Perché serve il proporzionale



Giancarlo Infante    25 Gennaio 2021       5

La fibrillazione politica aumenta e si ricomincia a parlare del sistema elettorale. Nessuno oggi può scommettere sulla sopravvivenza del governo Conte 2, o se arriva il Conte ter o se si va verso un esecutivo del tutto nuovo, magari del Presidente, istituzionale, di scopo. Neppure si può evitare di pensare di fare una puntata sull’ipotesi di andare ad elezioni anticipate. Qualche spiccio in più si può invece azzardare ad investire sull’arrivo di una nuova legge elettorale.

Se questo è vero, è evidente che il problema diventa quello del sistema che s’intende adottare. Angelo Panebianco ripropone quello maggioritario di cui l’autorevole editorialista del “Corriere della Sera” sembrava tempo fa essere giunto a riconoscerne l’esito fallimentare. Soprattutto perché non è riuscito a fare emergere quel fantasmagorico “centro” di cui tutti parlano, verso cui tutti s’affollano, ma per il quale, poi, per una serie infinite di ragioni, manca l’impegno nel superare particolarismi, personalismi e interessi di bottega.

Maggioritario e proporzionale, in realtà, richiamano non tanto e non solo le alchimie dei politologi e i calcoli di minor respiro fatti dagli apparati dei partiti. In realtà, raccontano due modi diversi d’immaginare il processo democratico e il diverso rilievo che s’intende dare alla governabilità o alla partecipazione. Richiamano persino una diversa visione culturale e sociale, il differente peso riconosciuto ai corpi sociali intermedi e alle specificità regionali; solo per citare i principali aspetti che definiscono il rapporto tra la politica e la realtà sociale e civile di cui essa dovrebbe essere l’emanazione.

Governabilità è un bel termine che indica, in effetti, la più prosaica gestione del potere, la scelta tra chi paga e quanto paga, la distribuzione del carico fiscale e la redistribuzione delle risorse. Il sistema elettorale maggioritario si è detto a lungo dover servire ad assicurare un margine in più di certezze per ciò che riguarda il processo decisionale. Come se poi non ci fosse il resto: leggi con testi incomprensibili e talvolta contraddittori, i loro decreti attuativi, la loro gestione vera affidata a una struttura pubblica che fa riflettere spesso sulla propria efficienza.

Secondo i sostenitori di questo presupposto, avremmo dovuto sapere la sera stessa delle elezioni in che direzione si sarebbero incamminati gli italiani. Purtroppo, non è mai stato così negli ultimi 25 anni di quella che chiamiamo la Seconda Repubblica, rivelatasi invece una continuazione della Prima, ma con un sistema elettorale diverso: il bipolarismo “all’italiana”, con un impoverimento della qualità della classe politica e della tenuta delle istituzioni, con una radicalizzazione delle divisioni tra una parte e un’altra e tra un’area e un’altra.

Cosa particolarmente grave, su cui noi insistiamo da sempre, si è cronicizzata la divisione tra eletti ed elettori. Al punto che i parlamentari non rappresentano più il corpo elettorale che li ha eletti e meno che mai i territori in cui sono stati presentati perché manca con essi ogni relazione organica e strutturata e, salvo rare lodevoli eccezioni, non ne rappresentano la voce.

Si portava a giustificazione del maggioritario la “favola” che i ripetuti cambi di governo nel corso della cosiddetta Prima Repubblica avessero impedito la governabilità. Un dato che cozza con la realtà di quel che è stata l’esperienza storica, almeno dal 1945 agli anni ’80. Perché le frequenti crisi di governo di allora, di cui quelle aperte al buio, nel senso di non prefigurarne subito superamento e sbocco, sono state davvero poche, tipo quella del governo Tambroni del ’60 e di un altro paio nella stagione del Centrosinistra. Quei riequilibri governativi erano il frutto della necessità d’introdurre adattamenti che il vertice politico introduceva in relazione alle evoluzioni economiche e sociali proprie di una fase di grande crescita e di movimento dell’Italia.

