Dieci proposte di politica fiscale



Vincenzo Mannino    9 Dicembre 2020       1

Si parla di politica fiscale poco e malvolentieri. Se ne parla per incursioni demagogiche, per promesse indeterminate, per vampate di fuochi di paglia. Gli atti di Governo e legislativi (come la riduzione del cuneo fiscale vigente da luglio) per i più sono nell’ombra.

In questi primi giorni di dicembre dopo la presentazione di un emendamento alla Camera (che mentre scrivo entra ed esce dall’ammissibilità), molti hanno ribadito il loro MAI sulla imposta patrimoniale. Ma si sta svolgendo un confronto su se, quando, a quali condizioni, per quali fini, si possa ricorrere a imposte patrimoniali? No di certo (a parte il fatto che, in queste materie, mai dire mai).

È difficile perciò fare il punto sulla riforma fiscale. Il sentiero fra impopolarità e demagogia è strettissimo. Ma si può prendere sul serio un programma politico che non tratti la questione fiscale? Cioè che non dica se le risorse per gli obiettivi proposti ci sono o da dove si traggono, con quali strumenti, a carico di chi, con quali impatti? Ogni soggetto politico (partito, movimento, laboratorio di idee, proposte e progetti, anche Insieme) non può astenersi da una proposta di politica fiscale.

Mi riferisco agli obiettivi, alle linee politiche portanti, ai principi a cui ci si vuole attenere, perché poi la formulazione della norma e la simulazione degli impatti sul gettito richiedono verifiche specialistiche. In Parlamento si sta avviando un’indagine conoscitiva sulla riforma dell’IRPEF e aspetti connessi. Queste indagini non sono risolutrici. Però fanno si che molti – istituzioni, corpi intermedi, esponenti delle professioni e dell’accademia – rendano pubbliche le loro posizioni. Altre indicazioni provengono dal disegno di legge di bilancio ora all’esame della Camera (AC 2790), che introduce o conferma alcune misure e stanzia alcuni miliardi di euro per il costo della riforma fiscale. Inoltre l’elenco dei disegni di legge collegati (22) al disegno di legge di bilancio prevede un ddl delega di riforma fiscale, che sarà presentato nei primi mesi dell’anno prossimo e che seguirà (nel tempo) la legge delega sull’assegno universale. Sarà quello il terreno di confronto concreto ed effettivo.

Al momento le fonti più recenti dalle quali trarre alcuni elementi potrebbero essere le due audizioni del Ministro Gualtieri il 13 ottobre sulla Nota di aggiornamento al DEF, e il 23 novembre sul ddl di bilancio. Dalla lettura si ricava che il fondo per la riforma fiscale e l’assegno universale (8 md, poi 7md) potrebbe essere ulteriormente alimentato dalla riduzione della pressione fiscale. Questa, specie sui redditi medio bassi, è un obiettivo indicato, ma incerto (“eventuali riduzioni delle aliquote fiscali saranno operate grazie ai proventi della minore evasione dei tributi e della razionalizzazione della spesa corrente”).

L’esigenza di una riforma fiscale è innegabile, perché l’impianto fondamentale del regime attuale risale all’inizio degli anni 70. Interventi parziali, anche importanti (IRES, IRAP…) si sono stratificati per mezzo secolo. Tuttavia una riforma fiscale non prende forma in campo libero, ma entro un perimetro. Il primo lato per noi potrebbe essere pensare una fiscalità per lo sviluppo umano integrale. Gli altre tre lati si impongono a tutti.

Il debito pubblico impone un livello appropriato di pressione fiscale. La Costituzione all’art. 53 con estrema essenzialità fissa l’obbligo di concorrere alle spese pubbliche in rapporto alla capacità contributiva e i criteri di progressività. La UE, con l’IVA armonizzata da decenni e altri lenti cantieri in corso (per esempio per standardizzare la base imponibile dell’imposta sul reddito delle società). Ma anche con l’orientamento sempre confermato a spostare onere dalle imposte dirette alle indirette.

Dato il perimetro, ecco l’abbozzo di un indice.

Uno. Semplificare, distinguendo la semplificazione del sistema normativo, perché sia più chiaro, stabile e certo, e la semplificazione degli adempimenti. Sul contribuente c’è un prelievo di soldi, di tempo e di serenità. Il primo dipende dalle norme. Gli altri due prelievi vanno tendenzialmente azzerati.

Due. Mettere al primo posto la riduzione dell’evasione, che oggi ci vede come i peggiori di Europa. La media attuale UE dovrebbe essere, nel medio termine, un traguardo non negoziabile. Oltre a quanto già si sta facendo specie per l’IVA, che è l’imposta più evasa, e in tema di controlli e sanzioni, occorre mettere in primo piano la costruzione di una coscienza civile comune che tolga all’evasore ogni simpatia della comunità di cui fa parte e che danneggia.

Tre. Nella nostra ‘economia non osservata’ ci sono anche molti operatori marginali, che – come pesci – se vengono a galla muoiono. Questa consapevolezza ogni volta frena l’azione, che non diventa mai risolutrice. Ma non esiste una libertà di iniziativa economica in violazione delle norme. Cambiamo strada: servono politiche di emersione, perché di crescita, rivolte a questa platea sommersa o che annaspa sulla battigia. È un capitolo della questione generale di un sistema imprenditoriale vitale, ma affetto da nanismo o sottoposto a trattamento bonsai.

