Nell'autunno scorso, Emmanuel Macron è stato intervistato da Gilles Gressani, Mathéo Malik e Ramona Bloj, per la rivista di geopolitica “Le Grand Continent” dell'Istituto Normale di Parigi. Un ampio estratto dell'intervista è stato pubblicato sul “Corriere della Sera” del 16 novembre 2020. Si tratta di un'intervista importante perché le cose dette forniscono una rappresentazione del quadro internazionale di rottura con quanto solitamente disegnato nel nostro Paese.
Sintetizzo quanto ho colto dall'estratto della lunga e articolata intervista.
In primo luogo, bisogna prendere atto che gli ambiti della cooperazione multilaterale sono diventati fragili perché bloccati. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite non produce più soluzioni utili. Siamo di fronte a una crisi del quadro multilaterale creatosi nel 1945, crisi di efficacia, e crisi dell'universalità dei valori sanciti dalle Nazioni Unite: i diritti dell'Uomo vengono relativizzati, mentre le generazioni nate dopo il 1989, non avendo vissuto la stagione dell'antitotalitarismo, lo stanno perdendo di vista.
In parallelo, viene messo in discussione quel “Washington Consensus” (l'insieme di direttive espresse da organizzazioni internazionali con sede a Washington: Fondo Monetario, Banca Mondiale, Dipartimento del Tesoro americano) che ha condizionato le politiche economiche dei Paesi occidentali e di larga parte dei Paesi in via di sviluppo: diminuzione del ruolo dello Stato, privatizzazioni, riforme strutturali, apertura delle economie attraverso il commercio, finanziarizzazione delle economie, il tutto all'interno di una logica monolitica basata sulla creazione di profitti.
Se l'economia di mercato, con la globalizzazione, ha dato luogo ad innovazioni, e costituito, in alcuni Paesi del Sud del mondo, una via di uscita dalla povertà, ha tuttavia aumentato le disuguaglianze nei nostri Paesi. Le nostre classi medie e una parte di quelle popolari hanno pagato il prezzo della globalizzazione (sono state la variabile di aggiustamento), ciò che è stato sottovalutato e si sta dimostrando insostenibile.
Assistiamo a una frattura del sistema capitalistico che deve pensare a ridurre le disuguaglianze e nel contempo far fronte al cambiamento climatico. C'è inoltre un grave problema demografico (a cui non si presta debita attenzione): la popolazione del pianeta cresce a una velocità folle. Mai nella storia, c'è stato un tale concentrato di tante criticità.
Bisogna ritrovare le modalità per una cooperazione internazionale efficace, che certo eviti la guerra, ma che consenta di rispondere alle sfide contemporanee. A tal fine, è indispensabile rafforzare e strutturare un'Europa politica per costruire un'Europa molto più forte dell'attuale che, mantenendo i suoi principi, possa farsi valere.
Cos'è l'Europa per Macron? Un'aggregazione di popoli e culture diverse eppure tenute insieme, unite, da qualche cosa di profondo. Cogliamo le nostre differenze quando siamo tra noi europei, ma sentiamo di essere europei non appena usciamo dall'Europa, e proviamo nostalgia quando la lasciamo. L'Europa è un'area geografica coerente in termini di valori, di interessi, pertanto è bene che si renda autonoma e si difenda da sé.
Fino a ieri, sovranità europea e autonomia strategica erano ritenute una follia, ma oggi nuove idee si sono imposte. In Europa, si sente l'esigenza di dare vita a una propria difesa, e di dotarsi di una autonomia tecnologica e strategica. Vogliamo un'Europa sovrana della propria difesa, in grado di combattere unita per i propri ideali contro la barbarie. Dobbiamo fare dell'Europa la prima potenza educativa, sanitaria, digitale, e verde, e riaccendere la fiaccola dei nostri principi.
Non siamo gli Stati Uniti d'America. Gli americani sono i nostri alleati storici. Con loro, abbiamo alcuni importanti riferimenti comuni (la libertà, i diritti umani), ma ne abbiamo altri (l'eguaglianza, l'importanza della cultura, il ruolo dello Stato sociale) che fanno sì che i nostri ed i loro non siano esattamente coincidenti. Inoltre, reagiamo diversamente davanti agli eventi. Siamo proiettati in un altro immaginario, e guardiamo con altri occhi al Vicino e Medio Oriente, alla Russia, all'Africa. Nei confronti di quest'ultima, dobbiamo mutare prospettiva reinventando l'asse afro-europeo. In ogni caso, la nostra politica di vicinato con tali realtà non è quella degli USA, e, pertanto, la nostra politica internazionale non può dipendere dalla loro e seguirne le orme perché abbiamo obiettivi solo parzialmente coincidenti.