Paradossalmente, i problemi sono esplosi quando, con la caduta del Muro di Berlino e la fine del comunismo, si è pensato che i grandi partiti popolari non avessero più alcuna ragione d’essere e che si potesse tornare in qualche modo alla politica espressione più di quelli che Maurice Duverger definiva i “partiti di quadri” e a un sistema sociale piramidale. Il risultato è sotto gli occhi di tutti.

La verità è che questa inutile ricerca ossessiva di una governabilità ottenuta non accettando e sollecitando la partecipazione attiva da parte di tutte le espressioni presenti nel corpo vivo della società, ma solamente utilizzando leggi elettorali destinate alla compressione del pluralismo culturale, sociale ed economico, ha finito per dividere il Paese e, dunque, per tarparne le ali.

Irrisolti i problemi di vertice, aumentata la litigiosità politica, tenuto in piedi forzosamente un bipolarismo che viene quotidianamente smentito. Da un centrodestra che resta insieme solo per mantenere in piedi un accordo elettorale, in particolare in ambito regionale e locale, da un centrosinistra divenuto solo una parte dello schieramento alternativo alla destra e dal fenomeno del “grillismo” che ha saputo raccogliere la denuncia senza essere in grado di offrire un’ipotesi di ricostruzione. Inevitabilmente, allora, si sono aggravate le questioni che riguardano il cosiddetto “paese reale” coinvolto nella liquefazione sociale, nell’impoverimento delle relazioni personali e di quelle afferenti i corpi sociali intermedi, nella perdita di potere d’acquisto e in una sostanziale incapacità di veder recepite le proprie autonome istanze.

Abbiamo dunque bisogno di un passaggio d’epoca che diventi soprattutto l’approdo su una nuova “piattaforma” culturale e antropologica per far trovare al Paese una rinnovata unità d’intenti che non significhi l’appiattimento su di un “ pensiero unico” o la scelta di un’unica opzione politica.

La società italiana, la struttura economica, l’impianto culturale pubblico condiviso deve trovare quello che va ben oltre la proclamazione della ricerca di un generico “centro” non sostanziato da una progettualità effettiva. Si tratta di ciò che abbiamo già avuto modo di definire un “baricentro” in grado di assicurare un progressivo convergere sulle cose e, dunque, parte rilevante della costruzione di un’area più vasta e capace di far valere un diverso metodo di guardare a una rinnovata scelta di libertà, di ragionevolezza e di sostenibilità. Al tempo stesso realistica, ma anche capace di suscitare quella passione e quel coinvolgimento costruttivo necessari ad un Paese che si trova davvero di fronte al bivio del proprio futuro.

(Tratto da www.politicainsieme.com)


5 Commenti

  1. Un lungo e sofisticato discorso che non ritengo giustifichi il titolo. Il maggioritario e il proporzionale vengono scelti scelti sempre da chi ha momentaneamente ha la maggioranza in Parlamento. Se si pensa di perdere, allora si vota per il proporzionale. Se, invece, si pensa di vincere, allora si sceglie il maggioritario. Tutto ciò per arraffare il maggiore numero di seggi nella futura legislatura. Tutte le altre considerazioni sono soltanto considerazioni idealistiche.

  2. Colgo l’occasione per riflettere sul significato che alcuni autori danno alla parola “baricentro”: “Il punto di equilibrio di una molteplicità di elementi ideali o pratici per il conseguimento di un determinato scopo. “Se si potesse applicare subito questo concetto alla finalità che dovrebbe avere l’azione politica sic et simpliciter saremmo verso la via della risoluzione di molti nostri problemi. Ma così non è, ahimè… ma noi che ci diciamo di centro abbiamo il dovere di operare per ricreare quel tempo di possibilità per tutti, ove presentare le proprie istanze, le proprie individualità, la propria persona senza lotta di classe. Creare quel baricentro, il governo, tale che le spinte di tutte le idee, provenienti da ciascuna forza di espressione popolare, convergendo, trovassero il giusto sfogo, la più equa manifestazione e concretizzazione, mantenendo in equilibrio il nostro paese. Ecco perchè non vedo miglior inizio per un cammino verso questa strada che avere un sistema elettorale proporzionale.

