Per chi arriva dalla tradizione politica e culturale del cattolicesimo democratico e sociale, le coalizioni – o meglio, la “cultura delle alleanze” – sono sempre state centrali nella strategia del partito di riferimento. Sia sul versante democratico/riformista sia su quello conservatore/liberale. Del resto, Mino Martinazzoli lo ricordava sempre con una felice espressione. Ovvero, “In Italia la politica è sinonimo di politica delle alleanze”. Appunto, la “nostra” tradizione culturale e politica è sempre stata allergica rispetto alla concezione egemonica di un solo partito – la vulgata centrale e costitutiva del pensiero della sinistra italiana – né ha mai individuato nelle alleanze la scorciatoia trasformistica e consociativa per poter governare.
Certo, nella lunga storia democratica del nostro Paese non sono mancati alti e bassi con l’invenzione di mille formule, anche le più innovative e singolari, che hanno accompagnato la formazione di molti governi nelle diverse fasi storiche. Ma questo capitava con il sistema proporzionale. Ma, anche con il sistema maggioritario della cosiddetta Seconda Repubblica, le cose non sono cambiate granché. Anche perché, come ricordava con efficacia Pietro Scoppola, “In Italia si è riusciti anche a proporzionalizzare il maggioritario”.
Ora, però, di fronte a ciò che capita concretamente nella politica italiana diventa francamente difficile capire quali sono gli elementi costitutivi che reggono e giustificano la strana alleanza di governo. Che resta, tuttavia, senza reali alternative politiche. Almeno per ora. Elementi che poco hanno a che fare con “la cultura delle alleanze” e, soprattutto, con una strategia che guardi oltre alla settimana o al mese di riferimento.
Innanzitutto siamo in una fase dominata dal trasformismo politico e parlamentare. Per cui è, di fatto, inutile parlare di alleanze e di coalizioni perché tutto può cambiare nell’arco di pochi giorni o al massimo di poche settimane. Appunto, dominate dalla logica trasformistica che non tollera nel suo statuto alcuna coerenza e alcuna strategia politica e di governo di lungo respiro se non quella della pura sopravvivenza del ceto politico e parlamentare.
In secondo luogo siamo di fronte ad un partito, quello dei 5 Stelle, che coltiva un solo e grande obiettivo: la permanenza in Parlamento. Per motivi facilmente e umanamente comprensibili… Un elemento, questo, che ormai tutti sanno e che tutti conoscono e su cui non vale neanche la pena di soffermarsi un minuto in più. Su questo versante è inutile insistere. Ogni giorno ce lo ricordano i fatti concreti. E non a caso, la deriva trasformistica non può che essere il naturale approdo di questa impostazione. Ciò che è puntualmente avvenuto dal voto del 2018 ad oggi.
In terzo luogo il ruolo di uno strano partito personale. Quello di Renzi denominato Italia Viva. Un movimento nato nel palazzo – e sonoramente battuto nella società e nelle elezioni appena si è presentato qua e là nel recente appuntamento regionale – che ha un solo ed esclusivo obiettivo: garantire la carriera personale del suo fondatore. Appunto, Renzi. E quindi riflette quotidianamente il carattere e il profilo del suo fondatore. Ormai conosciuto da quasi tutti, se non addirittura da tutti. Cioè, distruggere, rottamare, annientare e rimescolare continuamente le carte. L’esatto opposto di ciò che caratterizza “la cultura delle alleanze” e la “centralità delle coalizione”.
Infine LeU. E qui è perfettamente inutile soffermarsi su un partito che ha visto profilarsi all’orizzonte un miracolo laico: andare al Governo senza sapere il perché.
Resta il PD che, frutto delle tradizioni della sinistra democratica e del cattolicesimo democratico, individua nella coalizione un postulato essenziale anche nella politica contemporanea. Ma è francamente difficile percorrere e declinare questo disegno con gli attuali compagni di viaggio. Ma questo è un altro discorso che meriterebbe altre riflessioni.
