La gestione del debito pubblico, in periodi di costanza di Covid-19 e specialmente dopo l’emergenza pandemica, sarà cosa molto complessa e difficile in quanto il rapporto debito pubblico/PIL sarà nel frattempo di molto peggiorato. Andando ad analizzare questo rapporto vedremo che il debito pubblico, che costituisce il numeratore del dianzi nominato rapporto, sarà molto cresciuto (il rapporto debito pubblico/PIL è previsto possa raggiungere i 160 punti circa), mentre il PIL nella migliore delle ipotesi sarà rimasto stazionario o, ipotesi molto più realistica, decrescente a causa della recessione economica con contrazione della produttività, conseguenza della pandemia.
Su questo possibile e prevedibile scenario è intervenuto il professor Mario Draghi, co-presidente insieme all’insigne economista Raghuran Raian del gruppo di lavoro del G30, il quale in una intervista a Federico Fubini del “Corriere della Sera” ha fatto presente che se sono presenti sul mercato ancora molte imprese marginali lo si deve solo e soltanto all’effetto dei sussidi pubblici e che si vuole evitare il loro default a causa della recessione economica con contrazione della produttività, conseguenza della pandemia da Covid, quando i sussidi cesseranno di essere erogati, sarà necessario muoversi per tempo e progettare interventi basati su investimenti pubblici per preparare la ripresa e con essa la crescita economica.
Per la ripresa sarà pertanto importante la gestione dei fondi che verranno dallo strumento finanziario Next Generation EU o Recovery Fund. E nel gestire questi fondi non si dovrà sbagliare altrimenti, parole di Draghi, si andrà incontro ad “una lunga recessione”.
Vale a questo punto soffermarsi brevemente sullo strumento del Next Generation EU e di come dovrebbero essere gestiti i finanziamenti sia a fondo perduto sia sotto forma di prestiti.
Il Consiglio Europeo nell’accordo 17-21 luglio 2020 ha deliberato quanto segue:
– I trasferimenti diretti ossia le sovvenzioni a fondo perduto, passano da 500 a 390 miliardi;
– I prestiti salgono da 250 a 360 miliardi.
A seguito della suddetta delibera i trasferimenti che spettano all’Italia salgono da 173 a 208,8 miliardi tra finanziamenti a fondo perduto e prestiti da rimborsare (81,4 a fondo perduto e 127,4 come prestiti).
Dalla delibera del C.E. si evince che la “governance” del Recovery Fund si muove su tre binari:
– Regole per accesso ai fondi in cambio di riforme e investimenti;
– Equilibrio tra gli aiuti sotto forma di trasferimenti diretti (a fondo perduto) e aiuti sotto forma di prestiti;
– Nuovo calcolo degli sconti (cosiddetti rebate) a favore dei cosiddetti paesi frugali: Austria, Svezia, Danimarca, Olanda e Finlandia.
I Paesi beneficiari del Recovery Fund presenteranno dei “piani nazionali per la ripresa e la resilienza” per il periodo 2021-2023. Tali piani dovranno prevedere investimenti per la transizione verde e digitale e per incentivare “la crescita e la creazione di posti di lavoro”.
Nello specifico i piani riguardano le seguenti priorità: rivoluzione verde e transizione ecologica; digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura; infrastrutture e ricerca; inclusione sociale; salute.
I fondi del R.F. devono essere investiti pertanto nei piani suddetti e incentivare “la crescita e la creazione di posti di lavoro” attraverso la crescita dell’economia. Sarebbe oltremodo negativo che anche una piccola parte di questi fondi europei andassero a coprire parte dell’incremento del debito pubblico servito per i sussidi di Stato alle imprese e ai settori dell’economia maggiormente in crisi per il susseguirsi di continui lockdown. I fondi europei Next Generation EU dovranno essere spesi attraverso progetti che dovranno rivelarsi utili per l’economia in modo da creare ricchezza reale e flussi positivi di reddito altrettanto reali, come diretta conseguenza dell’incremento della produttività dovuta agli investimenti aggiuntivi e alla conseguente crescita economica prevista. Condizioni queste per l’incremento del PIL che permetterà di assorbire parte del maggiore debito pubblico e rendere possibile la sua sostenibilità.