  3. Sono in totale disaccordo con la tesi dell’articolo. La legge dell’elezione diretta del Sindaco e del Presidente della regione, entrambe maggioritarie a doppio turno, ha dato a queste istituzioni stabilità e governabilità.
    Invece a livello nazionale l’ottima legge maggioritaria chiamata Mattarellum (75% collegi uninominali, 25% proporzionale) migliorò certamente la situazione, tuttavia era necessario farle seguire una riforma istituzionale per eliminare il bicameralismo perfetto, rafforzare i poteri del Presidente del consiglio attraverso l’elezione diretta a doppio turno e nello stesso tempo adeguare i poteri di controllo del Parlamento.
    Si sta scegliendo invece di tornare nella sostanza alla prima Repubblica, con governicchi deboli e ricattabili da partitini del 2%. In questo modo l’Italia sarà ancora economicamente più esposta alla concorrenza di Paesi con governi stabili e maggioranze coese. Un vero disastro!

  4. se si osserva il problema sul palcoscenico italiano non si può che concordare con quanto detto esplicitamente da chi mi ha preceduto, circa l’accenno alla ricattabilità di un sistema che necessita dell’autorizzazione quotidiana anche di modeste aggregazioni parlamentari
    è cosa evidente: perciò, viva il maggioritario
    mi preoccupa, però, in problema che ritengo più grave e che relega la politica italiana (ma non solo, anche se qui il proverbio “mal comune, mezzo gaudio” vale al contrario: mal comune, tragedia mondiale!) che relega il mondo politico, in generale dunque, nel limbo degli impotenti, che intrattengono la platea con la sconcertante e quotidiana diatriba su qualsiasi fatto, senza avere, nè prevedere di esprimere programmi di governo reale. capaci cioè di andare oltre qualsiasi, rispettosa durata del ciclo elettorale di legge
    tutto quanto la politica post bellica tentò nel programmare futuri da realizzare oltre il periodo accordato dalla legge elettorale sono tramontati da quando la politica è diventata essenzialmente un battibecco quotidiano destinato a galvanizzare inutili maggioranze, destinate principalmente a sostenere cariche e incarichi: il ruolo del parlamento come mediator tra quanto il mondo economico ha interesse a fare e quanto la condizione di un popolo richiede sia fatto (l’attuale dramma della impotenza del sistema sanitario è esemplare, per non parlare di scuola, di ricerca scientifica, di difesa ambientale, di valorizzazione della cultura specifica di questo paese…..)
    che si vada alle elezioni tra sei mesi o tra due anni, cambia poco, se non si comincia a fare programmi che abbiano il coraggio di andare oltre la durata del ciclo, senza camuffarli con qualche libretto di buone intenzioni, come accaduto nel pd che mandò al governo renzi
    poi si è visto dove sono finite le promesse!
    i partiti che un tempo offrivano come soluzione l’ideologia, sanno trasformarsi in organismi che sostengano il progresso culturale e civile permanente?

  5. Avevo sentito dire che vi era un partito chiamato INSIEME, fondato nell’ottobre 2020, che indicava la sua ragion d’ essere nel tentativo di offrire una alternativa valida sia alle continue scaramucce del centro e della sinistra sia alle bugie della destra (che critica, ma non propone). Un partito siffatto sa di essere inviso a tutti o quasi gli altri e, in caso di elezioni, può sperare di emergere solo se si vota con il sistema proporzionale. Facile a dirsi, ma mission impossible se pensiamo che, dopo la “entusiastica” riduzione drastica del numero dei parlamentari, ognuno penserà solo a conservare il posto convincendo chi conta a includerlo nelle dimagrite liste bloccate. Come si fa ora a suscitare un movimento che ottenga il proporzionale? Questo è il vero oggetto del dibattito. Per altri obiettivi c’ è chi ha smosso qualcosa, ma noi non siamo Greta Turnberg ne’ le Sardine, e allora dobbiamo smettere il nobile stile del professore inascoltato e vedere con quali mezzi arrivare almeno ad incuriosire la gente.

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