È difficile sottrarsi all’ urgenza del quotidiano ed ogni qual volta si discute d’altro piuttosto che della pandemia, pare di voler svicolare, come se si tradisse la consegna di un’attenzione costante al tema, anche per doveroso rispetto nei confronti delle troppe vittime.
Eppure questo è anche il momento opportuno per coltivare qualche “pensiero lungo”, cioè riconsiderare, su più fronti, almeno alcuni tratti fondamentali di quella “trasformazione” di cui discutiamo fin dalla prima stesura del nostro Manifesto, approdato al documento politico-programmatico di INSIEME, approvato dall’Assemblea fondativa dello scorso 3/4 ottobre.
Bisogna pur guardare avanti e cominciare a chiederci di quale strumentazione, anche sul piano politico e istituzionale – a cominciare dalla legge elettorale – intendiamo dotarci, al fine di produrre quella svolta che la pandemia sembra imporci ed a cui è necessario mettere mano, non appena vi saranno le condizioni per farlo.
Così, per quanto ci riguarda, avendo da poco avviato il percorso politico di un nuovo soggetto di ispirazione cristiana, dobbiamo insistere e ancora riflettere su quale sia, possa o debba essere il compito di una forza politica organizzata in questo particolarissimo momento storico. E conseguentemente quale struttura, quale fisionomia, quale modalità operativa debba darsi un partito politico in un tempo “liquido”, privo, cioè, di quei nuclei di condensazione attorno a cui si raccolgono e si compongono gli elementi che concorrono a definire l’identità dei corpi sociali e degli stessi individui. “Liquido” sta per scomposto, disaggregato, fluido, scorrevole, informe ma, nel contempo, plastico, cioè adatto ad assumere forme e posture che possono essere via via costruite secondo un ordine di criteri e di valori. Purché lo si sappia fare.
L’emergenza sanitaria che stiamo faticosamente affrontando ci ha insegnato come il comportamento individuale di ciascuno abbia una straordinaria incidenza sulla collettività nel suo insieme. In una misura forse prima impensabile e che ora tocchiamo con mano. Tutto ciò vuol dire che quanto più una società è fortemente integrata e complessa, tanto più è governabile solo a prezzo di una importante crescita di maturità civile, intesa non solo come patrimonio genericamente collettivo, bensì quale “vissuto” personale di ciascuno.
Insomma, il punto nevralgico di “composizione del conflitto” oggi non sta più solo o prevalentemente nella dinamica dei corpi sociali, ma addirittura nella interiorità della coscienza personale di ciascuno. A sua volta, tutto ciò rinvia alla necessità di una forte partecipazione alla vita della propria collettività, che trova nella politica e nella comprensione delle sue dinamiche essenziali, il suo luogo privilegiato.
Un partito deve, dunque, strutturarsi, anzitutto, in ragione di questo compito di collegialità e di corresponsabilità civile e democratica cui ogni cittadino va evocato. Detto questo, per quanto ci riguarda, a noi preme sgombrare il campo e rispedire al mittente equivoci che, talvolta, sembrano alimentati ad arte nei nostri confronti o volutamente contro di noi, dato che ci siamo permessi di sfidare un tabù e scommettere su una terza fase, su una presenza rinnovata, creativa, autonoma ed originale della cultura cattolico-democratica nella vicenda politica del Paese.
Il cui “sistema” è talmente incartato da reggersi su un intreccio di arabeschi e di trine, di trame leziose e di sottili ricami che, sotto il riparo protettivo di un bipolarismo innaturale e coatto, pur di conservare la loro posizione di privilegio, devono concordemente impedire che qualcuno scuota un equilibrio che, per quanto artefatto e precario, garantisce ad ogni attore in campo una confortevole rendita di posizione.
Come nel gioco dei “quattro cantoni”: per uno che sta temporaneamente spiazzato, altri quattro sono a posto sicuri, dopo di che, purché sappiano giudiziosamente scambiarsi i ruoli, recitando il canovaccio di una commedia sempre uguale a se stessa, mai nessuno esce dal gioco.