I progetti che saranno presentati, al fine di ottenere i finanziamenti UE, dovranno produrre ricchezza e aiutare la crescita della zona euro e pertanto il loro “tasso di rendimento” dovrà essere elevato così da permettere e giustificare gli investimenti pubblici e con questo rendere sostenibile il debito pubblico. Si parla di “Tasso di rendimento sociale” (espressione usata dal professor Mario Draghi) quando il progetto presentato per ottenere il finanziamento ha superato i test che lo abilitano e lo considerano utile (socialmente ed economicamente) per la crescita e che non sia invece “semplicemente il frutto di una convenienza politica e di clientelismo”. I progetti che si rileveranno utili permetteranno di rendere sostenibile il debito pubblico con il loro tasso di rendimento positivo. Questo è il reale e vero obiettivo dello strumento Recovery Fund.
Pertanto i progetti che saranno portati dal Governo italiano dovranno soddisfare i test di entrata e assicurare il raggiungimento di quel “tasso di rendimento sociale” in maniera tale da creare utilità economica, elemento fondamentale e importante per soddisfare i bisogni collettivi e la crescita economico-sociale. Il tutto da fare con urgenza in modo da apportare la necessaria liquidità al sistema economico-finanziario del Paese, in grave difficoltà finanziaria e di liquidità. O verranno realizzati progetti seri di sviluppo nella transizione verde e digitale e per l’occupazione o il Paese, in seria difficoltà di liquidità, rischierà il default.
Basta assistere ancora al balletto delle crisi di governo annunciate e dei soliti giochi e minuetti politici per dividersi la torta! O i progetti Recovery Fund saranno seri oppure il nostro Paese sarà destinato a entrare in una profonda crisi e recessione economica. Bisogna capire una volta per tutte che la liquidità che verrà dal Recovery Fund dovrà essere investita, solo e soltanto, per la ripresa e la resilienza del paese Italia.
Detto questo, un discorso a parte vale per il debiti che sono stati prodotti in sede di gestione della pandemia attraverso i sussidi e i cosiddetti ristori. Tali debiti dovrebbero essere assorbiti dalla BCE e congelati in una riserva straordinaria, come suggerisce in un suo articolo l’economista Carlo Cottarelli. L’assorbimento dei debiti da sussidi pubblici, come i finanziamenti dalla BCE, eliminerebbero due problemi che sorgono ad ogni finanziamento e che sono:
– Il pagamento degli interessi;
– La possibilità che alla scadenza il finanziatore (Banca e/o società o Ente) potrebbe, a richiesta, non rinnovare il debito creando seri problemi di liquidità.
Nel caso di finanziamento o assorbimento da parte della BCE del maggiore debito pubblico, i problemi di non rinnovare i titoli in scadenza non ci sarebbero perché “il debito verso la BCE non costa nulla allo Stato Italiano, visto che gli interessi pagati dallo Stato sui BTP comprati dalla BCE (il 90% dei quali avviene tramite la Banca d’Italia) vengono restituiti allo Stato attraverso la distribuzione di profitti della Banca d’Italia (il 95% circa dei quali va allo Stato Italiano). Inoltre la BCE continuerebbe a rinnovare i titoli in scadenza (non essendo motivata da scopi di profitto) tranne che in un caso: se una tale azione fosse necessaria per frenare un aumento eccessivo dell’inflazione, visto che la BCE è vincolata da questo compito istituzionale”. (Carlo Cottarelli, Come curare il debito, “La Repubblica” 17/11/2020).
Ad inflazione che non supera il 2%, come stiamo assistendo in questi ultimi anni, il debito sarebbe rinnovato a costo zero ed “è come se non esistesse”.