Quattro. L’azione avviata per ridurre il cuneo fiscale sul lavoro va confermata e quando possibile rafforzata. Il sostegno alle famiglie con figli (assegno universale) va sostenuto e rafforzato (è aperto il tema del quoziente familiare e del forte incoraggiamento alle donne). Ovviamente l’IRPEF deve mantenere una progressività incisiva. La curva delle aliquote sui redditi troppo gravati può essere ridisegnata con invarianza di gettito? Oppure chiedendo di più all’IVA?

Cinque. I proventi del contrasto alla evasione fiscale non dovrebbero essere destinati alla riduzione del debito? Ancora una volta si punta a ridurre il debito per effetto della crescita sospinta degli stimoli espansivi più generosi, come oggi sono consentiti dalla disciplina di bilancio europea. Ma puntiamo tutto sull’obiettivo di tornare fra dieci anni al livello di debito precrisi? Quindi, se tutto va bene, fra dieci anni avremmo un debito gravosissimo in un quadro finanziario ignoto? Ridurre il debito spendendo per la crescita è come “buscar el levante por el ponente”: un’impresa che non riesce tutti i giorni. Il reddito non di lavoro dipendente o di pensione richiede una azione antievasione specifica. Il reddito può essere un fantasma che diventa visibile solo quando si manifesta in una spesa.

Sei. È tempo di nascita di nuovi tributi, come è fisiologico quando cambiano la struttura del sistema economico e la composizione delle ricchezze. Nuove ricchezze si sono formate (WebTax) e per quale ragione il virtuale dovrebbe sottrarsi ai doveri che non risparmiano il sudore? Ci sono nuovi fenomeni da incentivare o disincentivare specialmente per un fisco pro green e plastic free (ma non tutte le idee sono buone).

Sette. Non ci può essere una stratificazione senza limite di Tax Expenditures (le agevolazioni). Le agevolazioni devono decadere quando sono stati raggiunti gli obiettivi, o quando ne sono venute meno le motivazioni. Ciò anche per fare spazio a nuove esigenze. Diverso è il caso dei regimi fiscali fondati nella Costituzione (come all’art. 45 per le cooperative, che hanno un mancato gestito modesto). La gran parte del mancato gettito riguarda le misure per le persone e le famiglie. Assai meno gravano le agevolazione per le imprese. È questo che rende politicamente più difficile intervenire. Tuttavia una revisione delle Tax expenditures va fatta.

Otto. La nostra pressione fiscale non è certo la più elevata in Europa, ma quando si ricorda questo fatto, viene subito la risposta che i Paesi con una pressione fiscale maggiore hanno servizi pubblici più soddisfacenti e un Welfare migliore. Sono squilibri da risolvere avanzando e non arretrando, nessuno però sostiene, di quanti si lamentano della pressione fiscale, che si debba ridurre la spesa previdenziale o le altre grandi voci della spesa pubblica. Nessuno si confronta con il fatto che oltre una certa soglia tagliare i cosiddetti sprechi significa tagliare posti di lavoro.

Sfioro qui una questione paradossale, che avrebbe bisogno di un suo sviluppo ampio. Da molti anni è in voga la spending review. Oggi scopriamo che nella sanità e nella scuola (e forse nel TPL) abbiamo risparmiato anche troppo. Eppure il debito è cresciuto. Il tema della pressione fiscale complessiva, che sta per crescere di un ulteriore decimale, va collegato con la necessità delle economia di avere agilità, con quella di liberare risorse per consumi, ma anche con il debito pubblico.

Nove. Pagare gli interessi e rimborsare progressivamente il debito non rientra in quelle spese pubbliche, alle quali – per la Costituzione – è doveroso concorrere? Nessuno auspica imposte patrimoniali. Quando diventano necessarie si mettono. Un Paese con un debito pubblico come il nostro come può escludere per sempre una imposizione patrimoniale, che riduca efficacemente il debito? Un debito grande non è il prezzo che paghiamo per fare politiche sociali e contro le diseguaglianze. Al contrario è ciò che ci impedisce di fare quelle politiche. Lo si è visto al vivo in questi mesi nel confronto con Paesi vicini meno indebitati e per questo con le mani più libere.

Dieci. C’è una condizione dalla quale dipende la qualità di una riforma fiscale. Il vero politico è chi ai suoi concittadini ed elettori spiega con onestà la realtà delle cose e le soluzioni efficaci e possibili, e non chi ignora o minimizza i problemi, o manipola, o mente, in una parola. Come in ogni campo non si possono fare grandi cose, senza qualità della politica.

(Tratto da www.politicainsieme.com)


1 Commento

  1. Prima di trovarsi di fronte alla tentazione di dire bugie per non perdere voti, il neo partito INSIEME, che non deve ancora affrontare competizioni elettorali, può con coraggio esporre e spiegare una sua propria politica fiscale. Questo a mio avviso non è nemmeno un rischio, tenuto conto che desideriamo rivolgerci in primo luogo ai disgustati che non vanno più a votare.

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