Se mai a starsene fuori è il Paese reale che, non a caso, soffre di un crescente distacco, fin quasi all’indifferenza, nei confronti del Paese cosiddetto “legale”, ma non si sa fino a che punto effettivamente legittimato. Anche per questo c’è chi, trovando comodo dipingerci come gli illusi demiurghi di un’impresa impossibile, commenta la nascita di INSIEME sostenendo che “rifare la DC” sarebbe il nostro vero obiettivo. Un modo come un altro per cercare di spiaggiarci sulle sabbie di un “bagnasciuga” insuperabile. Senonché, si tratta di un “refrain” talmente ripetuto da risultare ormai stucchevole.
Che razza di democristiani saremmo – almeno molti di noi – se non conoscessimo l’ “a-b-c” della politica quel tanto che basta per sapere che si tratterebbe, in ogni caso, di una missione addirittura controproducente in funzione di quel che davvero ci preme: sviluppare in un nuovo contesto storico la permanente vitalità dei principi che ispirano la tradizione di pensiero e la cultura politica del movimento cattolico democratico e popolare, che consideriamo non un patrimonio esclusivo di cui ammantarci, a nostro uso e consumo, ma piuttosto un talento da spendere e da investire per portarne alla luce quella straordinaria riserva di umanità e di valore civile che intrinsecamente reca in sè, ponendola, quindi, come ricchezza comune della collettività nazionale? È esattamente nella misura in cui molti di noi hanno vissuto con convinta passione l’esperienza politica della Democrazia cristiana, cosicché, tanto per essere chiari, ne andiamo tuttora fieri che siamo in grado di dire che non avrebbe alcun senso perseguire un tale obiettivo.
Superato e impraticabile per almeno tre motivi. La Democrazia cristiana, anzitutto, è stata una “singolarità” della storia, nel senso in cui ricorrono a tale termine i fisici per definire un evento reso possibile solo dal concorrere – nella stessa unità di tempo e di luogo – di una pluralità tale di condizioni rare ed improbabili, da rendere, a maggior ragione, la loro somma del tutto non riproducibile. In secondo luogo, la Democrazia cristiana è stata – come, a suo tempo, il PPI di don Sturzo – l’espressione storica contingente della cultura cattolico-democratica in una ben definita e specifica fase temporale, cosicché per avanzare verso una nuova stagione è necessario abbandonare forme divenute improprie ed inattuali, elaborando il lutto e segnando una necessaria discontinuità con un momento giunto alla sua fisiologica consunzione. In terzo luogo, la DC appartiene a quella tipologia di forze politiche di massa, tipiche del secolo scorso, rese possibili e necessarie da un contesto sociale, culturale, politico, interno ed internazionale che le schierava come eserciti contrapposti in battaglie campali ed ogni volta ultimative. Le quali, di per sé, davano conto della temperie di un epoca più semplice, più stratificata, meno plurale, accidentata e scossa, pur in un clima di dura contrapposizione frontale, di quanto non sia oggi.
Noi pensiamo, piuttosto – nel solco di quanto siamo andati elaborando soprattutto nei due lunghi anni di preparazione al varo di INSIEME – a un partito agile e snello che, consapevole della sua autonomia di pensiero, ancor prima che di schieramento, anziché “contro” vada “incontro” a quei campi della cultura, dell’antropologia, del senso della vita e della stessa politica che papa Francesco ci segnala come periferie da esplorare. Insomma, una testa di ponte avanzata che interpreta la sua ”ispirazione cristiana” non come rivendicazione di potere, ma piuttosto quale compito e servizio di verità, lontana da ogni compromesso in termini di valori, bensì capace di sfidare, sul piano dell’argomentazione razionale e dell’esperienza storica concreta, culture di altro segno, non secondo una logica arroccata, pregiudizialmente oppositiva e chiusa a un confronto.
Su questa più puntuale caratterizzazione del partito e della sua funzione inclusiva nel concerto plurale dello stesso mondo cattolico c’è ancora molto lavoro da fare, per cui si renderà necessario tornarci su.