Questa possibile opzione inoltre salverebbe il sistema bancario dall’accumulare crediti deteriorati, i cosiddetti NPL (non performing loans), negli asset dei loro bilanci. Un sistema bancario sano sosterrebbe l’economia attraverso un maggiore possibilità di concedere credito alle imprese e creare quindi le condizioni per la crescita economica del Paese.
(Tratto da www.politicainsieme.com)
Su questo possibile e prevedibile scenario è intervenuto il professor Mario Draghi, co-presidente insieme all’insigne economista Raghuran Raian del gruppo di lavoro del G30, il quale in una intervista a Federico Fubini del “Corriere della Sera” ha fatto presente che se sono presenti sul mercato ancora molte imprese marginali lo si deve solo e soltanto all’effetto dei sussidi pubblici e che si vuole evitare il loro default a causa della recessione economica con contrazione della produttività, conseguenza della pandemia da Covid, quando i sussidi cesseranno di essere erogati, sarà necessario muoversi per tempo e progettare interventi basati su investimenti pubblici per preparare la ripresa e con essa la crescita economica.
Per la ripresa sarà pertanto importante la gestione dei fondi che verranno dallo strumento finanziario Next Generation EU o Recovery Fund. E nel gestire questi fondi non si dovrà sbagliare altrimenti, parole di Draghi, si andrà incontro ad “una lunga recessione”.
Vale a questo punto soffermarsi brevemente sullo strumento del Next Generation EU e di come dovrebbero essere gestiti i finanziamenti sia a fondo perduto sia sotto forma di prestiti.
Il Consiglio Europeo nell’accordo 17-21 luglio 2020 ha deliberato quanto segue:
– I trasferimenti diretti ossia le sovvenzioni a fondo perduto, passano da 500 a 390 miliardi;
– I prestiti salgono da 250 a 360 miliardi.
A seguito della suddetta delibera i trasferimenti che spettano all’Italia salgono da 173 a 208,8 miliardi tra finanziamenti a fondo perduto e prestiti da rimborsare (81,4 a fondo perduto e 127,4 come prestiti).
Dalla delibera del C.E. si evince che la “governance” del Recovery Fund si muove su tre binari:
– Regole per accesso ai fondi in cambio di riforme e investimenti;
– Equilibrio tra gli aiuti sotto forma di trasferimenti diretti (a fondo perduto) e aiuti sotto forma di prestiti;
– Nuovo calcolo degli sconti (cosiddetti rebate) a favore dei cosiddetti paesi frugali: Austria, Svezia, Danimarca, Olanda e Finlandia.
I Paesi beneficiari del Recovery Fund presenteranno dei “piani nazionali per la ripresa e la resilienza” per il periodo 2021-2023. Tali piani dovranno prevedere investimenti per la transizione verde e digitale e per incentivare “la crescita e la creazione di posti di lavoro”.
Nello specifico i piani riguardano le seguenti priorità: rivoluzione verde e transizione ecologica; digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura; infrastrutture e ricerca; inclusione sociale; salute.
I fondi del R.F. devono essere investiti pertanto nei piani suddetti e incentivare “la crescita e la creazione di posti di lavoro” attraverso la crescita dell’economia. Sarebbe oltremodo negativo che anche una piccola parte di questi fondi europei andassero a coprire parte dell’incremento del debito pubblico servito per i sussidi di Stato alle imprese e ai settori dell’economia maggiormente in crisi per il susseguirsi di continui lockdown. I fondi europei Next Generation EU dovranno essere spesi attraverso progetti che dovranno rivelarsi utili per l’economia in modo da creare ricchezza reale e flussi positivi di reddito altrettanto reali, come diretta conseguenza dell’incremento della produttività dovuta agli investimenti aggiuntivi e alla conseguente crescita economica prevista. Condizioni queste per l’incremento del PIL che permetterà di assorbire parte del maggiore debito pubblico e rendere possibile la sua sostenibilità.