Il recente cambiamento dell'amministrazione americana non muta il quadro illustrato, e non rallenterà la presa di coscienza e le iniziative europee. Chi (come il ministro della Difesa tedesco Annagret Kramp-Karrenbauer) pensa diversamente e propone la continuità con il passato multilateralismo sbaglia, perché non tiene conto della nuova situazione. Macron pensa che il cambio dell'amministrazione statunitense sia un'occasione per continuare il percorso di autonomia in modo pacifico e sereno perché gli americani dovranno capire che non può essere diversamente. Bisogna infatti affermare la nostra autonomia, come fanno del resto America e Cina.
La questione climatica è diventata per Macron (convertitosi all'ecologismo) la grande priorità, centrale nelle scelte politiche. Ma va affrontata coinvolgendo le persone perché il passaggio verso l'economia verde non è privo di pesanti conseguenze per vasti strati di popolazione.
In ogni caso, il presente è costellato di crisi. Per risolverle i Paesi devono collaborare. Mentre le grandi questioni di ordine geopolitico restano di competenza degli Stati, su quanto riguarda i beni comuni (l'ambiente, le risorse naturali, ecc.) e su una serie di problematiche internazionali, ci si deve affidare al multilateralismo. Tuttavia, quello fra i soli Stati non basta più: ad esempio, sulle nuove tecnologie è necessario coinvolgere piattaforme che si sono sviluppate al di fuori delle regole nazionali (o meglio, malgrado gli Stati), e altrettanto per la produzione e distribuzione di vaccini in epoca di pandemie.
Restano da definire le scelte e i percorsi sulle grandi questioni geopolitiche riservate agli Stati. Questo è un punto sul quale ho avuto difficoltà a cogliere una risposta chiara.
Macron sembra immaginare un'Europa autonoma e forte tra le grandi potenze di dimensione continentale e subcontinentale, un obiettivo raggiungibile solo in un mondo multipolare. Tuttavia vuole un'Europa portatrice di valori universali, in grado di contrastare il relativismo in tema di diritti umani. C'è un'evidente contraddizione in questo disegno. Come ci ha detto Henry Kissinger in World Order, un assetto multipolare, oggi il solo in grado di assicurare la pace, è fondato sulla concertazione e sull'equilibrio fra le grandi potenze. Tale assetto comporta il rispetto di quei principi (sanciti dalla pace di Vestfalia) che prevedono il mutuo riconoscimento e la pari dignità dei Paesi aderenti al patto, e quindi la rinuncia da parte di ciascuno di essi ad interferire negli affari interni degli altri, e soprattutto ad imporre i propri valori, quelli religiosi ieri, quelli ideologici oggi. Teniamo presente che chi vuol esportare la propria visione del mondo, imponendola a quanti ritiene rimasti indietro sul cammino della storia (una storia di cui pensa di conoscere il percorso) rappresenta anche oggi il maggior pericolo per la pace; suscita, inoltre, reazioni in chi subisce le imposizioni, reazioni di cui il terrorismo è la manifestazione più evidente e preoccupante.
Un altro aspetto non adeguatamente chiarito nell'intervista riguarda quale relazione ci sia tra questa auspicata Europa forte e l'attuale Unione Europea. In altre occasioni, Macron ha sostenuto che il ripristino della sovranità, di cui i singoli Stati nazionali europei sono oggi carenti, passa per la creazione di una sovranità europea mediante un processo democratico e partecipativo. Ma di fronte alla scarsa volontà di molti Paesi dell'Unione (scandinavi, “frugali”, gruppo di Visegrad e altri) di procedere in tale direzione, che cosa immagina di fare? Dare vita a un qualche tipo di unione (federale o confederale) comprendente un nucleo di Paesi europei seriamente motivati, o ritiene possibile procedere con tutti gli attuali 27 aderenti all'UE?
L'intervista, comunque, merita considerazione; esprime una visione organica delle relazioni internazionali, e mostra nel Presidente francese una notevole capacità di pensare il mondo attuale e la posizione in esso della Francia e dell'Europa.
