasformazione radicale di cui non si percepiva ancora, a quel tempo, l’esito.
Sorprende, a distanza di decenni, la profondità di Gervasio Pagani nell’analizzare, senza reticenze e senza retorica, il contesto politico e i risvolti socio-economici.
E se è pur vero che, in alcuni passaggi, il suo linguaggio (in un’epoca, come l’attuale, della comunicazione social) sembra superato, tuttavia le pagine che Pagani ci ha lasciato rappresentano una testimonianza preziosa, oltre che, per alcuni profili, anche profetica, di un
modo di fare e di riflettere sulla politica – analitico, severo, attento ai problemi sociali della produzione, delle relazioni industriali e sindacali e della crescita economica – che i partiti di oggi sembrano aver perduto, ma il cui venir meno è ragione non secondaria della crisi che il sistema politico sta attraversando.
Sarebbe vano, oggi, illudersi di riproporre quel linguaggio e l’analisi politica che lo supportava. Mancano, innanzitutto, le motivazioni, il clima culturale, le occasioni per questo genere di riflessioni. E tuttavia la lezione di Gervasio Pagani proposta da Busi è ancora viva. Contiene infatti un monito: qualunque scorciatoia, qualunque semplificazione dei problemi complessi che la politica propone si traducono in populismo, demagogia e, a ben vedere, in una pericolosa minaccia alla democrazia.
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