(Tratto da www.politicainsieme.com)
Eppure questo è anche il momento opportuno per coltivare qualche “pensiero lungo”, cioè riconsiderare, su più fronti, almeno alcuni tratti fondamentali di quella “trasformazione” di cui discutiamo fin dalla prima stesura del nostro Manifesto, approdato al documento politico-programmatico di INSIEME, approvato dall’Assemblea fondativa dello scorso 3/4 ottobre.
Bisogna pur guardare avanti e cominciare a chiederci di quale strumentazione, anche sul piano politico e istituzionale – a cominciare dalla legge elettorale – intendiamo dotarci, al fine di produrre quella svolta che la pandemia sembra imporci ed a cui è necessario mettere mano, non appena vi saranno le condizioni per farlo.
Così, per quanto ci riguarda, avendo da poco avviato il percorso politico di un nuovo soggetto di ispirazione cristiana, dobbiamo insistere e ancora riflettere su quale sia, possa o debba essere il compito di una forza politica organizzata in questo particolarissimo momento storico. E conseguentemente quale struttura, quale fisionomia, quale modalità operativa debba darsi un partito politico in un tempo “liquido”, privo, cioè, di quei nuclei di condensazione attorno a cui si raccolgono e si compongono gli elementi che concorrono a definire l’identità dei corpi sociali e degli stessi individui. “Liquido” sta per scomposto, disaggregato, fluido, scorrevole, informe ma, nel contempo, plastico, cioè adatto ad assumere forme e posture che possono essere via via costruite secondo un ordine di criteri e di valori. Purché lo si sappia fare.
L’emergenza sanitaria che stiamo faticosamente affrontando ci ha insegnato come il comportamento individuale di ciascuno abbia una straordinaria incidenza sulla collettività nel suo insieme. In una misura forse prima impensabile e che ora tocchiamo con mano. Tutto ciò vuol dire che quanto più una società è fortemente integrata e complessa, tanto più è governabile solo a prezzo di una importante crescita di maturità civile, intesa non solo come patrimonio genericamente collettivo, bensì quale “vissuto” personale di ciascuno.
Insomma, il punto nevralgico di “composizione del conflitto” oggi non sta più solo o prevalentemente nella dinamica dei corpi sociali, ma addirittura nella interiorità della coscienza personale di ciascuno. A sua volta, tutto ciò rinvia alla necessità di una forte partecipazione alla vita della propria collettività, che trova nella politica e nella comprensione delle sue dinamiche essenziali, il suo luogo privilegiato.
Un partito deve, dunque, strutturarsi, anzitutto, in ragione di questo compito di collegialità e di corresponsabilità civile e democratica cui ogni cittadino va evocato. Detto questo, per quanto ci riguarda, a noi preme sgombrare il campo e rispedire al mittente equivoci che, talvolta, sembrano alimentati ad arte nei nostri confronti o volutamente contro di noi, dato che ci siamo permessi di sfidare un tabù e scommettere su una terza fase, su una presenza rinnovata, creativa, autonoma ed originale della cultura cattolico-democratica nella vicenda politica del Paese.
Il cui “sistema” è talmente incartato da reggersi su un intreccio di arabeschi e di trine, di trame leziose e di sottili ricami che, sotto il riparo protettivo di un bipolarismo innaturale e coatto, pur di conservare la loro posizione di privilegio, devono concordemente impedire che qualcuno scuota un equilibrio che, per quanto artefatto e precario, garantisce ad ogni attore in campo una confortevole rendita di posizione.
Come nel gioco dei “quattro cantoni”: per uno che sta temporaneamente spiazzato, altri quattro sono a posto sicuri, dopo di che, purché sappiano giudiziosamente scambiarsi i ruoli, recitando il canovaccio di una commedia sempre uguale a se stessa, mai nessuno esce dal gioco.