Mi sarei aspettato, da parte dei politici di casa nostra, un qualche intervento a suo commento in relazione all'importanza del tema, alla personalità e al ruolo istituzionale di chi lo ha proposto, ma non mi sembra di aver sentito granché (anche se posso aver mancato di attenzione in proposito). Certamente sono state sollevate critiche e obiezioni da parte di personalità non direttamente impegnate nella politica-partitica.
Una questione riguarda il peso della forza militare in un mondo globalizzato dove, secondo molti, la competizione è diventata essenzialmente economica e tecnologica. Macron lo sovrastimerebbe. Tuttavia, chi si occupa di geopolitica probabilmente sarebbe d'accordo con lui, tanto più oggi quando la globalizzazione dà segni di stanchezza e suscita crescente ostilità. Inoltre, se gli americani spendono tanto in armamenti, è perché li ritengono indispensabili per garantire il ruolo del loro Paese nel mondo.
Altri hanno rilevato i limiti della Francia sul piano economico e tecnologico, limiti che non possono renderla protagonista di una impresa di tale ambizione come il farsi promotrice di un'Europa sovrana. Avrebbe necessità di coinvolgervi la Germania, che tuttavia non pare, per ora, disposta a prendere le distanze dall'America, e ad impegnarsi significativamente sul terreno militare. Ma le cose non stanno ferme e le situazioni possono cambiare.
I più hanno ribadito l'indissolubilità del legame con gli Stati Uniti, senza i quali l'Europa non sarebbe in grado di affrontare possibili minacce e tutelare i propri interessi. Un discorso ripetuto da anni, ma che non tiene conto del quadro attuale e non tocca questioni rilevanti come la divergenza di interessi, fra Europa e America, rispetto all'Africa, al Medio Oriente e alla Russia, e non solo. Dietro al voler lasciare le cose come stanno, ritengo che si nasconda l'incapacità della classe politica europea di richiedere ai cittadini dei propri Paesi di farsi carico degli oneri economici e umani, e delle rinunce che imporrebbe il rendersi autonomi e capaci di difendersi. Tuttavia, il non volere pagare oggi il costo di disporre di noi stessi, non ci eviterà di pagare oneri molto più pesanti domani, quando inevitabilmente dovremo misurarci con pericoli e difficoltà, perché nessuno ci verrà in soccorso (a partire dall'America), se non ne avrà un interesse.
Sintetizzo quanto ho colto dall'estratto della lunga e articolata intervista.
In primo luogo, bisogna prendere atto che gli ambiti della cooperazione multilaterale sono diventati fragili perché bloccati. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite non produce più soluzioni utili. Siamo di fronte a una crisi del quadro multilaterale creatosi nel 1945, crisi di efficacia, e crisi dell'universalità dei valori sanciti dalle Nazioni Unite: i diritti dell'Uomo vengono relativizzati, mentre le generazioni nate dopo il 1989, non avendo vissuto la stagione dell'antitotalitarismo, lo stanno perdendo di vista.
In parallelo, viene messo in discussione quel “Washington Consensus” (l'insieme di direttive espresse da organizzazioni internazionali con sede a Washington: Fondo Monetario, Banca Mondiale, Dipartimento del Tesoro americano) che ha condizionato le politiche economiche dei Paesi occidentali e di larga parte dei Paesi in via di sviluppo: diminuzione del ruolo dello Stato, privatizzazioni, riforme strutturali, apertura delle economie attraverso il commercio, finanziarizzazione delle economie, il tutto all'interno di una logica monolitica basata sulla creazione di profitti.
Se l'economia di mercato, con la globalizzazione, ha dato luogo ad innovazioni, e costituito, in alcuni Paesi del Sud del mondo, una via di uscita dalla povertà, ha tuttavia aumentato le disuguaglianze nei nostri Paesi. Le nostre classi medie e una parte di quelle popolari hanno pagato il prezzo della globalizzazione (sono state la variabile di aggiustamento), ciò che è stato sottovalutato e si sta dimostrando insostenibile.
Assistiamo a una frattura del sistema capitalistico che deve pensare a ridurre le disuguaglianze e nel contempo far fronte al cambiamento climatico. C'è inoltre un grave problema demografico (a cui non si presta debita attenzione): la popolazione del pianeta cresce a una velocità folle. Mai nella storia, c'è stato un tale concentrato di tante criticità.
Bisogna ritrovare le modalità per una cooperazione internazionale efficace, che certo eviti la guerra, ma che consenta di rispondere alle sfide contemporanee. A tal fine, è indispensabile rafforzare e strutturare un'Europa politica per costruire un'Europa molto più forte dell'attuale che, mantenendo i suoi principi, possa farsi valere.