In conclusione, non resta che una sola considerazione. Nel sistema politico italiano, prima o poi, va ricreata dalle fondamenta la “cultura delle alleanze”. Sempre che ci si creda. Perché, altrimenti, non resta che una alternativa. Ovvero, aderire alla logica trasformistica, consociativa e di puro potere. Ma poi non lamentiamoci se ad avvantaggiarsi di tutto ciò saranno, ancora una volta, le forze populiste, demagogiche, antipolitiche e forse anche autoritarie.
Certo, nella lunga storia democratica del nostro Paese non sono mancati alti e bassi con l’invenzione di mille formule, anche le più innovative e singolari, che hanno accompagnato la formazione di molti governi nelle diverse fasi storiche. Ma questo capitava con il sistema proporzionale. Ma, anche con il sistema maggioritario della cosiddetta Seconda Repubblica, le cose non sono cambiate granché. Anche perché, come ricordava con efficacia Pietro Scoppola, “In Italia si è riusciti anche a proporzionalizzare il maggioritario”.
Ora, però, di fronte a ciò che capita concretamente nella politica italiana diventa francamente difficile capire quali sono gli elementi costitutivi che reggono e giustificano la strana alleanza di governo. Che resta, tuttavia, senza reali alternative politiche. Almeno per ora. Elementi che poco hanno a che fare con “la cultura delle alleanze” e, soprattutto, con una strategia che guardi oltre alla settimana o al mese di riferimento.
Innanzitutto siamo in una fase dominata dal trasformismo politico e parlamentare. Per cui è, di fatto, inutile parlare di alleanze e di coalizioni perché tutto può cambiare nell’arco di pochi giorni o al massimo di poche settimane. Appunto, dominate dalla logica trasformistica che non tollera nel suo statuto alcuna coerenza e alcuna strategia politica e di governo di lungo respiro se non quella della pura sopravvivenza del ceto politico e parlamentare.
In secondo luogo siamo di fronte ad un partito, quello dei 5 Stelle, che coltiva un solo e grande obiettivo: la permanenza in Parlamento. Per motivi facilmente e umanamente comprensibili… Un elemento, questo, che ormai tutti sanno e che tutti conoscono e su cui non vale neanche la pena di soffermarsi un minuto in più. Su questo versante è inutile insistere. Ogni giorno ce lo ricordano i fatti concreti. E non a caso, la deriva trasformistica non può che essere il naturale approdo di questa impostazione. Ciò che è puntualmente avvenuto dal voto del 2018 ad oggi.
In terzo luogo il ruolo di uno strano partito personale. Quello di Renzi denominato Italia Viva. Un movimento nato nel palazzo – e sonoramente battuto nella società e nelle elezioni appena si è presentato qua e là nel recente appuntamento regionale – che ha un solo ed esclusivo obiettivo: garantire la carriera personale del suo fondatore. Appunto, Renzi. E quindi riflette quotidianamente il carattere e il profilo del suo fondatore. Ormai conosciuto da quasi tutti, se non addirittura da tutti. Cioè, distruggere, rottamare, annientare e rimescolare continuamente le carte. L’esatto opposto di ciò che caratterizza “la cultura delle alleanze” e la “centralità delle coalizione”.
Infine LeU. E qui è perfettamente inutile soffermarsi su un partito che ha visto profilarsi all’orizzonte un miracolo laico: andare al Governo senza sapere il perché.
Resta il PD che, frutto delle tradizioni della sinistra democratica e del cattolicesimo democratico, individua nella coalizione un postulato essenziale anche nella politica contemporanea. Ma è francamente difficile percorrere e declinare questo disegno con gli attuali compagni di viaggio. Ma questo è un altro discorso che meriterebbe altre riflessioni.
In conclusione, non resta che una sola considerazione. Nel sistema politico italiano, prima o poi, va ricreata dalle fondamenta la “cultura delle alleanze”. Sempre che ci si creda. Perché, altrimenti, non resta che una alternativa. Ovvero, aderire alla logica trasformistica, consociativa e di puro potere. Ma poi non lamentiamoci se ad avvantaggiarsi di tutto ciò saranno, ancora una volta, le forze populiste, demagogiche, antipolitiche e forse anche autoritarie.
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