Se mai a starsene fuori è il Paese reale che, non a caso, soffre di un crescente distacco, fin quasi all’indifferenza, nei confronti del Paese cosiddetto “legale”, ma non si sa fino a che punto effettivamente legittimato. Anche per questo c’è chi, trovando comodo dipingerci come gli illusi demiurghi di un’impresa impossibile, commenta la nascita di INSIEME sostenendo che “rifare la DC” sarebbe il nostro vero obiettivo. Un modo come un altro per cercare di spiaggiarci sulle sabbie di un “bagnasciuga” insuperabile. Senonché, si tratta di un “refrain” talmente ripetuto da risultare ormai stucchevole.
Che razza di democristiani saremmo – almeno molti di noi – se non conoscessimo l’ “a-b-c” della politica quel tanto che basta per sapere che si tratterebbe, in ogni caso, di una missione addirittura controproducente in funzione di quel che davvero ci preme: sviluppare in un nuovo contesto storico la permanente vitalità dei principi che ispirano la tradizione di pensiero e la cultura politica del movimento cattolico democratico e popolare, che consideriamo non un patrimonio esclusivo di cui ammantarci, a nostro uso e consumo, ma piuttosto un talento da spendere e da investire per portarne alla luce quella straordinaria riserva di umanità e di valore civile che intrinsecamente reca in sè, ponendola, quindi, come ricchezza comune della collettività nazionale? È esattamente nella misura in cui molti di noi hanno vissuto con convinta passione l’esperienza politica della Democrazia cristiana, cosicché, tanto per essere chiari, ne andiamo tuttora fieri che siamo in grado di dire che non avrebbe alcun senso perseguire un tale obiettivo.
Superato e impraticabile per almeno tre motivi. La Democrazia cristiana, anzitutto, è stata una “singolarità” della storia, nel senso in cui ricorrono a tale termine i fisici per definire un evento reso possibile solo dal concorrere – nella stessa unità di tempo e di luogo – di una pluralità tale di condizioni rare ed improbabili, da rendere, a maggior ragione, la loro somma del tutto non riproducibile. In secondo luogo, la Democrazia cristiana è stata – come, a suo tempo, il PPI di don Sturzo – l’espressione storica contingente della cultura cattolico-democratica in una ben definita e specifica fase temporale, cosicché per avanzare verso una nuova stagione è necessario abbandonare forme divenute improprie ed inattuali, elaborando il lutto e segnando una necessaria discontinuità con un momento giunto alla sua fisiologica consunzione. In terzo luogo, la DC appartiene a quella tipologia di forze politiche di massa, tipiche del secolo scorso, rese possibili e necessarie da un contesto sociale, culturale, politico, interno ed internazionale che le schierava come eserciti contrapposti in battaglie campali ed ogni volta ultimative. Le quali, di per sé, davano conto della temperie di un epoca più semplice, più stratificata, meno plurale, accidentata e scossa, pur in un clima di dura contrapposizione frontale, di quanto non sia oggi.
Noi pensiamo, piuttosto – nel solco di quanto siamo andati elaborando soprattutto nei due lunghi anni di preparazione al varo di INSIEME – a un partito agile e snello che, consapevole della sua autonomia di pensiero, ancor prima che di schieramento, anziché “contro” vada “incontro” a quei campi della cultura, dell’antropologia, del senso della vita e della stessa politica che papa Francesco ci segnala come periferie da esplorare. Insomma, una testa di ponte avanzata che interpreta la sua ”ispirazione cristiana” non come rivendicazione di potere, ma piuttosto quale compito e servizio di verità, lontana da ogni compromesso in termini di valori, bensì capace di sfidare, sul piano dell’argomentazione razionale e dell’esperienza storica concreta, culture di altro segno, non secondo una logica arroccata, pregiudizialmente oppositiva e chiusa a un confronto.
Su questa più puntuale caratterizzazione del partito e della sua funzione inclusiva nel concerto plurale dello stesso mondo cattolico c’è ancora molto lavoro da fare, per cui si renderà necessario tornarci su.
(Tratto da www.politicainsieme.com)
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