Cos'è l'Europa per Macron? Un'aggregazione di popoli e culture diverse eppure tenute insieme, unite, da qualche cosa di profondo. Cogliamo le nostre differenze quando siamo tra noi europei, ma sentiamo di essere europei non appena usciamo dall'Europa, e proviamo nostalgia quando la lasciamo. L'Europa è un'area geografica coerente in termini di valori, di interessi, pertanto è bene che si renda autonoma e si difenda da sé.
Fino a ieri, sovranità europea e autonomia strategica erano ritenute una follia, ma oggi nuove idee si sono imposte. In Europa, si sente l'esigenza di dare vita a una propria difesa, e di dotarsi di una autonomia tecnologica e strategica. Vogliamo un'Europa sovrana della propria difesa, in grado di combattere unita per i propri ideali contro la barbarie. Dobbiamo fare dell'Europa la prima potenza educativa, sanitaria, digitale, e verde, e riaccendere la fiaccola dei nostri principi.
Non siamo gli Stati Uniti d'America. Gli americani sono i nostri alleati storici. Con loro, abbiamo alcuni importanti riferimenti comuni (la libertà, i diritti umani), ma ne abbiamo altri (l'eguaglianza, l'importanza della cultura, il ruolo dello Stato sociale) che fanno sì che i nostri ed i loro non siano esattamente coincidenti. Inoltre, reagiamo diversamente davanti agli eventi. Siamo proiettati in un altro immaginario, e guardiamo con altri occhi al Vicino e Medio Oriente, alla Russia, all'Africa. Nei confronti di quest'ultima, dobbiamo mutare prospettiva reinventando l'asse afro-europeo. In ogni caso, la nostra politica di vicinato con tali realtà non è quella degli USA, e, pertanto, la nostra politica internazionale non può dipendere dalla loro e seguirne le orme perché abbiamo obiettivi solo parzialmente coincidenti.
Il recente cambiamento dell'amministrazione americana non muta il quadro illustrato, e non rallenterà la presa di coscienza e le iniziative europee. Chi (come il ministro della Difesa tedesco Annagret Kramp-Karrenbauer) pensa diversamente e propone la continuità con il passato multilateralismo sbaglia, perché non tiene conto della nuova situazione. Macron pensa che il cambio dell'amministrazione statunitense sia un'occasione per continuare il percorso di autonomia in modo pacifico e sereno perché gli americani dovranno capire che non può essere diversamente. Bisogna infatti affermare la nostra autonomia, come fanno del resto America e Cina.
La questione climatica è diventata per Macron (convertitosi all'ecologismo) la grande priorità, centrale nelle scelte politiche. Ma va affrontata coinvolgendo le persone perché il passaggio verso l'economia verde non è privo di pesanti conseguenze per vasti strati di popolazione.
In ogni caso, il presente è costellato di crisi. Per risolverle i Paesi devono collaborare. Mentre le grandi questioni di ordine geopolitico restano di competenza degli Stati, su quanto riguarda i beni comuni (l'ambiente, le risorse naturali, ecc.) e su una serie di problematiche internazionali, ci si deve affidare al multilateralismo. Tuttavia, quello fra i soli Stati non basta più: ad esempio, sulle nuove tecnologie è necessario coinvolgere piattaforme che si sono sviluppate al di fuori delle regole nazionali (o meglio, malgrado gli Stati), e altrettanto per la produzione e distribuzione di vaccini in epoca di pandemie.
Restano da definire le scelte e i percorsi sulle grandi questioni geopolitiche riservate agli Stati. Questo è un punto sul quale ho avuto difficoltà a cogliere una risposta chiara.
Macron sembra immaginare un'Europa autonoma e forte tra le grandi potenze di dimensione continentale e subcontinentale, un obiettivo raggiungibile solo in un mondo multipolare. Tuttavia vuole un'Europa portatrice di valori universali, in grado di contrastare il relativismo in tema di diritti umani. C'è un'evidente contraddizione in questo disegno. Come ci ha detto Henry Kissinger in World Order, un assetto multipolare, oggi il solo in grado di assicurare la pace, è fondato sulla concertazione e sull'equilibrio fra le grandi potenze. Tale assetto comporta il rispetto di quei principi (sanciti dalla pace di Vestfalia) che prevedono il mutuo riconoscimento e la pari dignità dei Paesi aderenti al patto, e quindi la rinuncia da parte di ciascuno di essi ad interferire negli affari interni degli altri, e soprattutto ad imporre i propri valori, quelli religiosi ieri, quelli ideologici oggi. Teniamo presente che chi vuol esportare la propria visione del mondo, imponendola a quanti ritiene rimasti indietro sul cammino della storia (una storia di cui pensa di conoscere il percorso) rappresenta anche oggi il maggior pericolo per la pace; suscita, inoltre, reazioni in chi subisce le imposizioni, reazioni di cui il terrorismo è la manifestazione più evidente e preoccupante.
