In America è cominciata l'era di Joe Biden. La sua presidenza si annuncia sotto il segno dell'unità e dell'inclusione. Due temi, o meglio due valori, del tutto sconosciuti al suo predecessore, Donald Trump che lascia alle sue spalle un Paese più diviso che mai. Biden dovrà mettere grande impegno per sanare le fratture che oggi dividono la nazione, assai più che in passato. Fratture tra ricchi e poveri, tra realtà urbane e località rurali, tra bianchi e neri, o più esattamente tra maggioranza wasp - bianchi, anglosassoni, protestante - e minoranze, afroamericane o ispaniche che siano.
Un compito non facile ma necessario per ricucire quel tessuto ancor più lacerato negli ultimi quattro anni ma i cui strappi già erano evidenti anche in un passato che va al di là della sola presidenza Trump. In fondo, va riconosciuto una volta per tutte, Trump non è la causa di tutto questo ma semplicemente l'effetto.
Una vasta fetta di popolazione americana ha ritenuto il magnate la possibile risposta alle proprie sofferenze, che si chiamano disuguaglianze sempre più scandalose o precarietà sociale sempre più accentuata. Dall'insicurezza esistenziale, di cui quella economica è solo una parte, nasce la voglia di sicurezza, da soddisfare anche affidandosi a ricette sbagliate o a leader inadeguati.
Su tutto questo dovrà lavorare Biden senza troppi indugi. Si tratta di ribaltare lo slogan che rese famoso Ronald Reagan, quando disse che lo Stato è il problema e non la soluzione. E' da lì che tutto è cominciato in quanto a crescita delle iniquità sociali, a partire cioè dal momento in cui si è pensato che privato è sempre bello e che spesa pubblica ed imposte sono sempre negative.
Certo, quando Reagan diceva queste cose vi era forse la necessità di una scossa in senso liberale ma nel corso dei decenni il pendolo, complice la globalizzazione, ha continuato a muoversi in quella direzione, fino all'eccesso. Un discorso che vale per gli Stati Uniti ma che potrebbe esser fatto anche per l'Europa. Bisogna avviare un riposizionamento, a favore dell'equità e della protezione sociale, che neppure Obama ha saputo mettere in moto, troppo impegnato com'era a far digerire ai suoi connazionali la storica novità di un presidente afroamericano. Quattro anni fa Trump ha catalizzato sul suo nome molte di queste paure cui nessuno ha dato retta per anni. Una lezione universale: se il centro-sinistra non offre risposte ai ceti popolari, ad approfittarne è la destra più estrema.
Adesso tocca a Biden cambiare rotta e può davvero rivelarsi il presidente giusto per farlo. E' un uomo di grande esperienza, un democratico centrista, portato al compromesso più che ad esprimere posizioni radicali, adatto a dar vita ad un progetto capace di unire il mondo progressista e i ceti moderati.
Da dove partire per questo cambiamento? Un primo segnale il neo presidente lo ha già dato, e riguarda l'ambiente con il rientro degli Stati Uniti nella Conferenza mondiale sul clima. Tutela ambientale e crescita economica viaggiando in parallelo possono fornire alle imprese notevoli opportunità di investimenti, creando nuovi posti di lavoro. Oggi l'aumento dell'occupazione può unicamente legarsi a tutto quanto ruota attorno allo sviluppo sostenibile.
Poi c'è la sanità. Gli Stati Uniti, colpiti dal Covid che Trump non ha saputo minimamente affrontare, hanno bisogno di un grande piano di emergenza sanitaria, partendo dai vaccini. E forse proprio questa evidente vulnerabilità, che è di tutti, e di fronte, ma anche al di là, della pandemia, potrebbe accrescersi nella maggioranza della popolazione la consapevolezza di quanto sia importante disporre di una sanità pubblica capace di curare in maniera universale.
Ambiente, sviluppo e sanità: le tre sfide di Biden, nel segno di uno Stato che non è più un problema ma parte della soluzione.
Un compito non facile ma necessario per ricucire quel tessuto ancor più lacerato negli ultimi quattro anni ma i cui strappi già erano evidenti anche in un passato che va al di là della sola presidenza Trump. In fondo, va riconosciuto una volta per tutte, Trump non è la causa di tutto questo ma semplicemente l'effetto.
Una vasta fetta di popolazione americana ha ritenuto il magnate la possibile risposta alle proprie sofferenze, che si chiamano disuguaglianze sempre più scandalose o precarietà sociale sempre più accentuata. Dall'insicurezza esistenziale, di cui quella economica è solo una parte, nasce la voglia di sicurezza, da soddisfare anche affidandosi a ricette sbagliate o a leader inadeguati.
Su tutto questo dovrà lavorare Biden senza troppi indugi. Si tratta di ribaltare lo slogan che rese famoso Ronald Reagan, quando disse che lo Stato è il problema e non la soluzione. E' da lì che tutto è cominciato in quanto a crescita delle iniquità sociali, a partire cioè dal momento in cui si è pensato che privato è sempre bello e che spesa pubblica ed imposte sono sempre negative.
Certo, quando Reagan diceva queste cose vi era forse la necessità di una scossa in senso liberale ma nel corso dei decenni il pendolo, complice la globalizzazione, ha continuato a muoversi in quella direzione, fino all'eccesso. Un discorso che vale per gli Stati Uniti ma che potrebbe esser fatto anche per l'Europa. Bisogna avviare un riposizionamento, a favore dell'equità e della protezione sociale, che neppure Obama ha saputo mettere in moto, troppo impegnato com'era a far digerire ai suoi connazionali la storica novità di un presidente afroamericano. Quattro anni fa Trump ha catalizzato sul suo nome molte di queste paure cui nessuno ha dato retta per anni. Una lezione universale: se il centro-sinistra non offre risposte ai ceti popolari, ad approfittarne è la destra più estrema.
Adesso tocca a Biden cambiare rotta e può davvero rivelarsi il presidente giusto per farlo. E' un uomo di grande esperienza, un democratico centrista, portato al compromesso più che ad esprimere posizioni radicali, adatto a dar vita ad un progetto capace di unire il mondo progressista e i ceti moderati.
Da dove partire per questo cambiamento? Un primo segnale il neo presidente lo ha già dato, e riguarda l'ambiente con il rientro degli Stati Uniti nella Conferenza mondiale sul clima. Tutela ambientale e crescita economica viaggiando in parallelo possono fornire alle imprese notevoli opportunità di investimenti, creando nuovi posti di lavoro. Oggi l'aumento dell'occupazione può unicamente legarsi a tutto quanto ruota attorno allo sviluppo sostenibile.
Poi c'è la sanità. Gli Stati Uniti, colpiti dal Covid che Trump non ha saputo minimamente affrontare, hanno bisogno di un grande piano di emergenza sanitaria, partendo dai vaccini. E forse proprio questa evidente vulnerabilità, che è di tutti, e di fronte, ma anche al di là, della pandemia, potrebbe accrescersi nella maggioranza della popolazione la consapevolezza di quanto sia importante disporre di una sanità pubblica capace di curare in maniera universale.
Ambiente, sviluppo e sanità: le tre sfide di Biden, nel segno di uno Stato che non è più un problema ma parte della soluzione.
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