I progetti che saranno presentati, al fine di ottenere i finanziamenti UE, dovranno produrre ricchezza e aiutare la crescita della zona euro e pertanto il loro “tasso di rendimento” dovrà essere elevato così da permettere e giustificare gli investimenti pubblici e con questo rendere sostenibile il debito pubblico. Si parla di “Tasso di rendimento sociale” (espressione usata dal professor Mario Draghi) quando il progetto presentato per ottenere il finanziamento ha superato i test che lo abilitano e lo considerano utile (socialmente ed economicamente) per la crescita e che non sia invece “semplicemente il frutto di una convenienza politica e di clientelismo”. I progetti che si rileveranno utili permetteranno di rendere sostenibile il debito pubblico con il loro tasso di rendimento positivo. Questo è il reale e vero obiettivo dello strumento Recovery Fund.
Pertanto i progetti che saranno portati dal Governo italiano dovranno soddisfare i test di entrata e assicurare il raggiungimento di quel “tasso di rendimento sociale” in maniera tale da creare utilità economica, elemento fondamentale e importante per soddisfare i bisogni collettivi e la crescita economico-sociale. Il tutto da fare con urgenza in modo da apportare la necessaria liquidità al sistema economico-finanziario del Paese, in grave difficoltà finanziaria e di liquidità. O verranno realizzati progetti seri di sviluppo nella transizione verde e digitale e per l’occupazione o il Paese, in seria difficoltà di liquidità, rischierà il default.
Basta assistere ancora al balletto delle crisi di governo annunciate e dei soliti giochi e minuetti politici per dividersi la torta! O i progetti Recovery Fund saranno seri oppure il nostro Paese sarà destinato a entrare in una profonda crisi e recessione economica. Bisogna capire una volta per tutte che la liquidità che verrà dal Recovery Fund dovrà essere investita, solo e soltanto, per la ripresa e la resilienza del paese Italia.
Detto questo, un discorso a parte vale per il debiti che sono stati prodotti in sede di gestione della pandemia attraverso i sussidi e i cosiddetti ristori. Tali debiti dovrebbero essere assorbiti dalla BCE e congelati in una riserva straordinaria, come suggerisce in un suo articolo l’economista Carlo Cottarelli. L’assorbimento dei debiti da sussidi pubblici, come i finanziamenti dalla BCE, eliminerebbero due problemi che sorgono ad ogni finanziamento e che sono:
– Il pagamento degli interessi;
– La possibilità che alla scadenza il finanziatore (Banca e/o società o Ente) potrebbe, a richiesta, non rinnovare il debito creando seri problemi di liquidità.
Nel caso di finanziamento o assorbimento da parte della BCE del maggiore debito pubblico, i problemi di non rinnovare i titoli in scadenza non ci sarebbero perché “il debito verso la BCE non costa nulla allo Stato Italiano, visto che gli interessi pagati dallo Stato sui BTP comprati dalla BCE (il 90% dei quali avviene tramite la Banca d’Italia) vengono restituiti allo Stato attraverso la distribuzione di profitti della Banca d’Italia (il 95% circa dei quali va allo Stato Italiano). Inoltre la BCE continuerebbe a rinnovare i titoli in scadenza (non essendo motivata da scopi di profitto) tranne che in un caso: se una tale azione fosse necessaria per frenare un aumento eccessivo dell’inflazione, visto che la BCE è vincolata da questo compito istituzionale”. (Carlo Cottarelli, Come curare il debito, “La Repubblica” 17/11/2020).
Ad inflazione che non supera il 2%, come stiamo assistendo in questi ultimi anni, il debito sarebbe rinnovato a costo zero ed “è come se non esistesse”.
Questa possibile opzione inoltre salverebbe il sistema bancario dall’accumulare crediti deteriorati, i cosiddetti NPL (non performing loans), negli asset dei loro bilanci. Un sistema bancario sano sosterrebbe l’economia attraverso un maggiore possibilità di concedere credito alle imprese e creare quindi le condizioni per la crescita economica del Paese.
(Tratto da www.politicainsieme.com)
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