Un altro aspetto non adeguatamente chiarito nell'intervista riguarda quale relazione ci sia tra questa auspicata Europa forte e l'attuale Unione Europea. In altre occasioni, Macron ha sostenuto che il ripristino della sovranità, di cui i singoli Stati nazionali europei sono oggi carenti, passa per la creazione di una sovranità europea mediante un processo democratico e partecipativo. Ma di fronte alla scarsa volontà di molti Paesi dell'Unione (scandinavi, “frugali”, gruppo di Visegrad e altri) di procedere in tale direzione, che cosa immagina di fare? Dare vita a un qualche tipo di unione (federale o confederale) comprendente un nucleo di Paesi europei seriamente motivati, o ritiene possibile procedere con tutti gli attuali 27 aderenti all'UE?
L'intervista, comunque, merita considerazione; esprime una visione organica delle relazioni internazionali, e mostra nel Presidente francese una notevole capacità di pensare il mondo attuale e la posizione in esso della Francia e dell'Europa.
Mi sarei aspettato, da parte dei politici di casa nostra, un qualche intervento a suo commento in relazione all'importanza del tema, alla personalità e al ruolo istituzionale di chi lo ha proposto, ma non mi sembra di aver sentito granché (anche se posso aver mancato di attenzione in proposito). Certamente sono state sollevate critiche e obiezioni da parte di personalità non direttamente impegnate nella politica-partitica.
Una questione riguarda il peso della forza militare in un mondo globalizzato dove, secondo molti, la competizione è diventata essenzialmente economica e tecnologica. Macron lo sovrastimerebbe. Tuttavia, chi si occupa di geopolitica probabilmente sarebbe d'accordo con lui, tanto più oggi quando la globalizzazione dà segni di stanchezza e suscita crescente ostilità. Inoltre, se gli americani spendono tanto in armamenti, è perché li ritengono indispensabili per garantire il ruolo del loro Paese nel mondo.
Altri hanno rilevato i limiti della Francia sul piano economico e tecnologico, limiti che non possono renderla protagonista di una impresa di tale ambizione come il farsi promotrice di un'Europa sovrana. Avrebbe necessità di coinvolgervi la Germania, che tuttavia non pare, per ora, disposta a prendere le distanze dall'America, e ad impegnarsi significativamente sul terreno militare. Ma le cose non stanno ferme e le situazioni possono cambiare.
I più hanno ribadito l'indissolubilità del legame con gli Stati Uniti, senza i quali l'Europa non sarebbe in grado di affrontare possibili minacce e tutelare i propri interessi. Un discorso ripetuto da anni, ma che non tiene conto del quadro attuale e non tocca questioni rilevanti come la divergenza di interessi, fra Europa e America, rispetto all'Africa, al Medio Oriente e alla Russia, e non solo. Dietro al voler lasciare le cose come stanno, ritengo che si nasconda l'incapacità della classe politica europea di richiedere ai cittadini dei propri Paesi di farsi carico degli oneri economici e umani, e delle rinunce che imporrebbe il rendersi autonomi e capaci di difendersi. Tuttavia, il non volere pagare oggi il costo di disporre di noi stessi, non ci eviterà di pagare oneri molto più pesanti domani, quando inevitabilmente dovremo misurarci con pericoli e difficoltà, perché nessuno ci verrà in soccorso (a partire dall'America), se non ne avrà un interesse.
Temo che Macron in realtà voglia semplicemente e realisticamente proporsi come fiduciario degli USA nei rapporti tra questi e la UE, entità politicamente insignificante e dipendente per la propria difesa militare dagli USA (che, come dice LIMES 4/2019, si guarderà bene dal mollare l’Europa come area satellite di sua pertinenza in quanto sono gli unici terrritori nell’emisfero orientale del mondo dove sono ben collocati, specialmente dopo la vittoria “ai punti” sull’URSS).
San Giovanni Bosco diceva che quando si hanno dei dubbi su come un proprio interlocutore la pensi veramente bisogna osservare il suo comportamento. E la Francia, premacroniana o macroniana che sia, mi pare che abbia sempre mostrato di mettere al centro sempre e solo se stessa (si veda la sua partecipazione allo scherzetto fatto a suo tempo a Geddafi e l’attuale appoggio ad Aftar, tutti e due fatti in combutta con gli USA, salvo abbandonare il campo militare a favore degli USA, lo ha fatto a suo tempo in Vietnam ma lo ha fatto anche in questi mesi nel Sudsahara).
Ma, tornando alle parole, che cosa ha voluto significare la frase che Macron ha pronunciato il giorno del suo insediamento tra Marsigliesi e None di Beetoven: “L’EUROPA SIAMO NOI”?
Temo che noi italiani, abituati ad una visione che, per ragioni specifiche alla storia del nostro paese, tende ad oscillare correntemente tra il campanilismo e l’universalismo, spesso equivochiamo sulle intenzioni espresse da pastori di altri popoli la cui tradizione storica millenaria recente (e quindi il loro stesso “inconscio culturale” che ne detta in forma profonda le ambizioni politiche) diverge non poco dal nostro.
Anche fare il Quisling può essere, nel suo piccolo, una forma (sostenibile) di grandeur che dà le sue (piccole) soddisfazioni.
Domenico Accorinti non è mai incline ad un facile ottimismo. Quindi in ciò che scrive, c’è sempre molto di vero e le sue parole devono essere tenute in debita considerazione. Provo a rispondere ai suoi rilievi.
La Francia mette al centro se stessa e lo fa in modo esplicito in coerenza con la sua storia (l’inconscio culturale che ne detta in forma profonda le ambizioni politiche). Privilegia sempre i propri interessi. Ma agiscono in modo analogo, se pure più mascherato, anche altri paesi europei.
Teniamo presente che l’attitudine competitiva delle varie nazioni europee, ovvero lo sgomitare per essere sempre in prima fila, non impedisce che possano avere obiettivi comuni e condivisi, soprattutto quando questi sono di importanza vitale. Gli italiani dovrebbero seguire l’esempio di chi sa tutelare i propri interessi invece di oscillare tra campanilismo e universalismo, segno di un carente senso di appartenenza nazionale che rende il nostro paese debole a fronte degli altri europei, e lo conduce sovente a prostrarsi a quella che, di volta in volta, è la potenza dominante.
La Francia difende le sue industrie; lo Stato francese intende essere presente in quelle strategiche. Noi abbiamo privatizzato e svenduto, spesso a stranieri, quel patrimonio industriale con cui si era realizzato il miracolo italiano. Recentemente abbiamo visto cedere a stranieri Magneti Marelli, Iveco, ora pare Comau, senza battere ciglio. Altrettanto, davanti alla fusione di Fiat-Chrysler e Peugeot-Citroen, il governo italiano non dice niente (mentre quello francese si è mosso a tutela degli impianti produttivi nazionali), molti nostri quotidiani applaudono ed i sindacati giustamente si preoccupano. Chi è in difetto?
La Francia si propone come fiduciaria degli Usa nei rapporti tra questi e l’Europa? Non era certo l’intenzione di De Gaulle (che ha lasciato un forte segno nel proprio paese). Può essere quella di Macron? Forse, ma se il rapporto tra Usa ed UE vedesse in campo un qualche portavoce europeo invece di svolgersi tra America e singoli paesi (dei quali un tale rapporto squilibrato evidenzia la condizione subalterna, satellitare) sarebbe già un passo in avanti. Che poi la UE sia un’entità politicamente insignificante è verissimo, ma proprio per questo bisogna andarvi oltre, perché l’Europa non è insignificante per dimensione demografica, potenziale industriale e tecnologico, e per bagaglio culturale, anzi ha pochi eguali. Sono gli europei che devono svegliarsi perché il mondo sta cambiando, ed è inevitabile l’instaurarsi di un assetto multipolare. L’Europa può essere il solo territorio incapace di rendersi autonomo?
E’ verissimo che gli Usa si guarderanno bene dal mollare l’Europa come area loro satellite, ma l’America è in declino. La democrazia americana e il suo sistema economico non funzionano più, ha scritto recentemente Robert Reich. E’ profondamente divisa (il trumpismo non è una meteora), ed il suo appeal si fa sempre più scarso. C’è spazio per muoversi.